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 2010  luglio 25 Domenica calendario

GIOVANNI SOLDINI

La risata di Giovanni Soldini travolge come un´onda del mare. Quello stesso mare che lui, navigatore solitario, attraversa con il cuore leggero e l´adrenalina in corpo. Quel mare fatto di colline d´acqua che entrano nella testa e nello stomaco. Follia e passione. Giovanni Soldini, arruffato e sorridente, è riuscito a portare le meraviglie della vela nelle case di tutti. E per molti è stato un colpo di fulmine. Lo hanno amato per i suoi occhi brillanti. Per i capelli spettinati e la pelle bruciata dal sole. Per l´allegria di chi sembra non conoscere la paura, e per l´aria da eterno ragazzo. Ma, soprattutto, perché è un tipo "normale". «Non è vero che non ho timori», racconta, «la paura è la migliore compagna, perché è quella che ti fa vedere i tuoi limiti e ti fa tornare a casa vivo».
Giovanni Soldini, considerato da molti come il miglior navigatore solitario di tutti i tempi, da bambino non immaginava una vita così avventurosa. Milanese, terzo di tre fratelli, ha sempre avuto un sogno: viaggiare. «Desideravo conoscere il mondo e ho capito che il modo più libero per farlo era seguendo il mare», racconta seduto in un bar del centro di Roma dove con la sua risata contagiosa rompe il pigro silenzio mattutino. Agita le mani e non è possibile non notarle: screpolate, grandi, dure. Mani da lavoratore. A quindici anni scappa di casa e, quando torna in famiglia, si mette a lavorare in un cantiere dove costruisce barche. A diciassette compie la prima transoceanica, a venticinque una regata in solitaria e a trenta, in centoventi giorni, il giro del mondo. E oggi, dopo diciassette anni di navigazione, di giri del mondo ne ha collezionati due e di transoceaniche più di trenta. Instancabile.
«Durante l´estate lavoravo come skipper e questo mi ha permesso di entrare in un mondo che mi piaceva sempre di più», spiega con lo sguardo perso tra i ricordi, «poi giovanissimo ho incontrato un amico, Jim Shearston, che mi ha offerto di fare la mia prima traversata dell´Atlantico. Eravamo in tre, lui che di anni ne aveva settantuno, io e un altro ragazzo. Pensavo: ora arriviamo noi e spacchiamo il mondo. E, invece, quel vecchio marinaio ci ha dato più di una lezione». Da allora Soldini non ha più abbandonato il mare. In perfetta solitudine, seppur in modo non competitivo, ha esordito a diciannove anni: «Ero stato a Cuba per condurre dei turisti e mi avevano lasciato una barca di sei metri che ho trasportato da Cala Galera sino a Barcellona». Nel 1989 vince l´Atlantic Rally for Cruisers, la regata transatlantica per imbarcazioni da crociera. Come navigatore solitario diventa famoso durante la Baule-Dakar del 1991, al timone di un cinquanta piedi di seconda mano. Ma è all´alba del 3 marzo del 1999 che, a Punta dell´Este, tifosi e giornalisti lo aspettano trepidanti. Da quel momento Giovanni Soldini diventa mito. Quando il suo sessanta piedi Fila taglia per primo il traguardo della terza tappa della Around Alone (il giro del mondo a vela per navigatori solitari) stabilisce un nuovo record: centosedici giorni, venti ore, sette minuti e cinquantanove secondi. Un fulmine, per il grande pubblico. Un´eternità, per chi è solo in mezzo al mare. «Il vero problema di navigare in solitaria è dormire, perché più riesci a essere presente e vigile e più la barca va forte. Quindi ti concedi dei sonnellini da venti minuti al massimo». Mentre si racconta assaggia con gusto un piatto d´insalata: «Il bello delle privazioni è che poi ti fanno apprezzare le cose semplici, come riposare in un letto o mangiare seduto a tavola». Quando è in barca, però, Soldini non si arrende alla dittatura del cibo liofilizzato. Anzi. «Ho inventato un´ottima pasta in pentola a pressione, cotta con un bicchiere d´acqua dolce e uno di acqua salata perché in mezzo al mare la cosa più importante è risparmiare. Altro segreto è cucinare mezzo chilo di pasta per pranzo perché non sai cosa ti può succedere nelle ore successive. E poi, naturalmente, scorte di nutella e biscotti». Piccoli sacrifici ricompensati da momenti magici. «La mia prima vittoria è stata una tappa del giro del mondo da Cape Town a Sidney, il diretto concorrente era un australiano che si era giocato i baffi e quando l´ho superato ero veramente contento d´immaginarmelo senza quei baffoni», racconta con gli occhi che ridono prima ancora di parlare.
