MICHELE SERRA la Repubblica 25/7/2010; MARIO SERENELLINI, la Repubblica 25/7/201, 25 luglio 2010
2 articoli - OFFICINA MOEBIUS - Quando le prime tavole di Moebius arrivarono in Italia sulle pagine di Alter Linus noi giovani fumettari, convinti che quella non era una vice-arte, ma arte di serie A, ci trovammo di fronte a una prova schiacciante
2 articoli - OFFICINA MOEBIUS - Quando le prime tavole di Moebius arrivarono in Italia sulle pagine di Alter Linus noi giovani fumettari, convinti che quella non era una vice-arte, ma arte di serie A, ci trovammo di fronte a una prova schiacciante. La prova definitiva. Le figure alate di Moebius, i suoi umanoidi mitologici, galleggiavano nel vuoto come i sogni galleggiano nel sonno. Apparizioni inedite, sbucate dal nulla. Il mondo di carne e pietra, di sabbia e cristallo di quegli eroi silenziosi aveva la potenza evocativa del cinema unita alla libertà figurativa della grande pittura. Moebius aveva inventato un mondo mai visto prima: un lusso da Creatore. Niente sapevamo dei suoi precedenti "umili", da disegnatore di storie western e da sperimentatore su riviste francesi delle quali eravamo all´oscuro (non c´era mica Internet, tutto viaggiava su carta in quegli anni Settanta).Sapevamo, questo sì, che il fumetto francese era grande, pari a quello americano per qualità anche se non per quantità di autori. Un fumetto "colto", sia quello avventuroso sia quello satirico che proprio su Linus si era manifestato con le storie dello strepitoso Lauzier e di Claire Bretecher. Di quello avventuroso alcuni di noi conoscevano Tintin, Asterix, Lucky Luke, qualche albo di Pilote. Ma Moebius era davvero cosa mai vista, sbaragliava il campo, cambiava le carte in tavola, i comics, per sua mano, uscivano di prepotenza dal "buffo", dal caricaturale, dall´infantile, e assumevano una potenza iperreale, perfino più che cinematografica. Quegli adulti che ci invitavano a lasciar perdere gli albi a fumetti, "cose da bambini", per dedicarci a letture più mature, erano serviti: di fronte a Moebius svaniva ogni riserva sulla minorità del fumetto. Pochi anni fa rividi a Parigi una memorabile mostra di Moebius. Mi diede l´occasione di rivivere l´emozione originaria della prima lettura, del primo sguardo, quando Arzach, l´eroe volante di Moebius, decollò dalla rivista Métal Hurlant e atterrò nel mondo di Linus e di Alter. Con Moebius la fantascienza diventa un crocevia tra post-storia e preistoria. Tutta la fiction dopo di lui, cinematografica e non, è stata profondamente influenzata da questa sua visione extra-cronologica del futuro. Assieme a Roland Topor, il maestro parigino ha strappato la fantascienza dalla sua fissità futurista, scintillante e cosmocentrica, e l´ha trascinata in un mondo viscerale, terricolo, pietroso, ricco di richiami ancestrali, dalle teste sacre dell´Isola di Pasqua ai mastodonti pre-umani. I rimandi a Moebius, nel cinema, nel fumetto, nell´arte, sono così numerosi che non basterebbero cento tesi di laurea a catalogarli tutti. Da Alien a Tron a Dune, dai manga al nostro Andrea Pazienza, le forme di Moebius, l´ambiguità dei suoi corpi sincretici (un po´ di carne, un po´ di pietra, un po´ di metallo) sono davvero un archetipo dell´immaginario contemporaneo. Nel Pazienza più visionario, quello che dava sagoma alle pulsioni più fonde, l´omino che cavalca il mastodonte è forse quanto di più moebiusiano si sia visto dopo Moebius. C´è, come in Moebius, un eroismo epico e struggente, la sfida del piccolo bipede indifeso che affronta la natura e il cosmo. Anche in Avatar qualcosa di Moebius aleggia: i guerrieri che vanno a combattere gli aerei da caccia cavalcando grandi uccelli rostrati. Ma il tocco hollywoodiano aggiunge a quei voli una destrezza giocosa e troppo colorata, da videogame, da gioco infantile. Il mondo di Moebius è invece per adulti, e comunque tale da far sentire adulti i ragazzini che ne restano presi. I suoi cavalieri e le sue cavalcature hanno una imponenza ieratica che il cinema difficilmente può restituire. Nella pagina di Moebius non solo il tempo, anche l´uomo è sospeso. La fissità del disegno, in questo senso, avvantaggia il grande autore, impressiona la retina con una precisione che il cinema non possiede. Se poi il grande autore - e questo è il nostro caso - è un genio, quell´immagine diventa archetipo, come se esistesse da sempre, fosse già nei nostri pensieri reconditi, e la matita di Moebius l´avesse finalmente evocata, facendola sprigionare dal bianco