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 2010  luglio 27 Martedì calendario

ITALIA RECORD: SCIOPERANO LE AMBASCIATE

C’è ancora uno sciopero che fa notizia, anzi la cui notizia ha già fatto il giro del mondo: quello delle feluche italiane. Un inedito assoluto, contro una manovra finanziaria che «rischia di minare la funzionalità della Farnesina» ha scioperato ieri il 90% dei diplomatici, dice Cristina Ravaglia leader del sindacato interno Sindmae, e che li ha messi in agitazione con lo slogan «Se la Farnesina va a fondo, l’Italia va fuori dal mondo».
Per evitare di vedere l’ambasciatore a Berlino Valensise a fianco dei sindacalisti, Frattini che se ne va in splendida solitudine a Bruxelles, e Boris Biancheri e Paolo Fulci che confidano all’Unità la preoccupazione per quella che «ormai diventerà la diplomazia del panino», si era tentato di tutto.
Il 7 luglio Ravaglia scrive una prima lettera a Berlusconi, «per difenderci siamo pronti alla misura estrema». Cioè, lo sciopero, un’astensione dal lavoro, quella dei diplomatici, che è come issare un cartello sulla drammatica condizione finanziaria dello Stato, e mostrarlo al mondo. Da subito, si capisce che c’è poco da fare. Frattini ha un diverbio personale con Tremonti in Consiglio dei ministri. Il 13 dice pubblicamente che quei tagli non vanno. Qualcosa si muove, anche perché nel frattempo alla Farnesina il malcontento gira parecchio, e gira via mail. Così, il Sindmae proclama lo sciopero, «non corporativo, ma per orgoglio istituzionale contro tagli fatti con l’accetta». Perché il punto è che si parla tanto di diplomazia economica, da anni Berlusconi proclama il sostegno che ambasciate e consolati devono dare all’Azienda Italia, e poi quel che si fa con i tremontiani tagli lineari è chiuderli.
Le cifre parlano chiaro: la Farnesina ha 325 sedi all’estero ma il budget non fa che calare. Quest’anno, in maniera draconiana: si scende allo 0,23% del bilancio dello Stato. In cifre, senza la cooperazione allo sviluppo, si tratta di un miliardo e 746 milioni di euro per il 2010. In rapporto al Pil, che è quel che più conta se si pensa che la diplomazia dà sostegno al sistema d’impresa nazionale, siamo invece allo 0,11%. Gran Bretagna e Olanda spendono il 50% in più dell’Italia, Germania e Francia il 30% in più. Ma se quello sulla scarsità degli stanziamenti è un refrain di lungo corso, tanto che già D’Alema si lamentava «il Quai d’Orsay vale quattro volte l’Italia», adesso è diverso. Adesso, è l’allarme dei diplomatici, si sta raschiando il barile. «Si rischia di compromettere il funzionamento della Farnesina, noi dobbiamo fare di più con meno risorse, non fare di meno con niente» sottolinea Giampiero Massolo, che di quel palazzo è il Segretario generale, nonché autore della riforma appena varata proprio al fine di mettere la macchina-Farnesina in condizione di correre nella globalizzazione, con strutture interne e rete estera rinnovate.
Alla fine, è lo stesso Frattini a definire quei tagli «norme assurde», e a raccontare che si tratta qui di far pagare il prezzo di una promozione con quote delle tredicesime (idea sventata, pare, da Silvio Berlusconi in persona), e lì di mandare in pensione a 65 anni anche le superfeluche (sarebbe saltato l’ambasciatore a Washington Giulio Terzi di Sant’Agata, e a renderlo impossibile ci ha pensato Gianni Letta, che del resto aveva tessuto personalmente e per due mesi l’accordo necessario a nominarlo). E adesso però per prolungare l’opera di ognuna di quelle imprescindibili professionalità si rinuncerà all’assunzione di tre giovani. E restano i tagli del 50% alle missioni all’estero. E le cosiddette «nomine bianche», cioè promozioni senza aumenti di stipendio: sbloccarle sarebbe costato 12,6 milioni sino al 2013, e proprio per questo s’era tentata la via di un emendamento bipartisan Boniver-Casini-Antonione-D’Alema. Niente da fare: il governo ha fatto sapere che la manovra non si tocca. E a niente è servita anche la lettera che il 20 luglio è stata mandata a Napolitano, Berlusconi, Frattini, Tremonti, Schifani e Fini. Così, non è rimasta che la via dell’astensione dal lavoro. Piazzata in una data strategica, il giorno prima dell’annuale conferenza degli ambasciatori, quando alla Farnesina arriveranno sia Napolitano che Berlusconi. In modo che dello sciopero si continui a parlare, e ad altissimo livello.