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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

QUESTO NON È CARAVAGGIO. VI DICO PERCHÉ È UNA CROSTA

Nel quarto centenario della morte del Caravaggio, non poteva mancare la sensazionale scoperta (o l’invenzione) di una sua nuova opera. E nei giorni scorsi, infatti, la notizia, corredata di toni roboanti, della scoperta di un quadro non citato dalle fonti antiche era ampiamente circolata, con tanto di prima pagina dell’«Osservatore Romano »: il Martirio di san Lorenzo,
di proprietà dell’ordine dei Gesuiti.
Il giornale vaticano gli ha dedicato ampio spazio e, senza esitazione, ha fatto risuonare il nome del sommo pittore lombardo al fine di attribuire la paternità di una tela dai colori corruschi e contrastati. Del quadro si è tenuta nascosta fino a oggi la provenienza originaria, per ragioni ignote, ma che certamente non pescano nel torbido. Si vocifera che esso provenga dai Gesuiti dell’Aquila, in ogni caso già da alcuni anni si trova in una delle stanze adiacenti la bellissima chiesa del Gesù di Roma.
Benché la provenienza sia un fattore che influisce sull’attribuzione, non va considerato essenziale, anche perché – e va affermato sin dall’inizio – non siamo assolutamente al cospetto di un’opera autografa del Caravaggio, bensì del prodotto di uno dei numerosi pittori italiani che infittiscono le schiere, un po’ disordinate, dei cosiddetti «caravaggeschi »,cui l’anniversario del loro capostipite ha conferito una nuova e spesso meritata rivalutazione.
Il quadro dei Gesuiti – che nel 1991 erano stati beneficiati dal ritrovamento di un vero capolavoro di Caravaggio come è la Cattura di Cristo nell’orto, oggi nella Galleria Nazionale di Dublino – celebra il momento culminante del martirio del giovane diacono Lorenzo, arso vivo su una graticola di ferro. Q
ui il protagonista è ritratto in una posa insolita e concitata, come se stesse tuffandosi sui ferri ardenti, con un aguzzino a destra che ne comprime con un bastone il corpo a che bruci più in fretta, un secondo in posizione centrale che si porta la mano al viso forse per non sentire puzza di bruciato, e un terzo a sinistra che versa pece o olio per attizzare la fiamma. In tutta la scena vi è un’esasperazione dei toni macabri che giungono al limite dell’iperrealismo, in netto contrasto con la verità espressa nella poetica del Caravaggio, il quale non perviene mai alla caricatura. Siamo pertanto di fronte all’opera di un pittore che scimmiotta Caravaggio senza avere colto nulla o quasi della profondità del suo stile, soffermandosi piuttosto su quegli effetti di superficie, propri di tanta pittura caravaggesca deteriore, che si fonda sul contrappunto troppo scoperto dei chiari e degli scuri, sull’esagerazione delle espressioni somatiche e delle azioni. Nel Martirio di san Lorenzo sono evidenti alcune sgrammaticature: il perizoma che cinge i fianchi del santo, che pare dipinto con strisce di dentifricio; la gamba sinistra di Lorenzo affetta da un rachitismo deformante, degna più di un semplice intagliatore di legno che di un pittore; l’inusuale rigidezza del corpo dell’aguzzino a destra, solcato da pesanti ombre che si confondono fra loro. In generale tutte le figure sembrano come trapassate da ingombranti ombreggiature, risultato della cattiva assimilazione dei modelli caravaggeschi.
Pescare nel mare magnum dei suoi più o meno diretti seguaci il nome dell’ignoto autore del Martirio di san Lorenzo è un’impresa ardua. Rossella Vodret ha avanzato l’ipotesi che sia da ricercarsi nel folto gruppo dei napoletani, però solitamente i caravaggeschi napoletani si attestano su un livello più alto di quello che distingue questo quadro. A mio parere è opportuno indirizzare le indagini negli ambienti della pittura seicentesca dell’Italia meridionale e maltese, situando la tela fra il secondo e il terzo decennio del Seicento. Va tenuto presente che laddove Caravaggio sosta dopo la fuga da Roma, avvenuta nel 1606, produce scosse salutari di rinnovamento delle situazioni più incancrenite. Da Roma egli va a Napoli, poi a Malta, indi in Sicilia e ancora a Napoli. Durante una di queste tappe, in tempi diversi, fa proseliti più o meno capaci di aggiornarsi. Date le pose a dir poco acrobatiche di san Lorenzo e degli aguzzini, le ombre portate e le epidermidi simili a copertoni di bicicletta, questo quadro potrebbe essere stato eseguito da qualche pittore caravaggesco maltese o siciliano. L’ipotesi, formulata di primo acchito, ha trovato consensi in Gianni Papi.