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 2010  luglio 25 Domenica calendario

L’ALLEGRA BRIGATA CHE TURBO’ HENRY JAMES

Un’estate, affitta­m­mo una casa a Rye, sorta di meraviglio­so isolotto terre­stre, in cui la città torreggia come una cittadella, quasi come la colli­na di un dipinto medievale. Per caso, la casa vicino alla nostra era la dimora dai pannelli di quercia su cui si posarono gli occhi d’aquila di Henry James,per così dire attraversando l’Atlantico. Henry James era un americano che aveva reagito contro l’Ameri­ca ed esercitato la s­ua acuta psico­logia su tutto ciò che sembrava in­glese, nel senso di aristocratico e antiquato. Nella sua ricerca delle più lievi sfumature tra le ombre del passato, era logico che avreb­be voluto quella città tra tutte, e quella casa tra tutte. Era stata la sede di un’importante famiglia aristocratica del vicinato, che da tempo era decaduta e scompar­sa. Aveva lunghe file di ritratti di famiglia, che Henry James tratta­va con reverenza, come fantasmi familiari. Penso che si consideras­se una sorta di amministratore o di guardiano dei misteri e dei se­greti di una grande casata, dove i fantasmi si aggiravano con deli­catezza. Narra la leggenda (non ho mai appurato se fosse vero) che egli avesse tracciato l’albero genealogico della famiglia estin­ta, fino a scoprire, in una lontana città manifatturiera, un suo igna­ro discendente, che era un impie­gato di commercio, tranquillo e gioviale. Si racconta che Henry Ja­mes lo abbia invitato nella cupa casa dei suoi avi e lo abbia ricevu­to con una sorta di tetra ospitali­tà, con osservazioni di una delica­te­zza e di un tatto degni di un sup­plizio.
Henry James parlava sem­pre con un tono che potrei soltan­to definire esitante, non perché brancolasse nel buio per la ceci­tà, ma perché tentennava nella lu­ce, smarrito dai troppi viali e i troppi ostacoli. Non lo paragone­rei a un elefante che tenta di rac­cogliere un pisello, come disse H.G. Wells con malagrazia. Ma credo avesse una sorta di probo­scide sensibile e flessibile che si apriva la strada in una foresta di fatti, invisibili ai più. Queste ine­zie di simpatia e arguzia furono moltiplicate a beneficio dello strabiliato gentleman del com­mercio, mentre Henry James, con la sua testa a cupola debita­mente inclinata, si profondeva in scuse impenetrabili e faceva una sorta di resoconto misterioso del­la sua amministrazione. Dicono che il commerciante considerò la visita un fastidio mortale e la di­mora dei suoi avi, un vero infer­no. È probabile che non vedesse l’ora di andarsene a bere un bran­dy con soda al «Pink’Un».
Che la storia sia o meno vera, è pur certo che Henry James abita­va­in quella casa con tutta la solen­nità e la lealtà dei fantasmi di fa­miglia, non senza un non so che della delicatezza opprimente di un maggiordomo di famiglia col­­to e raffinato. Era un vecchio gen­tiluomo cortese e formale, di grande finezza in taluni aspetti so­ciali. In un aspetto, dimostrava la sincerità del suo culto per il tatto: era serio con i bambini. Vidi un bambino regalargli con impac­ciata solennità una bocca di leo­ne appassita e impolverata. Egli si inchinò, ma non sorrise. Quel ritegno era la prova migliore del­la sua comprensione per i bambi­ni, più del fatto di avere scritto Che cosa sapeva Maisie . Ma si sba­gliava in tutto ciò che aveva un rapporto con la vita, se davvero si sbagliava, perché eccelleva in so­lennità e lentezza. Fu questo, cre­do, che alla fine urtò i nervi trop­po vivi del signor Wells. Anche al­lora andava e veniva con veemen­te irriverenza per quella casa cu­pa e mi lanciava bigliettini oltre il muro del giardino. Parlerò più tardi del signor H.G. Wells e dei suoi bigliettini. Adesso ritorni­a­mo al punto in cui il signor Henry James venne a sapere del nostro arrivo a Rye e si accinse a fare la sua visita ufficiale (dopo un debi­to intervallo).
Inutile dirlo, fu una visita uffi­ciale molto solenne: James indos­sava l’abito da sera di giorni or­mai passati. Nessuno si veste con una tale orrida eleganza se non un americano ben vestito e nes­sun­o ha maniere così impeccabi­li come un americano beneduca­to.