Nella sua vita non ci sono stati però solo momenti felici. Il più brutto, sicuramente, durante un tentativo di record della traversata atlantica da New York a Cap Lizard, quando un´onda, più maledetta delle altre, ha rovesciato il Fila e gli ha portato via l´amico di sempre, Andrea Romanelli. Il buio. «Andrea era un marinaio eccezionale e anche un grande progettista, purtroppo abbiamo preso una tempesta enorme che per due giorni ci ha sbattuto contro a centosessanta chilometri l´ora. Poi è arrivata un´onda anomala che si è scontrata sullo "zoccolo continentale", il che vuol dire che è diventata un muro d´acqua di quasi trenta metri, e in due secondi i due compagni che erano fuori si sono slegati e Andrea non è riuscito a risalire». A quel punto la tempesta, come un veleno, è entrata anche nella testa di Soldini: «Dopo quella furia ti rimane dentro un grande dolore e una domanda: che senso ha tutto questo? Poi ho capito che l´unica risposta era rimettersi in piedi e fare il giro del mondo. La vittoria è arrivata perché la barca era progettata bene, Andrea si era sacrificato tanto per renderla perfetta, e questo è il riconoscimento alla sua bravura».
Soldini ama la solitudine. «Mi piace il rapporto intimo con la barca, imparare a sentire qualsiasi fruscio e rumore. Mettersi in contatto con tutti i sensi e non avere bisogno di nulla. Sei piccolissimo in mezzo all´immenso e la natura ti parla. Subentra una sensibilità pazzesca derivata dal fatto che, se non capisci che c´è un problemino, potrebbe diventare un problemone se non c´è nessuno ad aiutarti. Però in fondo ti consoli pensando che non sei mai solo, c´è chi ti aspetta nelle tappe, chi controlla l´aspetto multimediale. Mia moglie sa sempre perfettamente dove sono. Ci sono fax, telex, internet e telefoni satellitari. Il nostro è un gran lavoro di team che per gli altri, quelli che rimangono a terra, è molto faticoso e senza visibilità». Ma è anche bello navigare in gruppo: «Con gli altri dell´equipaggio s´instaura un rapporto speciale, parli di tutto. Bisogna avere molta fiducia ed essere perfettamente coordinati il che, forse, è l´aspetto più difficile». Le giornate di chi va per mare sono tutte simili e tutte diverse. I pensieri sembrano uscire dal tempo. «È un immenso privilegio. Trenta o settanta giorni è lo stesso, vivi il presente e ti accorgi dello scorrere delle ore solo quando sei vicino all´arrivo. Prima di quel momento non c´è oggi o domani, neppure mattina o sera, magari hai l´orologio che segna mezzanotte ma dalla parte del mondo in cui sei finito il sole ti spacca la pelle». Anche il risultato non deve condizionare troppo. L´ansia fa fare scelte sbagliate. «Dovresti essere contento di essere lì, comunque vada. Per me vincere non è mai stata l´unica cosa che conta. Solo così puoi mantenere l´equilibrio perché nessuno resisterebbe centosedici giorni con il solo obiettivo di arrivare per primo fisso nel cervello».
La paura è l´inevitabile compagna. Si fa sentire, puntuale, alla vigilia di ogni partenza. «È il momento di massima adrenalina e del buco nello stomaco, quello in cui vorresti essere dall´altra parte del mondo. Poi però passa e tutto rientra in una sorta di normalità». Diverso è il panico. Quell´ansia feroce che impedisce di ragionare. «Se ti capita un incidente non hai il tempo di pensare, per fortuna il senso di sopravvivenza ti aiuta a tenerlo sotto controllo». Ogni mare riserva insidie diverse. «Le acque cristalline del sud sono le più affascinanti con la loro atmosfera esotica ma sai che, se ti succede qualcosa, non c´è terra nelle vicinanze. Se sei sopra il cinquantesimo, invece, non ci sono navi e nessuno ti può salvare se non i tuoi amici». Di salvataggi Soldini ne sa qualcosa: quando Isabelle Autisser si è rovesciata in pieno Pacifico meridionale, con un cielo e un mare che sembravano un unico inferno, lui è riuscito a recuperarla urlando come un pazzo: «L´ho beccata, l´ho beccata!». Il battito del cuore così forte da non far sentire il rumore del mare.
Quando non naviga Soldini è apparentemente tranquillo. Ha quattro bambini, avuti da due donne diverse, che naturalmente già porta in barca. Vive a Sarzana e cerca di fare le cose che ama di più: leggere, sentire musica, stare con i figli. Una cosa che invece non ama affatto, ma che fa parte del suo mestiere, è la ricerca del denaro necessario per costruire le barche e per finanziare le imprese. La caccia all´indispensabile sponsor. Una volta è ricorso anche al fai da te. Con una comunità di recupero per tossicodipendenti ha costruito Stupefacente: «È stata un´esperienza speciale, in otto mesi coinvolgendo tantissime persone e alla fine è arrivato anche lo sponsor». Adesso si prepara a una nuova avventura. Nell´ottobre del 2011 porterà il tricolore alla Volvo Ocean Rice. È la sfida epica per eccellenza. Un giro del mondo in equipaggio che tocca tutti i continenti e gli oceani nell´arco di otto mesi. Un incredibile test di resistenza fisica e psicologica. «Il nostro obiettivo è quello di aggregare un gruppo di aziende che sostenga un team tutto italiano, creando un´immagine forte attorno alla barca "Italia70"». Il 2010, per Giovanni Soldini, è dedicato invece a comunicare il mondo della vela a un pubblico ancora più grande. «Vogliamo uscire dall´idea di sport d´élite e avvicinare scuole e giovani al mare e a un´idea ecologica di sport». Conoscendolo, non sarà difficile.