Giorgio Ferrari, Avvenire 24/7/2010, 24 luglio 2010
GUERRA CIVILE FREDDA NEL BELGIO SPACCATO
Walen Buiten, fuori i valloni. «Dall’esterno forse non si vede – dice Jean Quatremer, giornalista e titolare di uno dei blog più visitati della capitale – ma qui in Belgio da qualche decennio si consuma una sorta di guerra civile fredda, praticamente senza violenza e senza vittime, una guerra di epurazione linguistica condotta dalla maggioranza fiamminga nei confronti della minoranza francofona, una guerra fatta di ripetute umiliazioni nei confronti dei valloni, una sottile persecuzione che nessuno, nemmeno i cristiano-democratici fiamminghi, quelli da cui proviene Herman Van Rompuy, il presidente stabile dell’Unione europea, ha mai sentito il bisogno di condannare».
Quatremer non è belga, è francese, e per questo siamo obbligati a fare la tara alle sue parole. Il modo migliore è andare di persona a controllare. La Regione di Bruxelles-Capitale, un enclave incastonata nelle Fiandre, è perfetta allo scopo. Basta uscire dalla città e dirigersi verso nord, nella famigerata Periphèrie,
per rendersene subito conto.
Appena al di là del ’ring’, il ponte che delimita la distesa piatta del Brabante fiammingo, ci accoglie un cartello la cui scritta nera su fondo giallo (i colori delle Fiandre) ci avverte:
Dilbeek, waar Vlamingen thuis zijn ,
ovvero, benvenuti a Dilbeek, dove i fiamminghi sono a casa loro. « stato il consiglio comunale ad approvare la delibera – mi dice Farid, il maghrebino naturalizzato belga che mi accompagna all’interno del girone fiammingo – e questo è niente ». vero. Nella piazza del mercato di questa poco attraente cittadina di quarantamila abitanti nata dalla fusione di sette o otto piccoli comuni non si vede una scritta francese che sia una. «Anni fa – racconta Farid – un fiammingo ha denunciato un negozio di elettrodomestici perché esponeva un cartello con degli sconti sui suoi prodotti in francese. Il titolare ha reclamato il diritto costituzionale al bilinguismo, ma le pressioni del municipio sono state tali che il negozio ha dovuto chiudere. Anche perché, a giudizio dei suoi censori, il titolare parlava un olandese stentato e l’articolo 21 del regolamento regionale imponeva l’uso esclusivo del fiammingo nelle attività commerciali». Ci aggiriamo per la cittadina. I severi moniti che esortano alla purezza linguistica si sprecano: ’Difendi il carattere fiammingo di Dilbeek’, ’Dilbeek è fiamminga, i francesi si adattino’. Del resto qui siamo nel ventre della Bestia, dove i partiti separatisti e quelli più dichiaratamente xenofobi raccolgono i maggiori consensi e l’inno nazionale,
La Brabançonne, è sentito come un insulto. «In fiammingo le parole sono diverse dalla versione francofona – spiega Farid – al posto di ’Ô Belgique, ô mère chérie’, ci mettono ’O heilig land der vaad’ren’, una specie di terrasanta dei valloni...».
Non ci stupiamo. Il Vlaams Belang
(letteralmente: ’interesse fiammingo’) qui fa man bassa di voti. Erede del Vlaams Blok, disciolta formazione separatista e xenofoba, sogna di federarsi con l’Olanda e staccarsi dal Belgio ’francofono e avido, che succhia risorse ed energie alle ricche Fiandre’. Qualcosa di vero, se pure estremizzando, c’è. Un tempo la Vallonia era il motore del Paese, l’acciaio e il carbone (il nucleo originario della Comunità europea) richiamavano manodopera straniera e producevano ricchezza. Le Fiandre, piatte come una mano, nebbiose, desolate, erano il parente povero, annesso nel 1830 alla neonata nazione belga per tortuosi rompicapi geopolitici voluti dalle potenze europee che avevano sconfitto Napoleone. Poi la clessidra si è capovolta: estenuata dalla crisi del settore siderurgico, chiuse le miniere, la Vallonia si è impoverita mentre le Fiandre crescevano per peso politico e ricchezza pro-capite. Fino a vedere nel coinquilino francofono una sorta di sanguisuga in combutta con Bruxelles, che per disgrazia della Storia (per lo meno vista dal lato fiammingo) è al tempo stesso capitale dello Stato, capitale delle Fiandre, capitale della comunità francofona del Belgio e capitale dell’Unione europea. Il tutto – come reclamano i vincitori delle elezioni politiche del 13 giugno scorso, i separatisti del N-Va, la Nuova alleanza fiamminga guidata dal leader Bart De Wever – a spese delle povere Fiandre, bistrattate e umiliate dalla ’cupola’ francofona di Bruxelles.
Continuiamo a non stupirci dunque se quando cerco di bere un caffè e lo ordino in francese, il titolare della caffetteria di Dilbeek finga di non capire. E quando Farid gli spiega, in ottimo fiammingo, che parlo francese ma non sono vallone, allora sorride: «Ma perché non l’ha detto subito? », risponde nel liquido francese dei belgi, quello di Simenon, della Yourcenar, di Magritte, del Poirot di Agatha Christie, dei Puffi (pardon, degli Schtroumpfs , come qui si chiamano), lanciando un’occhiatina preoccupata a Farid, il colore della cui pelle dichiara senza equivoci la sua provenienza araba.
«Abbiamo avuto più del 30 per cento dei voti nelle Fiandre – avverte trionfale Rudi Dierick, coordinatore della campagna elettorale del N-Va – e ora chiediamo un federalismo più marcato: ciascuno spenda i soldi che ha, i trasferimenti ai valloni debbono finire, ogni comunità deve assumersi le proprie responsabilità. Vogliamo più autonomia, più libertà, meno vincoli». Non si parla di secessione, non si deve. C’è ancora un governo da formare, i tempi sono lenti, il leader socialista Di Rupo faticherà a mettere insieme la coalizione necessaria e i fiamminghi del
N-Va sanno che senza i valloni francofoni non governeranno mai.
«Senza contare il fatto – dice maliziosa Christine Anneau, dirigente di prima fascia del Consiglio europeo – che la separazione costerebbe un sacco di soldi ai fiamminghi: il gettito Iva dovuto alle casse della Ue sarebbe considerevolmente più elevato, perché non ci sarebbe più la palla al piede della Vallonia. E voglio vederli i fiamminghi, con la loro avarizia bruegeliana, scucire i cordoni della borsa e pagare salata la loro voglia di purezza linguistica...».
Ma c’è chi profetizza un futuro cupissimo, come l’analista di Het Laatste Nieuws Luc Van Der Kelen: «I nazionalisti della destra fiamminga hanno vinto le elezioni ma finiranno per ritrovarsi un premier socialista e francofono in nome della governabilità. Ci può essere una contraddizione più marcata, considerando anche che in gioco c’è la riforma dello Stato e delle finanze pubbliche e che socialisti e nazionalisti hanno visioni e interessi diametralmente opposti?» Bart De Wever non ha fretta. Il tempo gioca a suo favore, giorno dopo giorno prende le distanze dalla destra xenofoba delle Fiandre e incassa sorridente gli insulti che i valloni (perché anche i valloni hanno sussulti di odio e intolleranza verso i fiamminghi) gli rivolgono. «Ma per favore – ha detto con perfidia in un recente comizio in terra francofona – se mi dite ’vattene via, sporco fiammingo’, fatemi la cortesia di usare la mia lingua madre, altrimenti non vi capisco. Da noi si dice: ’Walen Buiten’, fuori i valloni...».