Marinella Correggia, il manifesto 28/7/2010, 28 luglio 2010
LITIO, IL SOGNO BOLIVIANO
Quando, in giugno, il «New York times» ha pubblicato la stima del Pentagono sulla presenza in Afghanistan di enormi riserve di litio, per alcuni giorni analisti e complottisti sono andati in fibrillazione. Perché il minerale, già usato nelle batterie per cellulari e computer, nella ceramica e in apparecchiature elettromedicali, sarebbe la componente chiave nella manifattura delle batterie necessarie ad alimentare una nuova generazione di automobili elettriche, più ecologiche. Dunque un prodotto strategico con un’enorme domanda potenziale. Gli «stati litio-muniti» diventerebbero potenze geoeconomiche. Sull’Afghanistan tutto si è ridimensionato: non sarà l’Arabia Saudita del litio, per molto tempo almeno. Ma che dire della Bolivia, le cui riserve sarebbe le più grandi del mondo, imprigionate finora nel Salar de Uyuni? Un mare di sale di 12.000 chilometri quadrati a 3.800 metri nel dipartimento di Potosí, un tempo inferno d’argento. Dal 2005 l’obiettivo nazionale è utilizzare le risorse per liberare i boliviani dalla miseria, in una relazione solidale con gli altri popoli e con Madre Terra. A quali condizioni il carburante di questo progetto potrà essere il litio, definito «oro del XXI secolo»? È la domanda centrale nel recente rapporto «Bolivia and Its Lithium. Can the Gold of the 21st Century Help Lift a Nation out of Poverty?» del centro statunitense Democracy Centre (www.democracyctr.org).
Multinazionali e governi stanno corteggiando il governo boliviano, che intanto ha investito alcuni milioni di dollari in un impianto pilota per l’estrazione e la prima lavorazione. La tappa successiva sarebbe un impianto più grande per produrre fino a 40.000 tonnellate all’anno di carbonato di litio; quella finale prevederebbe di produrre nel paese anche le componenti, in partnership.
Ma c’è un problema di investimenti, per le industrie e le infrastrutture. Un miliardo di dollari? Alcune comunità boliviane non sono d’accordo che vengano da investitori esteri. E da dove allora? E in seguito, il denaro ricavato dallo sfruttamento dei giacimenti, sarebbe socialmente usato o contingenze economiche obbligherebbero a riusarne buona parte nella produzione statale a partire dal litio stesso? C’è anche un problema di competenze ed esperti, per evitare i soliti diktat esterni. E intanto, è ancora incerta l’entità della domanda futura di litio, poiché i problemi posti dalle batterie sono ancora grandi.
Grandi come le questioni ambientali. Insomma, per offrire montagne di auto più pulite soprattutto alle classi medio-alte dei vari paesi, il magnifico e visitatissimo ecosistema del Salar potrebbe essere rovinato, si allarmano alcune organizzazioni ecologiste boliviane. E l’industria del litio potrebbe provocare una crisi idrica drammatica: davvero occorrerà poca acqua per i progetti al litio, come sostiene il governo ma forse sulla base di informazioni incomplete? E che sarà delle sostanze chimiche necessarie a trasformare migliaia di tonnellate di litio? Il Salar de Atacama in Cile, dove il litio è estratto, non offre un buon esempio.
La legge boliviana garantisce il coinvolgimento delle popolazioni locali nelle decisioni, oltre alla protezione ambientale. Le comunità di Potosí come «vivono» la prospettiva dell’industrializzazione al litio? Per molti è speranza di lavoro e benessere (magari nel senso boliviano, il «vivir bien» o «buen vivir»). Ma i produttori di quinoa e gli operatori turistici temono che le ricadute positive locali sarebbero inferiori ai danni. Una partita aperta per il popolo e il governo della Bolivia.