Portava con sé il fratello Wil­liam, il famoso filosofo, e anche se, a conoscerlo, quest’ultimo era più frizzante di suo fratello, c’era un che di cerimonioso nel­l­’esibizione della famiglia al com­pleto. Parlammo della migliore letteratura del momento: James con tatto, io con piglio nervoso. Trovai che fosse più rigido di quanto avessi immaginato, in quanto alle regole della scrittura. Più che criticare, deplorava Ber­nard Shaw, perché i drammi co­me Sposarsi erano praticamente privi di forma. Mi fece qualche complimento e si dimostrò incu­ri­osito del modo in cui avevo scrit­to le mie cose. Più che «del mo­do », pensai si trattasse «del moti­vo ». Poi analizzammo con una certa solennità l’opera di Hugh Walpole, con diverse delicate sfu­ma­ture di apprezzamento e di in­certezza. Improvvisamente udii dal giardino davanti a casa una sorta di ruggito, che sembrava un’impaziente sirena per la neb­bia. Sapevo bene che non era una sirena per la nebbia, perché ripeteva:«Gilbert!Gilbert!»e ave­va il tono di un’unica voce al mon­do, la voce che ricordava uno dei suoi primi versi: Udirono Ney che urlava di preparare i cannoni / E di occupare di notte il ponte della Beresina.
Capii che era Belloc, che espri­meva con quell’urlo il desiderio di prosciutto e birra, ma non ave­vo la minima idea del modo e del­la forma con cui si sarebbe pre­sentato.
Avevo le mie buone ragioni per credere che fosse mille miglia lon­tano, da qualche parte in Fran­cia. E sembrava che in Francia ci fosse stato davvero, in viaggio con un suo amico, che lavorava al ministero degli Esteri, aveva la sua stessa religione e appartene­va a una delle vecchie famiglie cattoliche. Per un qualche errore di calcolo, si erano trovati senza un soldo in tasca nel bel mezzo del viaggio. Belloc è giustamente assai orgoglioso di aver vissuto, almeno per una volta, la vita del povero e di essersela cavata. Una delle ballate dell’«Eye-Witness», che non fu mai pubblicata, così descriveva i suoi vagabondaggi all’estero: Dormire e respirare l’in­censo del catrame, / Svegliarsi e contemplare le albe italiane / Sot­to il ramo di una stella solitaria / Dio! I ricchi non hanno vita varia.
Con questo spirito, avevano ri­preso la strada del ritorno, prati­camente senza un soldo. Una vol­ta logorati i vestiti, si erano procu­rati delle tute da operai. Non pos­sedevano un rasoio e non poteva­no permettersi di andar dal bar­biere, visto che avevano rispar­miato fino all’ultimo penny per attraversare la Manica. Poi si in­camminarono da Dover a Rye, dove sapevano abitava l’amico più vicino. Arrivati, chiedevano cibo e bevande a gran voce e si ac­cusavano per scherzo vicende­volmente di essersi lavati di na­scosto, infrangendo l’implicito patto dei barboni. Fu in questo modo che irruppero durante la delicatissima cerimonia del tè, in­terrompendo una delle frasi esi­tanti del signor Henry James.
Henry James aveva la fama di essere astruso, ma quella situa­zione era troppo astrusa anche per lui. Non sono in grado di dire ancora oggi se proprio lui, tra tut­ti, non si perse l’ironia della mi­gl­iore commedia in cui ebbe mo­do di avere un ruolo. Aveva lascia­to l’America perché amava l’Eu­ropa e tutto ciò che significavano Inghilterra e Francia, la piccola nobiltà, la galanteria, le tradizio­ni del lignaggio e della contrada, la vita che era stata vissuta all’om­bra dei vecchi ritratti nelle stanze rivestite di quercia. In quel mo­mento, dall’altro lato del tavolo da tè, c’era l’Europa, c’era la vec­chia razza che aveva fatto la Fran­cia e l’Inghilterra, i discendenti dei signorotti di campagna ingle­si e degli uomini d’arme francesi: erano stracciati, mal rasati, chie­devano birra a gran voce, se ne in­fischiavano dei segni di ricchez­za o povertà; erano scomposti, in­differenti, sicuri di sé. Su di loro si posava il giudizio della raffinatez­za puritana di Boston: e lo spazio che li divideva era più ampio del­­l’intero Atlantico. È giusto dire che i miei due amici in quel mo­mento erano così stracciati che perfino il tenutario di una locan­da inglese si era sbagliato, malgra­do il suo fiuto per i gentlemen in­glesi.
Sapeva bene che non erano dei barboni, ma dovette racimolare tutte le sue forze e i suoi principi per convincersi che si trattava di un membro del Parlamento e di un funzionario del ministero de­gli Esteri.