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 2010  luglio 27 Martedì calendario

CACCIATO PERCHE’ PUBBLICAI LE IMMAGINI DEI MASSACRI

Cinque anni dopo la loro istituzione e diciotto mesi do­po l’avvio del processo, le «Ca­mere straordinarie dei tribuna­li cambogiani» hanno final­mente condannato il primo esponente dei Khmer rossi per i crimini contro l’umanità com­messi nel periodo 1975-79. Si tratta di Kaing Guek Eav, detto il compagno Duch, direttore del famigerato carcere Tuol Sleng S-21, in cui furono tortu­rati e uccisi 14mila cambogiani (compresi molte donne e bam­bini) colpevoli soltanto di sape­re leggere e scrivere e quindi di essere stati «contaminati» dal­la civiltà capitalista. Nonostan­te l’immensità dei suoi delitti, si tratta di un pesce relativa­mente piccolo rispetto non so­lo a Pol Pot, il capo del movi­mento morto nel 1998. Duch, che alla caduta del regime si era eclissato ed era stato scova­to in un remoto villaggio dell’in­terno dal giornalista irlandese Nic Dunlop solo nel 1994, ha confessato le sue colpe e chie­sto perdono alle sue vittime, ma ha sostenuto di essere stato solo una rotella di un ingranag­gio infernale più forte di lui.
Il processo, in realtà, non ha aggiunto molto a quanto già sa­pevamo dei delitti commessi dai Khmer rossi quando, dopo il ritiro degli americani nella primavera del ’75, assunsero il controllo della Cambogia. Il lo­ro leader Pol Pot, formatosi ne­gli ambienti «gauchiste» di Pari­gi e seguace di un comunismo alla cinese, sosteneva che la ci­viltà capitalista aveva corrotto l’umanità e che, per purgarla da questo morbo, bisognava sopprimere tutti gli individui «contaminati». Per questo il suo movimento, composto da giovani analfabeti reclutati nel­l­e campagne cui era stato instil­lato l’odio per «l’uomo urba­no », procedette al metodico sterminio di circa due milioni di persone (un terzo della popo­­lazione), spesso accusati solo di portare gli occhiali: dopo es­sere stati rinchiusi in campi di concentramento come Tuol Seng, venivano torturati e poi inviati a morire nelle paludi del­­l’interno, come documentato dal famoso film «Urla dal silen­zio ».
In realtà, più della scontata condanna di Kaing, interessa constatare quanto il giudizio sui Khmer rossi sia mutato ri­spetto al periodo in cui egli commetteva i suoi misfatti. A metà degli anni Settanta, infat­ti, Pol Pot era portato in palma di mano da gran parte della sini­stra europea. L’11 aprile del 1975, cioè prima dell’apertura di Tuol Seng, ma quando già si conoscevano le sue idee, il Co­mitato centrale del Pci (com­prendente tra gli altri D’Alema, Napolitano e Bassolino) votò una risoluzione per esaltare «l’eroica resistenza dei popoli cambogiano e vietnamita» e in­vitare tutti i comunisti a «svilup­pare un grande movimento di solidarietà e di appoggio ai combattenti». Molti intellettua­li, compresi scrittori illustri co­me Tiziano Terzani, considera­vano Pol Pot e i suoi Khmer ros­si avanguardie della rivoluzio­ne ed eroi della guerra contro gli «imperialisti americani» del­le popolazioni indocinesi. Pen­sarla diversamente, anche quando il genocidio era già ini­ziato da tempo, era considera­to un atteggiamento fascista. Quando il sottoscritto, allora di­rettore di Epoca , pubblicò nel­la primavera del 1976 con il tito­lo «Un massacro per la rivolu­zione » il primo servizio fotogra­fico che documentava i crimini del regime cambogiano, fu du­rame­nte contestato dal comita­to di redazione e alla fine ci rimi­se addirittura il posto.
Per quel­la sacrosanta rivoluzione - era la tesi dei compagni- non si po­tevano commettere massacri, al massimo si eliminava qual­che traditore, e le immagini che dimostravano il contrario non potevano essere che falsi fabbricati dalla Cia. Ci vollero diversi anni, e innumerevoli quanto inconfutabili testimo­nianze, prima che anche i co­munisti occidentali si decides­sero ad ammettere che Pol Pot era solo un grande criminale. Più che a fare giustizia, la con­danna del compagno Duch può essere utile per ricordare ai giovani che ancora sventola­no bandiere rosse con falce e martello quanti crimini furono commessi in nome del comuni­smo, non solo nella versione eu­ropea, ma anche in quella asia­tica, e come possa essere peri­coloso seguire acriticamente le sirene della cosiddetta intelli­gentia
di sinistra.