SIMONE DI SEGNI, La Stampa 25/7/2010, pagina 41, 25 luglio 2010
INTERVISTA A ZEMAN
Ci accomodiamo di fuori, così posso fumare». Tira vento e fa freddo nella tana di Zdenek Zeman, a Valdaora, fra i monti della Valpusteria. Ma a lui non importa: rispetto alle proprie abitudini, e non solo, il boemo non ha mai fatto un passo indietro. Nel cantiere del Foggia, a sedici anni di distanza, si riconoscono i marchi di fabbrica di Zemanlandia: il 4-3-3 è scritto anche sui muri del ritiro, i gradoni per rinforzare le gambe sono solo tre, ma ci sono. Più le sigarette.
Cosa chiede Zeman a questa nuova avventura?
«Ho solo voglia di fare calcio e di stare in mezzo ai giovani. Casillo mi ha dato l’opportunità di tornare a farlo. Ricomincio da una città e una società che mi hanno dato grandi soddisfazioni».
Cosa è cambiato rispetto a sedici anni fa?
«Siamo solo un po’ più vecchi. Il 4-3-3 non è cambiato, credo che il mio calcio sia ancora attuale. Si diceva che ero avanti agli altri di vent’anni, me ne rimangono ancora quattro...».
Solo il Foggia si ricorda di lei.
«Sono sempre stato a disposizione, evidentemente gli altri non lo erano».
Aveva perso le speranze di rientrare nel calcio?
«Prima o poi un presidente si sarebbe ricordato dell’importanza dell’allenatore. Oggi si investe poco sui tecnici. Da qualche tempo viene considerato di più chi fa merchandising. Ho sempre detto che il calcio-business fa male...».
Come giudica Mourinho?
«Un fenomeno mediatico. Ha dato la Champions all’Inter, ma il modo in cui ha vinto non è piaciuto a tutti. Ci sono molti interisti che si vergognano. Non parlo degli arbitri, ma dell’atteggiamento della squadra: un allenatore dovrebbe dare un gioco...».
Lei ha rischiato di essere il successore del portoghese.
«L’ho letto sui giornali, come le parole del presidente Moratti, che ovviamente mi hanno fatto piacere. Il mio scopo è fare calcio e migliorare i giocatori. Non so a Milano quanto margine di miglioramento ci fosse sui singoli».
Nel ‘98 disse che il calcio doveva uscire dalle farmacie.
«Lasciamo stare, non vorrete mica farmi stare fuori dal calcio per altri 10 anni»..
Non aver mai avuto una rosa da scudetto, la rende ingiudicabile?
«Tutt’altro. In A non c’è un allenatore che ha ottenuto i miei risultati nella valorizzazione dei giocatori a disposizione».
Si aspettava il flop azzurro ai Mondiali?
«L’Inter ha vinto senza italiane, le altre in Europa hanno fatto male: erano già segnali. Poi in Sudafrica sono andati giocatori che non avevano trovato continuità in campionato... Mi auguro che la Spagna possa aver insegnato qualcosa».
Un solo nuovo extracomunitario per combattere la crisi: che ne pensa?
«In Italia si lavora poco sui giovani. Finché i presidenti continueranno a puntare sugli stranieri per far contenti i tifosi...».
Ventuno società sono state cancellate dai campionati professionistici. L’Italia è alla deriva?
«La situazione è preoccupante. Nel calcio bisognerebbe operare secondo le possibilità. Invece la smania di vincere porta ad esagerare. Non faccio fatica a credere che le previsioni per il prossimo anno siano peggiori».
Il problema del doping, in Italia, è superato?
«Il vero problema è che non bisogna smettere di parlarne. La questione riguarda quelli che gestiscono il calcio».
Il 4-3-3 è sempre il modulo migliore?
«Lo dice la geometria».