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 2010  luglio 27 Martedì calendario

L’ASSO NELLA MANICA DI MARCHIONNE

Una nuova ammiraglia a marchio Lancia, che sostituisca la mai decollata e sempre traballante Thesis; e una nuova ammiraglia per il marchio Alfa. La prima, sarà realizzata come variazione sul tema della Chrysler 300 C, una bella berlinona all’antica, ma molto prestazionale e confortevole, che gli uomini di Sergio Marchionne hanno importato a Torino per utilizzarla come base di sviluppo.
Insomma: per salvare gli stabilimenti italiani a maggior costo del lavoro, come Mirafiori, l’unica speranza è quella di realizzarvi dei modelli ad alto valore aggiunto, che giustifichino anche il ricorso a una manodopera più pagata, in quanto – almeno teoricamente – più esperta e competente di quella che si può trovare in Serbia o in Turchia, Polonia, Brasile. È peraltro la condizione grazie alla quale un colosso europeo come Bmw riesce ancora a produrre tanto in Germania: berline di lusso, molto care, su cui si guadagni tanto.
È questo l’asso nella manica che Marchionne si riserva di estrarre durante la trattativa con il governo e i sindacati che il ministro del welfare Maurizio Sacconi apre domani a Torino. Un asso nella manica che somiglia a un due di picche, se si considera che a fronte di questo tentativo (dall’esito tutt’altro che sicuro: la Fiat fino ad oggi non ha quasi mai imbroccato un modello di alta gamma) Marchionne ha deciso di chiudere Termini Imerese, spostare la produzione della Multipla da Mirafiori in Serbia e, soprattutto, andare avanti sull’impegno di investire 700 milioni di euro a Pomigliano, soltanto a patto di attuare la sua vecchia idea, cioè trasferire il personale consenziente sotto una nuova società che non abbia firmato il contratto nazionale dei metalmeccanici e tantomeno quello aziendale, dove l’azienda quindi abbia mani libere: un azzardo, del tutto estraneo alla cultura pluridecennale del diritto del lavoro italiano.
Insomma: a fronte di un tentativo, poco più di una promessa, che va a favore delle speranze di governo e sindacati italiani, il capo della Fiat squaderna tre fatti compiuti, tutti a favore dell’azienda: a Mirafiori, a Termini e a Pomigliano. Non gli basta vincere: vuole stravincere.
E invece no: è un’illusione ottica, Marchionne non è un negoziatore aggressivo. È semplicemente molto ma molto furbo. E molto ma molto americano. Quel che vuole veramente è migliorare al massimo i fattori di competitività entro i quali la Fiat produce. Sfruttando tutti i margini che il mercato offre. Ma senza forzature che gli si ritorcano contro.
E, in questo senso, Marchionne sa perfettamente di avere ancora bisogno dell’Italia: per la Fiat non sarebbe ancora conveniente, nemmeno se glielo lasciassero fare, andare a produrre tutto fuori dei nostri confini: ha ancora troppi investimenti da ammortizzare. E non può riuscirci senza una buona dose di pace sociale.
Marchionne, però, sa anche che i sindacati, al di là della faccia feroce di circostanza che sfoggiano, sono perfettamente consapevoli che la ragione dell’economia globale sta tutta dalla parte dell’azienda. Quindi, più Marchionne incalza, più sono costretti ad arretrare la linea di resistenza sulle loro richieste. Con la mossa della Serbia, il manager si è alienato il sostegno di Cisl e Uil, salvo recuperarlo concedendo il tentativo di rilancio su Mirafiori con le ammiraglie. Intanto però, vuole anche l’avallo della newco a Pomigliano (almeno, ci prova). Poi, con il suo consueto realismo, se dovesse constatare che la newco non passa, porterebbe comunque avanti l’impegno per Pomigliano, spostando altrove le esigenze di economicità.
Insomma, Marchionne è un furbo di quattro cotte. Sangue freddo, furbizia, prudenza, grande capacità di bluff, sono le frecce al suo arco. E le giocherà tutte nel negoziato con i sindacati italiani e con il governo. Con queste stesse doti riuscì, pochi mesi dopo essere arrivato alla Fiat, a spillare alla General Motors oltre un miliardo di euro di indennità per remunerare la rinuncia all’opzione put di Fiat Spa su Fiat Auto (il diritto di venderla tutti agli americani) che Paolo Fresco, a sua volta molto astuto, almeno in quel caso, aveva negoziato tre anni prima. Se ha giocato gli americani, Marchionne difficilmente si fermerà di fronte ai distinguo un po’ imbelli della Fiom o di un governo che ormai non ha nulla da dare in cambio.