Varie, 28 luglio 2010
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• Macuspana (Messico) 13 novembre 1952. Politico. Candidato dell’Alleanza per il bene di tutti alle presidenziali del 2 luglio 2006, fu sconfitto dal conservatore Felipe Calderon (cha accusò di brogli) • «[...] È stato, a lungo, governatore, e con buoni risultati, di Città del Messico, una megalopoli ingestibile con venti milioni di abitanti, ma non ha quasi mai viaggiato all’estero. Cioè lo ha fatto quattro o cinque volte. Due sicuramente per andare a Cuba. Un’altra per fare un breve giro turistico degli Stati Uniti con la famiglia. Eppure è un uomo impeccabile. Piccolino e magro si alza sempre prima delle sei del mattino (l’ora in cui convoca il suo staff) ed è dotato di una energia inesauribile. Veste soltanto completi blu molto scuro e l’inevitabile camicia bianca con l’ultimo bottone slacciato, quasi sempre senza cravatta. Ma è imbattibile quando parla. Usa un linguaggio semplice e preciso, lucidissimo nell’argomentare, che non concede assolutamente nulla alla passionalità e alla retorica verbosa e vacua tipica dei populisti latinoamericani alla Chavez o alla Fidel Castro. Eppure è magnetico. I suoi fan si spellano le mani quando lo ascoltano e le donne, a volte, svengono [...] ha fama d’autoritario, decisionista, poco incline al compromesso. Ha fatto fuori dal partito il vecchio patriarca, quel Cuauhtemoc Cardenas ch’è stato per due decenni il padre padrone della sinistra messicana, senza offrigli neppure l’onore delle armi. Un posticino seppur simbolico. Però ha tre idee molto chiare in testa per il futuro del Messico. La prima è la difesa dell’economia nazionale contro lo strapotere di Washington. La seconda è una redistribuzione, anche forzata, della ricchezza: ovvero pensioni per tutti gli anziani e per le donne sole di qualsiasi età. La terza è l’austerità per il governo e i funzionari dello Stato: via privilegi e auto blu. E poi abbassare i costi dei servizi (benzina, luce e gas), investire nella ricerca di nuove fonti d’energia (i giacimenti di petrolio) e finanziare le Università e l’istruzione. I sondaggi della vigilia dicono che vincerà, ma i sondaggi spesso sbagliano. [...]» (Omero Ciai, “la Repubblica” 2/7/2006) • «[...] usa un linguaggio di sinistra, non parla inglese, raramente va all’estero e preferisce non occuparsi di politica estera, dedicandosi a temi come la lotta alla povertà [...] fa la campagna gridando “Prima il Messico e poi il mondo” [...]» (Maurizio Molinari, “La Stampa” 1/7/2006) • «Un Lula messicano o uno Chávez con il sombrero al posto del basco rosso? Ogni volta che il favorito alle presidenziali del 2006, Andrés Manuel López Obrador, viene paragonato al leader brasiliano (solitamente come elogio) o a quello venezuelano (come incubo), la conclusione è sempre la stessa. L’onda di sinistra sta velocemente risalendo il continente americano e sta per arrivare addirittura al Río Grande, il grande fiume che separa il Messico dagli Stati Uniti. Senza aspettare la risposta, la potente macchina del vecchio Messico si è messa in moto. Che si riveli un illuminato riformista o un populista pasticcione, va impedito che López Obrador partecipi alle elezioni del 2006. Da mesi il Paese assiste a una guerra attorno a un processo di impeachment, tecnicamente di revoca dell’immunità, che coinvolge il popolare sindaco di Città del Messico. Leader del partito di centrosinistra Prd, Obrador guida i sondaggi per le presidenziali senza nemmeno essersi ancora ufficialmente candidato. Per fermarlo, i suoi avversari sono andati a pescare nelle carte della sua amministrazione, scoprendo un piccolo ma significativo errore. Qualche anno fa Obrador disattese la sentenza di un giudice che proibiva di costruire una strada di accesso a un ospedale, su un terreno privato. In un Paese dove gli scandali per corruzione si misurano in milioni di dollari, il peccato di Obrador era stato inizialmente sottovalutato. Non si erano fatti i conti con gli interessi congiunti dei due grandi partiti che l’anno prossimo rischieranno di essere spazzati via dal fenomeno Obrador. E cioè il Pri, il partito Stato che ha governato il Messico per 70 anni filati, e il Pan, il movimento dell’attuale presidente Vicente Fox, che ruppe l’egemonia del Pri con la storica vittoria del 2000. [...] Una commissione del Congresso ha dato il via libera al processo di impeachment. Mentre migliaia di sostenitori di Obrador occupavano lo Zocalo, la storica piazza centrale di Città del Messico, sostenendo la tesi del complotto, e la commissione lo inchiodava per quattro voti contro uno, il leader della sinistra messicana parlava di “canagliata” e di “atto autoritario”. [...]. Serio, deciso, affabile, lavoratore instancabile [...] piace sia ai poveri sia alla classe media. [...] vive in un appartamento modesto, ha tagliato il proprio stipendio e riempito la megalopoli di viadotti e autostrade, senza trascurare la spesa per la sanità e inventando un assegno per i più bisognosi. Secondo i suoi avversari politici, sta distruggendo le finanze della città ed è solo un pericoloso populista. Ora vorrebbe trasferire la sua politica sul piano nazionale. Attacca Fox e la destra perché intende vendere agli stranieri l’industria petrolifera, dice che l’accordo del Nafta con gli Stati Uniti è da rivedere. Usa, con moderazione, i discorsi contro il neoliberismo oggi vincenti in America Latina e non lesina frecciate a Washington. Ma allo stesso tempo ha stretto un accordo con il miliardario Carlos Slim per restaurare il centro storico della capitale e chiesto a Rudolph Giuliani una consulenza sul problema della violenza urbana. [...]» (Rocco Cotroneo, “Corriere della Sera“ 4/4/2005).