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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

COOP, MANAGER PENTITO SVELA GLI STIPENDI D’ORO

Le coop sono organismi ge­neticamente modificati, centri di potere politico ed economico lontanissimi dai principi ispira­­tori, governati da una casta oli­garchica slegata dai soci e alla ricerca del profitto a tutti i costi, al pari di una qualsiasi altra so­cietà. Non lo scrive Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, in una riedizione di Falce e car­rello ma un ex manager coop, Mario Frau, in un libro appena pubblicato dagli Editori Riuniti intitolato La coop non sei tu .
Frau ha lavorato nel movi­mento cooperativo per 25 anni, è stato consigliere delegato del­la piemontese Novacoop e membro della Direzione nazio­nale dell’Ancc, il massimo orga­no di governo del sistema. Nel 2006 ha dato le dimissioni, nau­seato- spiega- da «una gestione troppo personalistica del presi­dente », da «operazioni immobi­liari di stampo speculativo co­me la Spina 3 di Torino» e dal­l’assalto alla Bnl condotto dal­l’Unipol di Giovanni Consorte assieme ai «furbetti del quartie­rino ».
Frau parla di contraddizioni, trasformazioni e degenerazioni avviate negli Anni ’80, gli anni degli spot con il Tenente Colom­bo, dei primi ipermercati e del­la finanziarizzazione del siste­ma. In origine, le coop garanti­vano ai soci servizi e prodotti a prezzi bassi e se chiudevano i bi­l­anci in utile ne distribuivano lo­ro una parte. Oggi invece que­sto «ristorno» è quasi inesisten­te ( nel 2007 Coop Adriatica e Co­op Estense hanno restituito lo 0,3 per cento del fatturato), gli utili vengono incamerati per au­mentare il patrimonio e rara­mente i prezzi sono più bassi ri­spetto alla concorrenza.
Con il «prestito sociale», certi­fica Frau, nel 2009 le «nove sorel­le » coop hanno raccolto 12 mi­liardi e 110 milioni di euro, una somma quasi pari al giro d’affa­ri complessivo: l’attività finan­ziaria ha raggiunto quella della distribuzione alimentare. I su­permercati sono filiali di una banca mai autorizzata da Banki­talia, sottratta ai relativi control­li e soggetta a un regime fiscale di favore, con investimenti in prodotti finanziari e partecipa­z­ioni in società del sistema Lega­coop.
La cosiddetta tutela del ri­sparmio è in realtà un’attività fi­nanziaria a fini di lucro, che di­stribuisce briciole ai soci e deter­mina un sistema di concorren­za sleale verso le banche e le al­tre catene distributive, le quali per crescere devono indebitarsi a costi largamente superiori.
«Lo spirito di solidarietà e mu­tualità è stato sacrificato per sposare la logica del mercato, della competizione e del profit­to alla pari delle imprese di capi­tale - dice Frau - con la differen­za che queste ultime pagano le tasse sul 100 per cento degli uti­li, mentre le coop soltanto sul 55 per cento. Nonostante la Co­stituzioni tuteli la «funzione so­ciale » e il «carattere di mutuali­tà e senza fine di speculazione privata», le coop non svolgono più da tempo tali funzioni aven­do scelto di operare sul mercato inseguendo il profitto e la specu­lazione in tutti i campi dell’eco­nomia: dalle assicurazioni (Uni­pol e Aurora) alla grande distri­buzione (marchi Coop e Co­nad), dal settore immobiliare e abitativo a quello delle grandi opere infrastrutturali, fino alla raccolta del risparmio su vasta scala».
Il collateralismo con Pci-Psi-Pds-Ds con le annesse corsie preferenziali nell’ottenere le au­torizzazioni ha garantito privile­gi e creato una distorsione del mercato, «muri antistorici» e «barriere all’entrata».Collatera­lismo politico, riduzione dei be­nefici per i soci, vantaggi fiscali, raccolta del risparmio, regole in­terne che blindano contro qual­siasi ipotesi di scalata: ecco i pi­lastri che hanno consentito alle coop di occupare grandi spazi commerciali, sfruttando sia i vantaggi dell’economia di mer­cato sia quelli esclusivi delle so­cietà cooperative.
A ciò si aggiunge la casta degli intoccabili formata dai mana­ger, con relativi stipendi: i presi­denti delle grandi coop stanno nella fascia tra i 500mila e il mi­lione di euro annuali, più i bo­nus che loro stessi si sono attri­buiti come indennità di uscita. Anche se, invece di andare in pensione, spesso restano alla guida di società minori che assi­curano gettoni e benefit vari.