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 2010  luglio 27 Martedì calendario

LA VIA CRUCIS EVERSIVA DI CERVENO

Siamo all´inizio del Novecento e la scrittrice americana Edith Wharton, che Henry James chiamerà "Lady Pendolo" per via del suo continuo andirivieni tra l´America e l´Europa, sta attraversando la val Camonica. Ha con sé "l´impareggiabile guida di Gsell-Fels", nella quale si dà conto di una certa chiesa con "sculture", nascosta tra le montagne. E poiché la Wharton, da brava viaggiatrice, è curiosa e testarda, decide di trovarla ad ogni costo: operazione nient´affatto facile, come risulterà dalla lettura dei suoi Paesaggi italiani (uscito da Olivares per le cure di Attilio Brilli).
Giunta nei pressi di Cerveno, dato che la carrozza non riesce ad affrontare la salita, la Wharton prosegue a bordo di un calesse leggero, e quando anche questo deve arrestarsi, si incammina a piedi. La fatica, evidentemente, comincia a farsi sentire e con essa crescono i dubbi sulla veridicità delle indicazioni ricevute: «neppure in Italia, nella terra dei tesori inaspettati, si può sperare di trovare una chiesa con "sculture" in un infelice paesino in cima a una montagna sperduta!».
Per sua e nostra fortuna, però, Edith si sbaglia. Il tesoro nascosto – il primo che scopriremo insieme in questa serie estiva – c´è. Eccome se c´è. E appena la scrittrice americana varca l´ingresso laterale della chiesa parrocchiale di San Martino, rimane stupefatta di fronte alla Via Crucis di Beniamino Simoni: una successione di "tableaux vivants" in legno e gesso di rara forza drammatica; un teatro della passione talmente singolare da essere difficilmente apparentabile ai "Sacri Monti" che l´hanno preceduto.
Dalla "scoperta" della Wharton è trascorso poco più di un secolo e nel frattempo su Cerveno hanno scritto in diversi (da Giovanni Testori a Fiorella Minervino), senza contare il recente e toccante film di Elisabetta Sgarbi. Rimane che la fama del luogo, e dell´opera, è decisamente inferiore alla sua prorompente potenza e originalità. Che balza all´occhio di chiunque, immediatamente.
Non è necessario essere critici o storici dell´arte per rendersi conto che qui è in atto un rovesciamento del canone. I personaggi principali, a cominciare dal Cristo e da Maria, sono rappresentati in modo anonimo, convenzionale: non rimangono impressi nel cuore e nella mente. Quasi che l´artista volesse, con straordinaria vis creativa, trascinare altrove il nostro sguardo. Più precisamente, verso il "coro" dei derelitti e dei torturatori, dei poveracci e degli assassini. Insomma, dei valligiani, che nella via Crucis di Cerveno assurgono al ruolo di veri protagonisti. Con le loro facce primitive e ubriache; i loro fiati pesanti e la loro sporcizia ingombrante; i loro sputi e le loro ingiurie.
Con prosa immaginifica e terragna – o meglio ancora, corporale – Giovanni Testori sposa per primo e con grande veemenza la tesi del Simoni eversore e ribelle; dell´artista controcorrente e a suo modo iconoclasta. «Il protagonista non è più Cristo, pare dire il giovane scultore, ma chi lo fa fuori; anche perché non fa fuori una realtà, bensì un´ipotesi, una mera idea; insomma, un´inesistenza su cui si reggeva la stessa macchina dorata, la stessa dorata dominazione dell´altare».
Neppure affidandosi al Cristo povero, dalla parte dei disperati, si può fare molta strada: «il Simoni rifiuta anche quest´ultima carta che restava da giocare a un artista per restituire credibilità umana, storica e poetica al Cristo così come la Chiesa, a furia d´usarne e abusarne, l´aveva ridotto e umiliato. Egli avverte che la riduzione e l´umiliazione erano ormai arrivati a tal punto da nientificare il Cristo medesimo; ovvero da ridurlo ad ombra, appoggio, simulacro: blasfemo pretesto per l´erigersi e il perdurare, tra ori e tenebre, d´uno sterminato Altare di dominio e di potere».
Nel corso della mia permanenza a Cerveno, e dei connessi incontri e letture, vengo a sapere che l´intera vicenda è in qualche modo ammantata di mistero. La fabbrica delle "capèle" prende avvio il primo gennaio del 1752. E poiché l´impresa è quanto mai costosa, l´intera comunità contribuisce con offerte in denaro, oltre che con l´elargizione di derrate alimentari: vitello, castrato, riso, lumache, cipolle, olio, vino, lardo. Ma dal momento che l´opera non sarà ultimata dall´artista che l´aveva cominciata, Testori ne approfitta per sviluppare le sue tesi più oltranziste su Simoni artista negletto e maledetto, tesi che sarebbero smentite da successivi ritrovamenti d´archivio in cui si dà conto dei floridi introiti legati a questa e altre committenze.
Insomma, Beniamino Simoni era un drop-out o un artista di successo? Il visitatore comune si limita a registrare quanto vede.
E il suo occhio, mentre scivola via sulla figura del Cristo e delle donne piangenti, rimane invece colpito dal sorriso stolido e feroce di chi inchioda il figlio di Dio; dall´ottusa perseveranza di chi aiutandosi col bastone e con i piedi lo strattona, come se fosse un animale. Per non parlare di quella lingua insolente, esibita dal ladrone in croce, davvero indimenticabile.
Calco trasfigurato della realtà circostante, dall´Ottocento in avanti questo specialissimo ciclo della passione rivivrà in una festa popolare (Santa Crus) che arriva fino ai nostri giorni, celebrata ogni dieci anni in una domenica di maggio: prossimo appuntamento, nel 2012.
Ne parlo con il sindaco Giancarlo Maculotti e con Noemi Belfiore, coordinatrice del comitato organizzatore, passeggiando nelle stradine del paese, perfettamente conservato: con le sue deliziose fontane e lavatoi, da cui sgorga un´acqua freschissima fornita dal Comune agli abitanti a un irrisorio costo forfettario; con i resti di piccoli orticelli a fianco di case costruite invariabilmente in pietra dolomia, mentre dall´alto sorveglia il tutto la montagna della Concarena.
Dal colloquio mi pare di capire che i diversi parroci si siano sempre messi di traverso rispetto a questa festa popolare: forse per un suo persistente tratto pagano, forse perché di fatto sfugge al controllo ecclesiastico. Fatto sta che per la comunità di Cerveno (seicentosettanta anime), la Santa Crus è un appuntamento identitario imprescindibile. I grandi preparativi cominciano sin dall´anno precedente: le donne creano una grande sartoria in cui si confezionano i costumi tinti a mano di protagonisti e figuranti, secondo lo spirito delle sculture di Simoni. Le case del paese vengono ornate con rami di abete e fiori di carta. E infine, con l´aiuto di uomini di teatro convocati appositamente in loco, si procede al casting: operazione, come si capisce, piuttosto delicata. Chi farà il Cristo questa volta? E chi Maria?
Se però la lezione del Simoni è ancora viva e valida, non sarà meno importante interpretare il boscaiolo, il fabbro, il soldato, il contadino, il bovaro.
Come dice Noemi con una punta di emozione, quando finalmente la sacra rappresentazione muove i primi passi uscendo dalla chiesa, è come se la schiera delle statue si animasse. E le creature immote del Simoni si riversassero per le strade del paese.
(1-continua)