Paolo Foschini, Corriere della Sera 28/7/2010, 28 luglio 2010
IL BANDITO CHE OFFRE LA PACE AI SOPRAVVISUTI DI HAITI
La natura è più forte della polizia. E così forse, alla fine, il terremoto ha rinchiuso il lupo in una gabbia quasi peggiore di quella da cui lo aveva liberato. William «Petit Blanc» detto Ti-Blanc, il gangster più pericoloso di Haiti, l’uomo dei nessuno sa quanti omicidi e sequestri in 28 anni di vita, quello che fino al suo arresto visse addirittura in hotel a spese del presidente Préval, e che la scossa de 12 gennaio fece scappare di galera con tutti gli altri detenuti di Port-au-Prince, oggi ha l’aspetto di un ragazzo in canottiera bianca e bermuda a scacchi che si nasconde in fondo a una foresta, a dieci ore di sterrato dalla stessa capitale che per anni aveva terrorizzato. Dopo l’evasione ci ha resistito due settimane, tra i morti e le macerie. Con i sopravvissuti ha rimesso insieme quel che restava del suo esercito. Ma alla fine si è guardato intorno. E ha scelto la foresta.
Intendiamoci: anche oggi, e anche da dov’è, gli basterebbe una parola per farti ammazzare gratis dovunque tu sia. Ancora con le protezioni di sempre, a cominciare da quelle di una discreta fetta della polizia haitiana. Ma «so bene che se metto il naso fuori— dice — c’è anche un sacco di gente pronta ad ammazzare me». Ed è per questo che, dal suo nascondiglio, ora tenta di riproporre a chi un giorno guiderà il governo di Haiti lo stesso patto che tre anni fa aveva stretto — e quasi per intero condotto in porto — con Préval in persona: «Se mi chiamano ho ancora il potere di far cessare tutti i crimini di Port-au-Prince in un solo giorno. Ma questa volta — scandisce — voglio in cambio l’immunità su tutto il mio passato. Per iscritto».
L’appuntamento con Ti-Blanc è alle cinque di mattina, in un villaggio di quattro capanne e tutt’attorno solo alberi emontagne. Quando ci arrivi, dopo una notte di viaggio, si fa trovare al buio fuori da una porta. Ti indica uno sgabello. «Sono nato in campagna 28 anni fa — inizia —e mi sono trasferito a Port-au-Prince con la mia famiglia quando ero ancora piccolo. Abitavamo a Cité Soleil»: con altri posti come La Saline, Pelé, Warf Jeremy, la baraccopoli più misera della capitale. «Ho frequentato una scuola di strada e a 17 anni sono entrato nella polizia postale», dice. Il suo racconto su quanto ci sia rimasto prima di essere arrestato è confuso, lo interrompi: torniamo indietro, come è cominciata la storia criminale di Ti-Blanc?
«Dicono un sacco di calunnie sul mio conto. Fin dal mio primo arresto, da ragazzo. Mi hanno sempre perseguitato per motivi politici, prima in seguito alla cacciata del vecchio presidente Aristide e poi per invidia dei miei rapporti di amicizia con Préval, e poi perché...». Parla per venti minuti di fila, dipingendosi come un incrocio tra Che Guevara, Gandhi e Robin Hood. Gli dici che a te risulta un’altra storia. E cioè che dopo una vita di omicidi e rapimenti, dopo una guerra da centinaia di morti con le altre quattro gang dei sequestri e del narcotraffico, in effetti Préval gli aveva proposto un accordo per restituire a Port-au-Prince un minimo di pace: la definitiva sconfitta nel sangue degli altri gangster in cambio di una tranquilla supremazia sulle attività criminali che Ti-Blanc avrebbe continuato a gestire dal bordo della piscina dell’Hotel Coconut, lo stesso la cui clientela è oggi fatta quasi integralmente di ingegneri e tecnici occidentali piovuti su Haiti per il post-terremoto. È vero o no, gli chiedi, che Ti-Blanc è vissuto lì per sei mesi e che il conto lo pagava Préval? E che alla fine Préval lo ha fatto arrestare lo stesso, perché la pressione era diventata insostenibile «di fronte a una vergogna» — così dicevano i politici d’opposizione — che non era certo «ufficiale» ma che tutta la città conosceva?
Il boss si indigna: «Certo che sono vissuto al Coconut. Per sei mesi. E certo che pagava Préval. Ma io non ho fatto niente di criminale per lui. Ho usato la mia influenza, la mia capacità persuasiva e dialettica per far cessare la violenza in Down-town. Questo ho fatto. Invece il presidente mi ha usato e poi gettato via». Non è una sintesi, William Petit Blanc parla proprio con questo lessico: dice «dialettica» e «capacità persuasiva».
Lo lasci parlare per un’ora, finché gli dici che non se la prenda se non gli credi. «Ho ancora un processo in corso e ho il diritto di difendermi», dice lui. E tu gli dici che allora hai solo una cosa, solo una da chiedergli, ma che risponda solo per dirti una cosa vera oppure taccia. Gli chiedi se ricorda il primo ragazzo che ha ucciso, il primo in assoluto. E se ricorda come ha dormito quella notte. (Ora potete non crederci ma a quel punto Ti-Blanc è stato zitto per un minuto abbondante, sfregandosi gli occhi con le dita come avesse della polvere da togliersi. E ha pianto. Poi si è subito ricomposto.)
«Io dico solo — risponde — che la legge della Bibbia è chiara: se uno taglia una mano a te, così è scritto, tu la tagli a lui. Lo so che nella Bibbia esiste anche la legge del perdono. Ma esistono luoghi e situazioni dove il perdono purtroppo non vale». Fa una piccola pausa, poi ritrova il sorriso di prima: «E in ogni caso, di che stiamo parlando? Io non ho mai ucciso nessuno. Vi rendete conto, invece, di quel che oggi succede a Cité Soleil? Ma siccome io amo il mio Paese lo ripeto: se il governo mi chiama io posso riportare la pace anche subito. Senza più trucchi però: immunità scritta o niente».
Gli chiedi perché mai, se è così sicuro di sé, non è rimasto a Port-au-Prince anziché venirsi a nascondere nella foresta. E lui risponde: «La città è cambiata. Non da adesso, certo, ma il terremoto ha fatto precipitare tutto. La violenza degli slums, oggi, non è più quella organizzata delle gang che io ero riuscito a sconfiggere con la mia diplomazia — così insiste a chiamarla — ma quella di migliaia di cani sciolti, con bambini di otto anni che fumano erba e tirano coca, e che ti ammazzano solo per dimostrare che ne sono capaci, dove un omicidio su commissione costa meno di cento dollari e l’unica regola è tutti contro tutti, e dove nessuno è più controllabile perché dopo il terremoto nessuno ha più niente da perdere. Mi risulta che oggi negli slums ci siano due omicidi al giorno. Beh, io dico che con la gente senz’acqua, senza casa, senza lavoro, spesso senza più neanche parenti, voi non avete ancora visto niente: la violenza deve ancora arrivare». Appunto, ribatti un’ultima volta: visto che il quadro è questo cosa può farci Ti-Blanc?
«Ma io— risponde lui — sono William Petit Blanc. Saprei lo stesso con chi parlare. Perché anche nel mio mestiere, come in tutti, il vero potere non nasce dalla violenza ma dalle informazioni che si hanno sulle persone. E io a Port-au-Prince so tutto di tutti».