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 2010  luglio 25 Domenica calendario

ASTUZIE DA GRANDE MEDIATORE

Nel 1438, messi sotto torchio dalla macchina da guerra turca, gli alti esponenti della Chiesa Orientale convennero a Ferrara con l’intento di appianare le divergenze dottrinali con il papa e ottenere, in cambio, un aiuto per far cessare il lungo assedio di Costantinopoli. Quando Ferrara venne colpita dalla peste, Cosimo de’ Medici, allora quasi cinquantenne e capo della banca Medici, approfittò della situazione per invitare la delegazione greca a Firenze, pagando viaggio, vitto e alloggio a tutti i settecento partecipanti. Gli eventi che seguirono furono l’emblema di questo maestro del compromesso, fantasioso e ben finanziato.
Ad accogliere i prelati al loro arrivo a Firenze fu lo stesso Cosimo, non adesso come banchiere, ma nel ruolo di Gonfaloniere di Giustizia, cioè il capo del governo di Firenze. Teoricamente il gonfaloniere era eletto ogni due mesi, estratto a sorte trai nomi dell’élite fiorentina,ma fin dal suo ritorno dall’esilio, nel 1434, Cosimo aveva sempre saputo manipolare le elezioni del gonfaloniere e dei priori per garantire un governo favorevole ai propri interessi. Detto questo, durante i trent’anni del suo predominio, dal ’34 al ’64, il banchiere si fece eleggere gonfaloniere solo tre volte, quando davvero serviva, rimanendo altrimenti nell’ombra.
Lo Spirito Santo procede solo da Dio Padre, come sosteneva la Chiesa Orientale, o in egual misura da Dio Padre e dal Figlio, come insisteva nell’affermare Roma? Ecco l’argomento in discussione al Concilio di Firenze nel 1439. Cosa ne pensava Cosimo? Non ci è dato saperlo. Effettivamente era abituato ad affrontare problemi ben più complessi. Elenchiamoli.
situazioni complesse sono state in grado di trovare la via d’uscita.
«Lezioni dalla storia: il personaggio che potrebbe aiutarci a ripartire» vedrà impegnate firme autorevoli del giornale che racconteranno un personaggio da loro scelto con le caratteristiche di offrire utili suggerimenti a governanti e cittadini.
Saranno letture che accompagneranno la nostra estate. Iniziamo con Cosimo de’ Medici e la sua arte della mediazione. Seguiranno nelle pagine quotidiane George Orwell, Giacomo Matteotti, Federico Barbarossa, san Francesco, Margaret Thatcher e tante altre figure. Ogni testo verrà poi pubblicato sul sito del Sole 24 Ore e ciascun lettore potrà scrivere qual è il personaggio che a suo parere potrebbe dare oggi un aiuto per uscire dalla crisi e perché. Buona lettura e partecipate.
Come guadagnare nei panni di banchiere cristiano, quando la Chiesa vietava qualunque prestito a interessi?
Come costruire una banca con filiali estese in tutta Europa senza che i debiti di una rischiassero di affondare l’insieme?
Come continuare a vendere prodotti fiorentini e spezie orientali nel Nord Europa, vista la difficoltà di riportare i soldi a Firenze, specialmente da quando gli inglesi si erano rifiutati di mandare in Italia la loro lana grezza in cambio degli acquisti di seta, spezie e allume?
E se gli inglesi non gli cedevano la lana, come sarebbe riuscito a far lavorare i lanifici di Firenze e a tenere a bada la gente comune?
E se per avere la lana grezza doveva concedere prestiti ingenti al re d’Inghilterra, come avrebbe potuto proteggere la banca da un’eventuale insolvenza del re?
E ancora: come governare Firenze senza dare l’impressione di governare Firenze?
Come pagare i mercenari per conquistare Lucca se i fiorentini non volevano pagare le tasse? Come espandersi territorialmente quando tutti gli altri Stati italiani erano contrari?
Come intraprendere guerre e al contempo vivere in pace?
Ma soprattutto: come poteva Cosimo assicurarsi quella gloria mondana che i testi classici (di cui era avido collezionista) declamavano, se i suoi concittadini odiavano chiunque ambisse a elevarsi al di sopra degli altri (questo il motivo ufficiale del suo esilio, nel 1433) e se la Chiesa predicava la povertà e l’umiltà?
Cosimo amava questi problemi. Se anche avesse potuto fabbricare il denaro agitando una bacchetta magica, affermava, avrebbe comunque fatto il banchiere. Preferiva la soluzione geniale al deus ex macchina.
In calce alla sua copia del De oratore di Cicerone è annotata l’idea secondo cui dare l’ impressione che la propria opinione sia anche quella della maggioranza sarebbe un modo efficace per convincere un pubblico dubbioso. E la sua tattica, effettivamente, fu sempre quella di affiancare le proprie ambizioni a quelle della collettività, usando la ricchezza per rendersi indispensabile, poi il tatto per smorzare il dissenso, e infine il gusto per incantare tutti. Mescolava «con la potenza la grazia », riferisce Machiavelli nelle
Istorie Fiorentine . «E in tutte le cose che voleva» commenta Vespasiano da Bisticci, «sempre procurava pressi che’elle procedessino da altri e non da lui proprio, per fuggire la invidia quanto poteva».
