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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

QUELLA LETTERA SULLA QUESTIONE MORALE ALL’ «ANTIFASCISTA» PERTINI

«Il rischio di questo progressivo scivolamento verso uno Stato amorale, se non addirittura immorale, verso cioè una condizione di vita pubblica non degna del rispetto dei cittadini verso l’autorità dello Stato e il prestigio dei suoi governanti, è che l’Italia diventi agli occhi del mondo e della gente comune "il Paese dei politici ladri". I fatti di cronaca, giudiziaria più che politica, accaduti nelle ultime settimane, dimostrano che questo rischio c’è ed è grande».
È Gianfranco Fini a mettere per iscritto questa diagnosi. Ma « i fatti di cronaca» cui si riferisce non hanno nulla a che fare con i casi di corruzione politico-affaristica, la cosiddetta P3, di cui parlano i giornali nell’estate 2010. Quel giudizio reca la data del 24 marzo 1988 ed è verbalizzato in una lettera a Sandro Pertini, che da tre anni ha lasciato il Quirinale, e a due altre figure «insigni dell’Italia democratica»: Benigno Zaccagnini e Leo Valiani.
Fini è da pochi mesi segretario del Msi, partito ancora politicamente catacombale e lontano da ogni chance di partecipazione al governo. Nel tentativo di posizionare la propria leadership davanti a un elettorato che mantiene una sensibilità magari retrò ma sempre forte sui temi di «legge e ordine», solleva la questione morale. E lo fa con la scelta — «certo inusuale», ammette — di rivolgersi a delle figure guida dell’antifascismo, chiedendo loro un aiuto: sostenere una proposta per il varo di una commissione d’inchiesta sul malaffare che coinvolgeva «amministratori e uomini pubblici». L’allusione era alla coda di uno scandalo ligure che avrebbe forse potuto anticipare Tangentopoli. E, guarda caso, Pertini era stato colui che aveva applicato per primo l’espressione «mani pulite» alla politica.
Scrive Fini: «La questione morale è di grande attualità e rilievo in una società nella quale molte certezze sono state messe in dubbio e quindi anche l’onestà dell’amministratore, del politico, dell’uomo di Stato può essere cinicamente calpestata, senza danno e in piena impunità, da chi ha responsabilità pubbliche». Poi, dopo aver denunciato i pericoli cui ci avrebbero esposto eventuali inerzie sulla corruzione, sollecita «la necessità di dare un segnale di forte e concreta ripresa della trasparenza e della pubblica moralità al di là degli schieramenti partitici e delle divisioni ideologiche».
Segnale che il segretario missino (anche per un ovvio interesse di partito) lega all’esperienza apertasi il 27 luglio 1944, quando fu costituita una commissione d’inchiesta «per accertare gli illeciti profitti e confiscare gli indebiti arricchimenti di chi aveva avuto responsabilità pubbliche e amministrative durante il regime fascista». Vuole credere — aggiunge — che «quell’iniziativa sia stata assunta non per odio di parte, ma unicamente perché la Nazione intendesse chiaramente che la Repubblica democratica non avrebbe tollerato, né per il passato né per il futuro, ruberie impunite e sarebbe stata inflessibile nei confronti dei politici corrotti. Un desiderio giusto e degno dell’apprezzamento di tutti gli onesti». Non pensa, domanda a Pertini, «che anche gli italiani di oggi abbiano quel desiderio? E che sarebbe educativo, specie per i giovani, un appello suo e degli altri autorevoli uomini della Resistenza affinché venga costituita una commissione d’inchiesta analoga a quella che indagò sui profitti del fascismo?».
La lettera, che aggiunge nuovi elementi di riflessione di fronte alle accuse di «giustizialismo dipietrista» rivolte a Fini dal Pdl, ebbe una risposta da Leo Valiani sul Corriere. Citando solo la proposta di varare una commissione ad hoc, Valiani censurava il clima di «indulgenze moltiplicate» che aveva portato alla «corruttela diffusa». E, pur prendendo politicamente le distanze dal segretario del Psi («le mie idee sono agli antipodi delle sue»), concordava con l’esigenza di «colpire gli autori delle ruberie» e suggeriva di «rafforzare e non indebolire l’indipendenza della magistratura».
Come? Sospeso il giudizio sull’ipotesi della commissione, la replica a Fini risulta attualissima: «Incrementando il personale e perfezionando tecnicamente gli strumenti a sua disposizione, rendendo più dure e non più molli o permissive le leggi».
Marzio Breda