Nicola Crocetti, il Giornale 25/7/2010, pagina 22, 25 luglio 2010
LA PARODIA EPICA DELLO STUPRO CHE DIVISE L’INGHILTERRA
Il ratto del ricciolo è un raro caso di una poesia d’occasione trasformatasi in capolavoro letterario. Da poco ripubblicata nell’assai bella traduzione di Alessandro Gallenzi, l’opera più celebre di Alexander Pope, il «piccolo usignolo» della Chiesa cattolica nell’Inghilterra sette-ottocentesca,è un’elegante e satirica raffigurazione dell’aristocrazia britannica dell’epoca. L’occasione, futile quant’altre mai, fu il taglio di una ciocca di capelli a una giovane e bella dama dell’alta società londinese, Arabella Fermor, da parte del suo spasimante Lord Petre,che s’impossessò del ricciolo come di un trofeo. L’episodio scatenò una furiosa guerra tra due casate un tempo amiche, e per tentare di pacificarle fu chiesta la mediazione di Pope, che trasformò il banalissimo taglio del ricciolo in una magniloquente parodia epica (ispirata a La secchia rapita di Tassoni). Lungi dal rappacificare i litiganti, l’opera di Pope ferì l’onore degli interessati, anche per il fitto gioco di rimandi e di allusioni sessuali ( rape vale «ratto», ma anche «stupro»), ma contribuì alla gloria del poeta.
Figlio di un ricco commerciante, Pope (Londra, 1688- Twickenham, 1744), non potendo accedere alla scuola pubblica perché cattolico, si formò in privato sui classici inglesi latini e greci (i suoi modelli erano Orazio e Virgilio), applicandosi con zelo leopardiano.
«Non faceva altro che leggere e scrivere», testimoniò la sorellastra. Rachitico per una tubercolosi che ne aveva arrestato la crescita (misurava 137 centimetri), si dedicò con successo alla traduzione dei poemi di Omero, ricavandone fama e ricchezza, tanto da permettersi una splendida villa fuori Londra. Noto per il suo sarcasmo, era aggressivo e attaccabrighe, e non lesinava sberleffi a scrittori, critici e scienziati. «Ad ogni parola - diceva - muore una reputazione». E consolidò la sua demolendo quella di chi lo attaccava. Come quando rispose con una feroce parodia, La zuccheide , al censore di una sua edizione di Shakespeare: «Ti batti la zucca, ma non c’è nessuno in casa».