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 2010  luglio 25 Domenica calendario

LA PARODIA EPICA DELLO STUPRO CHE DIVISE L’INGHILTERRA

Il ratto del ricciolo è un raro caso di una poesia d’occasione trasformatasi in capolavoro lettera­rio. Da poco ripubblicata nell’assai bella tradu­zione di Alessandro Gallenzi, l’opera più celebre di Alexander Pope, il «piccolo usignolo» della Chiesa cattolica nell’Inghilterra sette-ottocentesca,è un’ele­g­ante e satirica raffigurazione dell’aristocrazia britan­nica dell’epoca. L’occasione, futile quant’altre mai, fu il taglio di una ciocca di capelli a una giovane e bella dama dell’alta società londinese, Arabella Fer­mor, da parte del suo spasimante Lord Petre,che s’im­possessò del ricciolo come di un trofeo. L’episodio scatenò una furiosa guerra tra due casate un tempo amiche, e per tentare di pacificarle fu chiesta la me­diazione di Pope, che trasformò il banalissimo taglio del ricciolo in una magniloquente parodia epica (ispi­rata a La secchia rapita di Tassoni). Lungi dal rappaci­ficare i litiganti, l’opera di Pope ferì l’onore degli inte­ressati, anche per il fitto gioco di rimandi e di allusio­ni sessuali ( rape vale «ratto», ma anche «stupro»), ma contribuì alla gloria del poeta.
Figlio di un ricco commerciante, Pope (Londra, 1688- Twickenham, 1744), non potendo accedere al­la scuola pubblica perché cattolico, si formò in priva­to sui classici inglesi latini e greci (i suoi modelli era­no Orazio e Virgilio), applicandosi con zelo leopardia­no.
«Non faceva altro che leggere e scrivere», testimo­niò la sorellastra. Rachitico per una tubercolosi che ne aveva arrestato la crescita (misurava 137 centime­­tri), si dedicò con successo alla traduzione dei poemi di Omero, ricavandone fama e ricchezza, tanto da permettersi una splendida villa fuori Londra. Noto per il suo sarcasmo, era aggressivo e attaccabrighe, e non lesinava sberleffi a scrittori, critici e scienziati. «Ad ogni parola - diceva - muore una reputazione». E consolidò la sua demolendo quella di chi lo attacca­va. Come quando rispose con una feroce parodia, La zuccheide , al censore di una sua edizione di Shakespe­are: «Ti batti la zucca, ma non c’è nessuno in casa».