del foglio, liberandola per sempre. MICHELE SERRA la Repubblica 25/7/2010; Spiega i suoi fumetti come partite di calcio: folla-giocatori, azioni-boati, interazioni mutanti, organiche e orgasmiche, che si gonfiano come un pallone, generate da un pallone. «Le mie tavole nascono un po´ così: un saliscendi di turgori e silenzi. Lievitano, fermentano su se stesse: come scatole cinesi, bambole russe, visioni a incastro». «Proliferazioni», «metamorfosi»... parole che arrivano presto incontrando Moebius. Oggi arrivano subito, in un´estate che gli stuzzica il buonumore e lo sguardo incandescente di mago metropolitano. L´8 maggio ha compiuto settantadue anni («sono un creativo o un vegliardo?»). Dal 12 ottobre al 13 marzo sarà festeggiato a Parigi con la personale "Moebius transe-forme", alla Fondation Cartier. La Fondation Cartier nel 1999 gli aveva già dedicato un altro giubileo fantasy, "1 monde réel": «Il mio percorso, lungo più di mezzo secolo, sarà documentato dal diario a matita, Inside Moebius, da opere degli ultimi vent´anni e da quel che resta dei primi trenta. Sarà la celebrazione dell´espandersi, dell´uscire da se stessi, dal proprio sapere, in una tensione, attraverso il processo creativo, a un più alto livello di coscienza, cioè di fuga dalle sottomissioni». E qui le equivalenze col calcio cominciano a vacillare. Ma Moebius, uno e trino, si sdoppia tra stili e pseudonimi - Jean Giraud, Gir... - , si srotola e si rincorre beffardo (come il nastro trompe l´oeil dell´astronomo da cui ha preso nome) anche nella realtà d´ogni giorno, come adesso, nella minuscola galleria invasa dai suoi libri, dai suoi quadri e dalle sue risate, con cui glossa riflessioni a se stesso inattese, paradossali: «A sei-sette anni, mi sentivo già calamitare verso due poli d´attrazione: la storia dell´arte, con la sua sacralità sovrana, la solennità di cattedrale, e i fumetti, all´epoca Topolino e Tintin. C´erano due voci in lotta dentro di me: una mi spronava ai media, l´altra al mondo più vasto e aleatorio dell´arte. Mi sono trovato, fin da bambino, davanti alla necessità d´una scelta tra fumetto e pittura. Già allora l´arte m´appariva una vetta lontana, mi sentivo escluso dalla cattedrale. Il fumetto aveva un´aria più accogliente, invitante, come una sorgente fresca. Per me è stato il dito puntato su un cammino possibile, già ricco di tracce sicure: il richiamo di una voce materna. Invece che in una chiesona severa, giudicante, mi pareva d´entrare in un capannone, che sa di fumo e di birra: dove anche un cattivo ragazzo (i nostri genitori disapprovavano i fumetti) avrebbe ricevuto un riconoscimento». I suoi primi maestri appartengono però all´arte, non alle strip: Piranesi, William Blake, Gustave Doré... «Doré mi ha subito sconvolto. Come, poi, Steinberg, un grande. Ho trascorso un´infanzia pregna d´incisioni dell´Ottocento. Negli anni Trenta - Quaranta circolavano in famiglia libroni illustrati, ricevuti in regalo a ogni promozione: erano cronache di viaggio intorno al mondo, mirabilmente illustrate da star dell´incisione. Una cosa buona creata dal colonialismo! - scoppia a ridere Moebius - . Tra gli illustratori ho imparato presto a distinguere Doré, di gran lunga superiore a tutti. Di solito, mi immergevo in queste pagine quand´ero a letto con la febbre, per la malattia infantile di turno. Erano tutte letture febbricitanti». È stata questa la sua prima fantascienza? Hanno forse cominciato così, nelle trasparenze del dormiveglia, a prendere corpo i suoi mondi paralleli, allucinatori? «È da lì che è nato il personaggio del Major Grubert, col suo bravo casco coloniale, che racconta storie fantastiche. È modellato su quei reporter che alle mie febbri comunicavano erranze metafisiche, molto vaghe ma molto ben argomentate: rituali esotici, decapitazioni, cannibalismi. Più il soggetto era orribile e più appariva meraviglioso. Attraverso quelle cronache visionarie, il mondo occidentale mi si rivelava un´oasi civilizzata, mentre mi addentravo in quegli universi di magica, ingegnosa barbarie, resi più affascinanti dall´idea di una loro sparizione imminente, darwiniana: il fatto di ridurli a descrizione evocativa, a mitologia, era un modo di estinguerli, di consegnarli a un paradiso perduto». Il mistero, l´oscuro tradotto in disegno particolareggiato, implacabilmente esatto, è la caratteristica, anzi il "programma" del suo stile. La sua fantascienza si manifesta come scienza: «Quanto più un fenomeno è vago, sfuggente, tanto più precisa