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 2010  luglio 27 Martedì calendario

SCHEDONE FIAT E CONFINDUSTRIA


Sergio Marchionne avrebbe spiegato alla Marcegaglia che c’è il rischio che i ricorsi della Fiom contro l’accordo raggiunto tra l’azienda e i sindacati (tute blu della Cgil escluse) su Pomigliano vadano a buon fine: l’intesa potrebbe essere dichiarata incompatibile con il contratto nazionale dei metalmeccanici. Per questo se Fiat vuole evitare il rischio che i tribunali annullino quell’intesa ha bisogno di rinunciare al contratto nazionale. Almeno su Pomigliano, dove Marchionne pensa di lanciare una nuova società ad hoc con la quale riassumere i dipendenti secondo i termini dell’intesa, ma forse anche per il resto delle sue attività.

Il contratto nazionale dei metalmeccanici è firmato dai sindacati di categoria e Federmeccanica, l’associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del settore. Rinunciare a quel contratto comporta l’uscita dall’associazione. Quindi la newco Fiat di Pomigliano (creata il 19 luglio, col nome Fabbrica Italia Pomigliano) non verrebbe iscritta a Federmeccanica.

Alla Marcegaglia, però, Marchionne avrebbe presentato anche una soluzione alternativa: creare l’associazione di un comparto a parte - cioè il comparto auto - separato dal resto dell’industria meccanica, e con un contratto tutto suo. Una specie di FederAuto, in cui Fiat sarebbe praticamente da sola al comando, seguita dalle imprese dell’indotto. E questa FederAuto aderirebbe a Confindustria.

Succedesse, Federmeccanica verrebbe quasi svuotata. Oggi l’associazione di settore ha 12mila aziende iscritte, con 900mila addetti totali (sulle 60mila imprese del settore, che hanno 1.600mila dipendenti). Di questi circa 100mila sono tute blu Fiat. Tutto il settore auto, in Italia, ha 175mila addetti.

Con 900mila addetti Federmeccanica è anche una delle maggiori associazioni di settore aderenti a Confindustria: ha in pratica un quinto dei lavoratori di tutta l’associazione. Infatti Confindustria ha 142mila iscritti che danno lavoro a 4,9 milioni di persone.

Sui suoi conti c’è ben poco trasparenza. Si sa che ha quattromila dipendenti e incassa ogni anno circa 506 milioni di euro. Ha una sede romana, 18 strutture regionali, 102 provinciali, 21 federazioni di settore e 258 organizzazioni associate

Filippo Astone ha scritto quest’anno, "Il Partito dei padroni"

Tra le altre cose spiega che:

A fine anno la sede centrale di Confindustria pubblica il suo bilancio. Ad esempio, i conti 2008 hanno visto 44,3 milioni di costi e 51 di ricavi. Questi ultimi sono generati per 39 milioni dai contributi delle associazioni territoriali, e per 12 milioni dagli investimenti finanziari e dai dividendi delle partecipate, il Sole 24 Ore in primis. Le spese del 2008 sono state divise tra personale (46,7%), servizi (27,2%), progetti, eventi e manifestazioni (14,3%), spese generali diverse (8,6%), contributi a Enti (3,1%).

Tolti i 51 milioni di ricavi per l’organizzazione centrale restano 455 milioni di euro gestiti a livello locale dalle singole associazioni, di settore o regionali. Ma siccome si tratta di enti non profit e non di imprese, non sono obbligate a pubblicarlo, né devono depositarlo presso gli archivi delle Camere di commercio. Ciascuna di loro fa come meglio crede. Sia nei criteri di redazione del bilancio, sia nelle modalità di accesso.

Ad esempio, Assolombarda, la più ricca delle associazioni territoriali (i contributi versati dagli iscritti sono superiori ai 50 milioni di euro), pubblica on line un bilancio sociale redatto con criteri particolari (unità di misura prevalente è il «valore aggiunto sociale») all’interno del quale si fa fatica a rintracciare costi e ricavi.

Non è possibile nemmeno dire con esattezza quanto ciascuna impresa paghi per l’iscrizione a Confindustria. Un’azienda si iscrive a una associazione territoriale (per esempio Unindustria Treviso) o a un’associazione di categoria (come la Federmeccanica). Oppure a tutte e due. A esse l’azienda in questione paga la quota di iscrizione, che viene in parte riversata alla sede centrale romana. Ma ciascuna associazione applica aliquote diverse, calcolate a sua completa discrezione.

Così non si sa con precisione quanto si paga per iscriversi a Confindustria. Ogni associazione territoriale si regola a modo suo. In media però ogni imprenditore versa tra i 100 e i 150 euro l’anno per dipendente. Su questi soldi non si evade: vengono prelevati direttamente dall’Inail, l’istituto nazionale delle assicurazioni sul lavoro. Dividendo i ricavi totali dell’associazione per il numero di dipendenti delle aziende aderenti si arriva a una media nazionale di 110 euro a persona.

In base a queste cifre si può ipotizzare che Fiat, che ha in Italia 85mila dipendenti in tutto, paghi a Confindustria quote annuali comprese tra i 10 e i 20 milioni di euro. L’azienda di Torino rappresenta così tra il 2 e il 4% degli introiti dell’intera associazione e fornisce direttamente a Federmeccanica circa il 15% delle sue entrate.

L’addio alla sola Federmeccanica "vale" 25mila lavoratori Fiat: circa 3 milioni di euro.

Le aziende statali come Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Finmeccanica rappresentano il 4% delle entrate di Confindustria, i grandi gruppi privati sono un altro 6%, il 90% delle entrate arriva dalle piccole e medie imprese.

Al di là dell’aspetto economico (Confindustria nel 2009 ha avuto un risultato netto di 6 milioni, quindi ha conti abbastanza a posto) è ovvio che l’addio di Fiat metterebbe in difficoltà l’associazione a livello di rappresentanza.

Già oggi i piccoli di Confindustria sono arrabbiati, soprattutto nel Nordest: "Mantengono l’organizzazione ma si sentono come le mucche che non hanno alcuna voce in capitolo sulla destinazione del latte". Accusano Fiat di avere troppo peso nell’organizzazione (fanno notare che quando Montezemolo era già presidente di Confindustria, la Commissione europea autorizzò l’Italia a concedere 44 milioni di euro alla Fiat) e l’entrata, quest’anno, di John Elkann nel comitato di presidenza non è piaciuta affatto.

Il meccanismo di nomina del presidente, tra l’altro, è poco trasparente. La giunta (composta dai rappresentanti delle varie federazioni e da ex presidente, tutti proporzionali al numero di addetti delle imprese rappresentate) sceglie "tre saggi" che propongono un nome alla giunta stessa, che poi lo vota. Dopodiché si passa al voto dell’assemblea, dove ci sono i delegati delle stesse federazioni, ancora proporzionalmente rispetto agli addetti.

A livello di rappresentanza poi Confindustria teme le 38 organizzazioni concorrenti: 2 per i commercianti, 4 per gli agricoltori, 3 per gli artigiani, addirittura 8 per gli autotrasportatori.

Infine c’è Rete Imprese Italia, una federazione tra Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani, nata a maggio, che ha dimensioni superiori a Confindustria: 2,3 milioni di aziende per un totale di 11 milioni di addetti. Rappresenta meglio di Confindustria le nostre Pmi.