Piero Soria, La Stampa 26/7/2010, pagina 1, 26 luglio 2010
L’eroe mortale della corrida alla francese - Tu sei il solito giornalista rognoso. Con gli occhi bendati
L’eroe mortale della corrida alla francese - Tu sei il solito giornalista rognoso. Con gli occhi bendati. Povero toro qui, povero toro là. E non capisci una cosa fondamentale: la corrida è una messa. Anche il Cristo muore ogni volta per noi. E a ucciderlo è il suo stesso sacerdote. Ma poi risorge. E quel prete è soltanto un misero utensile della sua gloria. Come il torero». Uno direbbe: è la Spagna più profonda e assolata a parlare così. Niente di più sbagliato. Tanto fervore è sulle labbra di Max Tastavy, alla testa della Fédération taurine de France, gran maestro degli Amici della corrida di Béziers, dipartimento dell’Hérault, sulla strada per Barcellona, dove ogni anno dall’11 al 15 agosto la città letteralmente impazzisce per la Féria: bodegas per le strade, feste a non finire in tutte le corti, case fiorite, flamenchi e schitarrate gitane nei chiostri della cattedrale, canti, balli e sangria a fiumi. Fino a qualche tempo fa si teneva addirittura l’encierro, la folle corsa dei tori in mezzo alla folla verso le Arene, esattamente come a Pamplona. Poi è stato sospeso, troppi feriti. Non tanto tra i turisti, quanto proprio tra gli abitanti, moltissimi dei quali spagnoli fuggiti sotto il Franchismo, che hanno mescolato la loro passione con quell’altra locale - altrettanto fanatica e macha - per il rugby. Continua Max: «Vedi, giornalista, tu sbagli tutto, perché l’eroe di una corrida non è il torero. Ma il toro. Il matador è soltanto un piccolo strumento. Come lo sono i picadores, il pubblico, le banderillas e i soldi. Attrezzi, macchine utili: ma soltanto al fine della sua beatificazione. Qualche toro la ottiene: pochissimi. Altri, no: la quasi totalità. Furor è uno degli eletti. Guardalo!». Laggiù in fondo, nella campagna bagnata dall’Aude, dove ormai si sono stanziate le più grandi «casate» dell’allevamento taurino - Miura compresi, perché il sole andaluso rendeva troppo aridi i pascoli - cammina altero un gran bestione nero circondato da una dozzina di vacchette. «Sì, Furor è un toro graziato. E sai chi ha ottenuto la grazia? Proprio il torero. In altre parole: è stata la meraviglia di quell’uomo, che tu giudichi barbaro come tutto il suo mondo, ad aver invocato per lui la vita. È stata la sua onesta ammissione di inferiorità che ha elevato Furor al rango di dio concedendogli il Paradiso. Guarda tutte quelle puttanelle intorno a lui: sono loro il premio, come tante uri». Ma come si arriva alla grazia? «Furor aveva il dono: possedeva la casta. Ovvero nel suo cuore c’erano Bravura, Nobleza, Fiereza, Firmeza y Deseo Ardiente de Ir a Mas. I cinque gradini del rango dei re: coraggio, fierezza, capacità di procedere diritti senza mai ondeggiare sotto i colpi inferti e incontenibile brama di andare oltre, a testa sempre alta. Al secondo colpo di pica, già si capisce tutto». Detto questo, rimane il fatto che appare un po’ vile e crudele preparare un duello ad armi spuntate... Max inorridisce: «Te l’ho già detto: la corrida è una messa. I picadores sono lì solo per celebrare, chierici creati apposta per provare la casta del toro. Tre colpi. Per concedergli di salire tutti gli scalini. Se non ne sale nemmeno uno è giusto che diventi immediatamente carne da dobe, spezzatino: non avrebbe mai dovuto nemmeno arrivare ai confini di un’arena. Più ne sale e più merita onori. Che cosa credi che siano le orecchie offerte al pubblico e il giro al traino dei cavalli piumati nel delirio della folla plaudente? È l’omaggio a un eroe. Il suo trionfo. Quel toro è morto, ma si è battuto con onore, ancor più grande se ha ferito un grande matador. Crollando solo al limite delle sue forze e del suo coraggio». Ma allora perché uccidere l’eroe? «Perché, forse, alla terza pica ha abbassato la testa e dunque non era dio. Perché magari ha mostrato Bravura, Nobleza, Fiereza y Firmeza. Ma non El Deseo Ardiente de Ir a Mas. Ha chinato il capo, anche se soltanto per qualche secondo». Strano però che sia il torero a decidere. «E chi, se no? Quello che per te è l’assassino è invece l’unico ad avere il diritto di chiedere la grazia per il guerriero che gli occhi non li ha abbassati mai. Che l’ha sempre fissato impavido. Capito? Ma la sua è soltanto una proposta: ad accettarla devono essere il presidente della corrida e l’allevatore. Perché il toreador potrebbe essere stato corrotto per favorire una casata e, dunque, la sua razza. Ma allora sarebbe uno scandalo (seppur raramente, è successo) e il pubblico subisserebbe tutti di fischi. L’allevatore sa bene cosa rischia e, anche se ha pagato sottobanco, in ultimo potrebbe opporsi per evitare il boomerang di un imbroglio troppo evidente. Perciò al momento della decisione cala un silenzio quasi morboso, tutto tace, l’atmosfera si fa magica. Infine l’urlo stentoreo: taureau gracié. E la folla ad impazzire». Ma non è tutto. Dietro le quinte della Féria s’agita un altro mondo di supporter sfegatati: quello dei toristas aficionados. Personaggi strani, vagamente blasé, dal buon patrimonio e dalla strenua passione. Elite itineranti, vagamente misteriose: in genere si presentano con una sorta di nom de plume, mai col cognome. Non si fermano mai, sempre in viaggio verso la prossima corrida, che sia in Spagna, Portogallo e Francia o in Messico o Bolivia o ovunque sventoli una muleta. Sono gli ospiti d’onore d’ogni festa, sanno tutto di tutti, prevedono il futuro, sanno di incroci, di monte, di sangue farlocco, di alberi genealogici. Hanno amici in mezzo mondo che li ospitano e li coccolano fino a blandirli con ardenti signore della loro «chiesa» pur di carpire qualche segreto. Raul de Lisboa, per esempio. Attempato andaluso, fascinoso, galante, gran dispensatore di baciamani, una vita spesa tra le banche londinesi, infine pensionato e dunque libero da impegni: «Che volete: i tori muoiono. Le casate, no». Una filosofia che ben si addice a Béziers e al suo spirito bellicoso. Ora diviso tra palla ovale e tori. Ma temeraria fin dal 1209 quando i suoi abitanti, invece di stare al sicuro tra le mura della loro imprendibile rocca, si lanciarono contro l’esercito della crociata albigese per venire sterminati da una soldataglia sanguinaria, benedetta dalle famose parole del legato pontificio: «Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi». La loro prima corrida...