Quando Rinaldo degli Albizzi propose alle altre famiglie nobili di sbarazzarsi di lui, l’ormai decrepito Niccolò da Uzzano rispose, stando alle parole di Machiavelli: «L’opere di Cosimo che ce lo fanno sospetto sono: perché gli serve de’ suoi danari ciascuno, e non solamente i privati ma il pubblico, e non solo i Fiorentini ma i condottieri; perché favorisce quello e quell’altro cittadino che ha bisogno de’ magistrati; perché e’ tira, con la benivolenzia che gli ha nello universale, questo e quell’altro suo amico a maggiori gradi di onori».
Ma più di ogni altra cosa, a Cosimo piaceva mettere proficuamente d’accordo posizioni fra loro lontanissime. Così, quando spese 10mila fiorini per restaurare il fatiscente convento di San Marco in cambio di una bolla papale che gli avrebbe garantito l’assoluzione da tutti i suoi eventuali peccati, insistette perché l’ordine silvestrino, allora installato a San Marco e di cui si diceva che vivesse «né in povertà né in castità», fosse sostituito dai ben più austeri domenicani: solo le preghiere di uomini severissimi, dediti alla purezza e alla povertà, sarebbero valse un prezzo tanto alto. Poi fece abbellire e arricchire il convento al di là di ogni aspettativa, per la gloria di Dio ovviamente, ma anche in modo da renderlo accogliente per un banchiere agiato. Non commissionò mai dipinti spaventosi del Giudizio Universale; preferiva i Re Magi, con le loro vesti sfarzose e i sontuosi regali.
In questo modo creò uno spazio che conciliasse al proprio interno tante spinte contraddittorie; e, in effetti, Cosimo non accettava che vi fossero problemi senza soluzioni, né posizioni inconciliabili.
C
osì nel 1445, quando dopo sei anni di discussioni i prelati della Chiesa Orientale finalmente accettarono che lo Spirito Santo, in realtà, procedesse non solo dal Padre ma anche dal Figlio, a Cosimo parve il felice risultato di un investimento lungimirante che, tra l’altro, aveva portato a Firenze (e a se stesso) tanto prestigio, tanto sapere greco e tante nuove traduzioni di opere classiche.
Da secoli si discute della necessità di trovare un salvatore per l’Italia. Nelle ultime pagine de Il principe,
Machiavelli lo immagina come un leader militare carismatico capace di liberare e unire un paese frammentato e rissoso. Ma già nel 1450 Cosimo de’ Medici aveva capito che chi conquista con la forza non fa altro che esporsi al contrattacco, perché il potere non deriva mai da un diritto naturale ma è sempre in qualche modo "trafugato". Sapeva pure che non è possibile tenere separati il denaro privato e il potere politico. Immancabilmente l’uno cercherà di impossessarsi dell’altro. L’importante, allora, era gestire lo scandalo del potere con garbo, assopendo il dissenso con l’incanto estetico. Non per nulla Cosimo era amico di Donatello, Michelozzo, il Beato Angelico, Fra Lippo Lippi e altri. Ogni equilibrio, tuttavia, sarebbe sempre stato fragile, passeggero. Cosimo aveva capito anche questo. Perché l’Italia non si salva, ma piuttosto la si traghetta, con immensa discrezione, da una crisi all’altra. In particolare c’erano due circostanze che rischiavano di rendere vano ogni sforzo: da un lato la mancanza di soldi e dall’altro la pre senza di principi inflessibili. Cosimo non poté fare nulla quando, nel 1447, la compagnia di Giovanni Venturi e Riccardo Davanzati fallì a Barcellona, rovinando la complessa triangolazione tra Venezia, Bruges e la Spagna che aveva permesso di tenere in piedi i commerci internazionali della banca, da quel momento in declino. Gli mancavano le risorse. E fu ugualmente impotente quando i prelati greci, una volta tornati a Costantinopoli, si rimangiarono la parola, insistendo di nuovo che il Santo Spirito procedesse solo dal Padre. Così il papa non mandò gli aiuti e Costantinopoli cadde nel 1453. Cosa poteva fare un banchiere con gente che metteva la dottrina prima del bene comune?
E parlando di principi inflessibili, già nel convento di San Marco c’era chi invocava «la maledizione di Dio» su «coloro che introducono possesso di beni in questo ordine». Già nel 1452 era nato Girolamo Savonarola. E già certi fiorentini reclamavano un ritorno a elezioni più trasparenti le quali, senz’altro, avrebbero gettato la città nel caos. Il modello fiorentino costruito da Cosimo aveva i giorni contati. Lui lo sapeva, eppure continuò imperterrito a cercare il compromesso con astuzia, ottimismo, discrezione. Dato, mi dico, che in Italia le spinte divisorie sono sempre state intense e molteplici, dato che non si può mai sperare altro che qualche accomodamento provvisorio di nemici giurati e assurdi estremismi, quella di Cosimo de’ Medici,un uomo che mai si sarebbe fatto chiamare Cesare da nessuno, mi sembra una figura da ammirare ed emulare, ma senza dirlo troppo forte.