Stefano Folli, Il Sole-24 Ore 28/7/2010;, 28 luglio 2010
UNA STRANA CRISI DI GOVERNO INGESSATA, IN ATTESA DEL «CIGNO NERO»
Come sanno gli analisti finanziari, il «cigno nero» è un evento imprevedibile e imponderabile, in grado di modificare in modo clamoroso il corso delle cose. Forse quello che manca alla politica italiana è proprio un cigno nero, un episodio fuori del comune che rompa l’incantesimo. Altrimenti è probabile che si resti ancora a lungo prigionieri di questo stillicidio velenoso: una guerra di trincea all’interno del partito di maggioranza, dietro la quale s’intravede l’amara realtà. Siamo in una crisi di governo virtuale e priva di sbocchi, nella quale tutti o quasi sono condannati alla paralisi.
Allo stato delle cose – e in assenza del cigno nero – nessuno dispone dell’arma risolutiva per regolare i conti e trascinare la maggioranza fuori dalle secche. Berlusconi è il primo a saperlo e infatti i suoi annunci di guerra contro Fini e i finiani per ora sono puramente velleitari. Il presidente del Consiglio subisce le stilettate dei suoi oppositori interni sulla «questione morale», ma reagisce con estrema prudenza. È attento a non compiere passi falsi, anche se il prezzo da pagare è il logoramento.
Gli piacerebbe, certo, che a muoversi in modo maldestro fosse Fini. Se il presidente della Camera, per ipotesi, uscisse dal Pdl e formasse un suo partito, Berlusconi avrebbe risolto buona parte dei suoi problemi. La crisi di governo oggi ingessata conoscerebbe un punto di caduta dal quale si potrebbe poi risalire. Ma è evidente che Fini è tutto tranne che un dilettante della politica e si guarda bene dal fare un simile regalo al suo avversario. Quindi si resta al punto di partenza. La deriva del Pdl è ben visibile e i suoi riflessi sull’azione di governo sono gravi, ma Berlusconi non è in grado di allontanare Fini e quest’ultimo ha tutto l’interesse a non far precipitare la situazione.
I singoli episodi sembrano confermare lo scenario di fondo. La fiducia della Camera alla manovra economica è scontata e rientra in una sorta di ordinaria amministrazione. La legge sulle intercettazioni ha perso la sua carica dirompente. L’accordo su Vietti al Consiglio Superiore della Magistratura è una buona notizia, ma nessuno può credere davvero che costituisca il preludio all’ingresso dell’Udc nell’area della maggioranza.
La verità è che la crisi di governo virtuale è conforme ai progetti del presidente della Camera, che ha bisogno di tempo per costruire l’identità della sua destra istituzionale e non populista (un’impresa tutt’altro che esente da rischi, come ha notato Piero Ignazi). Nella sua ottica è contemplato che Berlusconi difenda oggi Caliendo come ieri ha di-feso Verdini: ciò permette a lui,l’ex leader di An, di continuare ad agitare la sua bandiera politica su cui è scritto «legalità».
Al contrario, la stagnazione è il pericolo più grande per la Lega. Il partito di Bossi è in ascesa nei sondaggi, ma ha bisogno di costante adrenalina. I leghisti devono cogliere un risultato tangibile che giustifichi tutti i compromessi dell’alleanza con un Pdl allo sbando. Ovvio che l’unico risultato possibile è il federalismo fiscale, purché non sia solo una copertina priva di contenuto. Questo è il timore di Bossi: essere risucchiato nella crisi di governabilità in cambio di un piatto di lenticchie. Tanto più che adesso la vicenda delle «quote latte» segnala che anche la Lega incontra i suoi problemi nel nord. Ma il partito di Bossi è decisivo per il futuro della legislatura. Quando si parla, spesso a sproposito, di elezioni anticipate è alla Lega che si deve guardare.