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 2010  luglio 27 Martedì calendario

IL CONFINE DEL BRENNERO E I NEGOZIATI PER LA PACE

Sul Corriere del 17 luglio in «Visioni d’ Italia», nel riquadro «dagli archivi», Paolo Rastelli scrive come, nel gennaio 1919, la direzione del Corriere sostenesse una tesi opposta a quella degli esagitati nazionalisti, che non volevano saperne delle velleità «missionario-visionaliste» del presidente W. Wilson (una tesi su cui si trovava d’ accordo Leonida Bissolati, fierissimo avversario del ministro Sonnino e delle sue rivendicazioni, espresse nel patto di Londra, come noto). A distanza di quasi un secolo, è stato spiegato perché Wilson, non volle tenere in conto la sorte degli abitanti del Tirolo meridionale (da Salorno al Brennero), come invece fece coi dalmati? I primi non furono anch’ essi oggetto di un «mercanteggiare»? A un’ odierna visione, tutto ciò come può spiegarsi? Vi furono forse pressioni da Francia e Regno Unito?
Enrico Crosti hlvk@hotmail.com
Caro Crosti, nei negoziati a quattro (Clemenceau, Lloyd George, Orlando, Wilson) sui maggiori problemi territoriali sorti dopo la sconfitta degli imperi centrali, il Brennero è quello che suscitò meno discussioni. Nella sua grande opera su «Italy at the Paris Peace Conference» (L’ Italia alla conferenza di Parigi per la pace), pubblicata nel 1938 dalla Columbia University Press di New York, René Albrecht-Carrié descrive con grande abbondanza di dettagli le laboriose trattative della primavera del 1919 su Fiume, Zara, la Dalmazia e le isole; ma tratta il confine italo-austriaco come un problema minore. Mentre i quattro «Grandi», come ricorda Harold Nicholson nelle sue memorie diplomatiche, lavoravano ginocchioni intorno a grandi carte geografiche aperte sul tappeto della stanza in cui si erano riuniti, la Conferenza, in seduta plenaria, si occupava soprattutto dei trattati di pace con la Germania e con l’ Austria. Alla delegazione austriaca fu consegnata il 2 giugno una prima bozza che prevedeva per l’ appunto il confine al Brennero. E le discussioni, nei giorni seguenti, si concentrarono soprattutto su quella parte della frontiera che concerneva contemporaneamente Italia, Austria e Jugoslavia. All’ origine della differenza fra la questione di Fiume e quella del Brennero vi è anzitutto il diverso status dell’ Austria e della Jugoslavia. Mentre la prima era stata sconfitta, la seconda era uno Stato nuovo, nato dalla fusione della Serbia (Paese vincitore anche se interamente occupato dagli austriaci per buona parte della guerra) con le regioni slave dell’ Austria e dell’ Ungheria. Era facile sostenere che le clausole del trattato di Londra, firmato dall’ Italia con gli Alleati nell’ aprile 1915, non potevano applicarsi con lo stesso rigore a un’ area geografica che si era affrancata dall’ Impero austro-ungarico. Vi fu poi, a Parigi, un problema caratteriale. Il presidente Wilson si era intestardito e si comportava come il Messia mandato dal Signore a risolvere i problemi del mondo. In una conversazione a Parigi con un prelato vaticano il 1º giugno 1919, nel mezzo dei negoziati su Fiume, Orlando disse: «In questa Conferenza l’ abilità non conta perché vi è uno che per le circostanze si è costituito arbitro. L’ arbitro è Wilson. Le circostanze l’ hanno fatto tale. L’ America è stata l’ ultima a entrare in guerra e il suo intervento è stato la causa prossima della vittoria. Si aggiunga che l’ America è la sola potenza economicamente forte dalla quale dipendono tutte le altre. Contro Wilson non si può lottare». Ps. Qualche lettore mi ha chiesto che cosa penso dei cartelli in tedesco installati dall’ Alpenverein per segnalare le malghe e i rifugi della provincia di Bolzano. Rispondo che basterebbe lasciare al luogo la sua denominazione originale e farlo precedere dall’ indicazione «malga» o «rifugio». Non lo dico io. Lo ha detto saggiamente il procuratore capo di Bolzano Guido Rispoli.
Sergio Romano