deve esserne la descrizione. È il lavoro compiuto dalla poesia, che rivela l´ignoto attraverso il noto. Una mela, in poesia, squarcia veli atavici. È compito dell´arte rendere il mondo enigmatico, ripulirlo dell´ovvietà. Per questo amo l´arte contemporanea. Marcel Duchamp, con le nuove epifanie degli objets trouvés, il loro capovolgimento di senso, ci ha liberato e acuito la vista». È quanto le riconosceva Folon («Moebius trasforma una pietra in montagna, vede l´oceano in una goccia d´acqua»): «La veggenza grafica è il contrario del ragionamento costruito: capta con la matita immagini volatili, fuggiasche. Non si può far nulla di sensato se non si arriva all´estremo di se stessi, se non si sfiora il sogno, l´enigma. I surrealisti ci avevano provato con la scrittura automatica, con la casualità grafica del cadavre exquis: ma la logica era ancora lì, l´inesplorato della ragione rimaneva inesplorato. L´artista dev´essere sempre un passo più in là della percezione corrente: fare scoprire ogni volta la mela, in un modo in cui non è mai stata vista prima». Già dal ´63, negli album a decine della saga-Blueberry, disegnata a partire dalle storie di Jean-Michel Charlier («e con gli occhi puntati sui film di Sergio Leone e sul West crepuscolare di Sam Peckinpah!»), l´iperrealismo del tratto s´apre a suggestioni mimetiche, a attrazioni mutanti eroe-ambiente: s´è parlato per alcune tavole di uomo-minerale, uomo-animale. Pur in una grafica fotografica, lo sconfinato West di Gir fa da test alle impennate cosmiche, psichedeliche del parallelo Moebius, che si liberano nelle volute mute di Arzach e nei racconti fluttuanti del Garage hermétique, cioè nella grande stagione anni Settanta - Ottanta degli Humaoïdes Associés e della rivista Métal Hurlant, che farà ancora dire a Folon: «I sogni di Alice ci portano nell´altro lato dello specchio, i voli di Arzach nell´altro lato dello spazio». Di nuovo Moebius: «Fondamentale, in quel periodo, è stata la grande libertà nella quale operavamo: ci eravamo dati obiettivi precisi ma senza limitazioni, non avevamo da rispettare ortodossie com´era avvenuto tra i surrealisti. Era sufficiente disegnare. Ci riunivamo, prima di ogni numero: ma poi, ognuno per sé. Dopo il colpo di pagaia, la pagaille, il caos. Ciascuno sprofondava nei suoi personali abissi, rassicurato dall´idea che il gruppo degli Humanoïdes (oltre a me, Philippe Druillet, Bernard Farkas e Jean-Pierre Dionnet) formasse un´identità collettiva da cui, una volta costituita, divenisse naturale scivolar via, eclissarsi, sparire». È, quella, l´epoca degli incontri e degli scambi più creativi e mediatici: Ridley Scott, per cui cura il design di Alien e Blade Runner, la Disney (Tron), René Laloux (il cartoon Les maîtres du temps) e soprattutto Alejandro Jodorowski (suo collaboratore per le strisce Les yeux du chat e il comico-mistico Incal), con cui realizza lo story board di Dune, poi "dismesso" e assorbito nel film di David Lynch. Il guardingo magnetismo tavole-schermo segna il cambio di millennio, continuando con Il quinto elemento di Luc Besson e Blueberry di Jan Kounen, fino a proliferare, occultamente, in film recenti: le magrittiane stalattiti celesti di Avatar o l´azzurra donna-gigante emergente dalle acque di Venezia che anticipa l´inquadratura regina di Valzer con Bashir. L´evento mancato è un fantasy con Fellini. Cine-rimpianti, Moebius? L´artista sorride al ricordo della proposta ricevuta nel 1979 dal regista che, abbagliato dalle sue strip dalla «luce fosforica, ossidrica, perpetua, proveniente dai limbi solari», gli aveva reso omaggio tre anni prima nel Casanova col personaggio di Moebius (lui ricambierà ritraendo Fellini e Sutherland nel suo Casanova del 1998): «Il disegno non è, in sé, un passaporto naturale per la scrittura o il cinema. Lo sento se mai più vicino alla danza, alla musica. Ho scelto di essere autore di fumetti, un Don Chisciotte dell´arte, conquistandomi le mie Dulcinee: come Il Paradiso, illustrato nel 1999 per la milanese Nuages, dove ho potuto finalmente lavorare sulle spalle di Doré, il più infantile degli artisti, il più danzatore, sciogliendomi in uno spazio tra fantascienza e metafisica, con in più quel tocco d´animismo che ha Dante. L´unico cruccio è il lavoro fatto in fretta, col rischio della superficialità. Rembrandt lavorava seriamente su un disegno: anche Koons, anche Picasso. Al confronto, mi sento uno che insegue Topolino, sempre di corsa». MARIO SERENELLINI, la Repubblica 25/7/2010