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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

3 articoli – BARCELLONA VUOLE «MATARE» LA CORRIDA — Una manciata di voti socialisti potrebbe incornare matador e arene, lasciando nella polvere secoli di tradizione e anni di polemiche

3 articoli – BARCELLONA VUOLE «MATARE» LA CORRIDA — Una manciata di voti socialisti potrebbe incornare matador e arene, lasciando nella polvere secoli di tradizione e anni di polemiche. Gli occhi della Spagna e non solo sono puntati sulla Catalogna, dove oggi il parlamento regionale deciderà se vietare o no la corrida. In esame la proposta di legge di iniziativa popolare che intende chiudere le plazas de toros. Un risultato fino a due settimane fa appeso soltanto alla decisione dei deputati della CiU, il partito all’opposizione che aveva lasciato libertà di voto. Da un parte c’erano infatti gli abolizionisti dichiarati (33 voti tra gli autonomisti catalani di Erc e i verdi di Icv), dall’altra i partiti pro corrida (17 voti tra i popolari del Pp e Ciutadans, a cui avrebbero dovuto aggiungersi anche i 37 deputati socialisti). Poi il contrordine dei socialisti e la possibilità di esprimersi liberamente. Una scelta destinata a spostare l’ago della bilancia dalla parte dei tori, visto che una decina di socialisti potrebbe appoggiare il divieto. In rivolta i difensori dei matador: accusano i catalani di voler sacrificare una tradizione spagnola per una maggiore autonomia economica e culturale. Fino all’ultimo si sono susseguite manifestazioni e campagne di pressione da una parte e dall’altra. I contrari al divieto impegnati a difendere una «festa nazionale», un patrimonio culturale e una tradizione che frutta centinaia di milioni di euro. Il proprietario della Monumental di Barcellona, l’unica plaza de toros ancora attiva nella regione, si dice pronto a chiedere un risarcimento di 300 milioni se passerà il divieto. La Mesa del Toro, l’associazione che riunisce gli operatori del settore, sostiene che «la Spagna non può fare a meno dei 40mila posti di lavoro che dipendono dalle attività taurine». Sul versante opposto, quanti denunciano la fiesta come pratica «machista», primitiva, crudele e anacronistica. Domenica una quarantina di loro si sono ritrovati fuori dalla stessa Monumental a confrontarsi con un centinaio di sostenitori della corrida. E ieri gli antitaurini della Prou («basta», in catalano, l’associazione che ha raccolto oltre 180.000 firme per poter presentare la proposta di legge) hanno criticato il fatto che durante la corrida di lunedì sia stato suonato l’inno catalano per rivendicare anche un presunto carattere regionale della festa e strappare qualche voto in più. Il dibattito che infiamma quotidiani, radio e tv spagnole sta dividendo soprattutto Madrid e Barcellona: a marzo la Comunità di Madrid presieduta dalla «dama di ferro» dei popolari, Esperanza Aguirre, ha deciso di dichiarare la corrida «bene di interesse culturale». Ma la contesa travalica i confini nazionali. A sostegno del divieto si è mobilitata anche l’associazione animalista internazionale Wspa con una lettera-appello contro le plazas de toros firmata da 140 mila persone di 120 paesi, tra cui il Nobel per la letteratura John M. Coetzee. Se il veto passerà oggi la Catalogna diventerà la seconda regione spagnola ad abolire le corride dopo le Canarie. Ma qui la proibizione rischia di avere un impatto molto più importante: potrebbe fare da apripista a nuovi divieti. Alessandra Muglia «SOLO UNA FESTA BRUTALE CHE SNATURA LE TRADIZIONI» — «Mai più corride in Catalogna? Sarebbe meraviglioso». Spera nel sì al divieto Alicia Giménez Bartlett, la scrittrice di gialli più famosa di Spagna. Ribattezzata in Italia la «Camilleri iberica», è una che vive con due cani e al Festivaletteratura di Mantova l’anno scorso aveva scelto «perro» (cane) come sua parola per il vocabolario europeo («l’animale più civile dell’uomo»). «La corrida mi sembra una festa brutale, una tradizione molto snaturata. Si è convertita in uno spettacolo per un certo tipo di gente che socialmente non ha molto da dare. Gente di destra, all’antica. Oggi la sinistra è anti-taurina». Ci sono intellettuali di sinistra come Vargas Llosa e Javier Cercas che difendono la corrida. Javier Marías dice che senza corrida non ci sarebbero tori. «È vero, ma non mi sembra un motivo sufficiente per farli morire così». C’è chi dice che il proibizionismo della fiesta in Catalogna sia più una questione politica che di diritti degli animali: lei che ne pensa? «È assurdo, è come riconoscere che c’è un pezzo di Spagna fascista. È vero che la Catalogna ha una propria tradizione. Ma credo che quello che sta succedendo sia l’avanguardia di un ammodernamento che si propagherà nel resto della Spagna». E la sfida tra l’uomo e la morte? «Che si rivolgano a una Ong in Africa, almeno saranno utili a qualcuno». Cosa risponde a chi sostiene che non abbiamo doveri etici verso gli animali, sennò non potremmo mangiarli? «Abbiamo sì doveri etici verso gli animali, perché siamo animali. Che poi non li rispettiamo è un altro discorso». A. Mu. «MA VERSO GLI ANIMALI NON ABBIAMO DOVERI ETICI» — «Si è soliti difendere la corrida come festa nazionale, patrimonio della tradizione e della cultura, ma non è questo il punto. L’elemento interessante è di tipo etico: abbiamo o no obblighi etici nei confronti degli animali? Quindi si può proibire la corrida perché contraria alla morale?». A porre così la questione è il filosofo Fernando Savater, uno dei più popolari intellettuali spagnoli, autore di «Tauroetica», saggio sulla differenza tra etica umana e nel comportamento con gli animali, in uscita a settembre in Spagna. Risposta? «No. Capisco che ci sia gente a cui non piace, capisco che sia una tradizione legata all’epoca rurale, il problema è che la si vuole proibire per legge: questo è un abuso, un’arroganza morale. Abbiamo doveri etici solo verso gli uomini. Sennò non potremmo mangiare gli animali». Ma la violenza come spettacolo è diversa da quella finalizzata alla sopravvivenza. «Non è legittimo soltanto mangiare. Nella nostra società gli uomini danno più importanza a quello che non è necessario: l’arte, la musica, i simboli. Nell’arena va in scena la sfida tra uomo e la morte. L’uomo conosce la morte, l’animale no». Gli animalisti avrebbero da ridire. «Mi baso sulle acquisizioni della filosofia che riconosce come prerogativa dell’uomo la libertà e la capacità di scegliere. La posizione animalista fa più riferimento al buddismo. Ma l’etica non è una forma di religione». Quindi per lei la corrida è una forma d’arte, non di crudeltà. «È una festa piena di simboli e d’arte, per me è molto meglio di una partita di calcio». A. Mu.