Fabio Isman, Il Messaggero 23/7/2010, 23 luglio 2010
IL MATISSE DEL VATICANO
I musei Vaticani non sono soltanto Michelangelo, Raffaello, la Sistina e le Stanze, la Galleria delle Carte geografiche e gli egizi, o gli etruschi; da fine anno, apriranno anche una sala tutta dedicata a Matisse: all’unico côté sacro di tutta la sua straripante opera; la cappella del Rosario per le suore domenicane di Vence, inaugurata nel 1951: quasi un passo d’addio e forse l’ultima opera, tre anni prima della morte, a 85 anni. Henri Matisse ne disegnò le vetrate, il Crocifisso e i dipinti sui muri, perfino i paramenti ancora in uso, la Via Crucis; e nel 1980, il figlio Pierre regalò al Vaticano i bozzetti. Così, vedremo capolavori quasi mai esposti, anche a causa delle dimensioni: i quattro progetti per le vetrate, alti oltre 5 metri e larghi fino a 6, con i papiers découpés dell’Albero della vita e la Madonna con il Bambino; i primi disegni per il volto della Vergine; il modellino della freccia monumentale sul tetto del complesso e la prima fusione del Crocefisso per l’altare; perfino la prima prova, già cucita in seta, di sei casule: i paramenti per la messa, allegrissimi e assai colorati, ancora in uso. A completare il tutto, accanto a una Madonna del 1956 di Lucio Fontana, le lettere che il pittore si scambiava con madre Agnese, la superiora, magari per ringraziarla del formaggio e del miele che lei non gli faceva mancare.
«E’ un altro passo nell’ammodernamento del museo d’arte contemporanea del Vaticano, voluto da monsignor Pasquale Macchi, segretario di Papa Paolo VI Montini, nel 1973», spiega Micol Forti, che lo dirige. S’inquadra nello sforzo verso il contemporaneo che la Santa Sede sta compiendo, e che conduce monsignor Gianfranco Ravasi, il ”ministro della cultura” d’Oltretevere, verso un padiglione alla Biennale di Venezia del 2011: la prima commissione del nuovo Papa Benedetto XVI è stata assegnata a Claudio Parmiggiani nel 2007. E il museo contemporaneo del Vaticano può vantare un’infinità di opere, specie di maestri moderni italiani e di celebri autori fino agli Anni 60, come Gauguin, Chagall, Leger, Nolde e altri; non manca un Cardinale di Francis Bacon, donato da Gianni Agnelli: ma un giorno, l’Avvocato confessò di essersi quasi pentito «perché il museo è tanto brutto». Per carità: è sottoterra, buio, fino a pochi anni fa ordinato non per il meglio e confuso; ma adesso, molto sta cambiando. E la nuova Sala Matisse ne è una riprova.
«L’opera ha richiesto quattro anni di un lavoro esclusivo e assiduo; è il risultato di tutta la mia vita attiva; la considero, nonostante le imperfezioni, il mio capolavoro», scriveva il vecchio Matisse, che aveva disegnato le vetrate seduto, su fogli distesi a terra, con un lungo bastone per pennello, a causa dell’età. Il maestro della Danse aveva sorpreso tutti; un Giulio Carlo Argan che, purtroppo, stava anche lui già per andarsene, mi raccontava che, all’artista già diafano e nel letto, aveva chiesto: «Ma come mai, lei, campione di laicismo per tutti noi, ha realizzato quella cappella per la Vergine?»; e l’autore della Joie de vivre aveva risposto: «La Vierge? La Vierge? J’ai toujours aimé les jeunues filles», ho sempre amato le giovincelle. Sta di fatto che è un’opera integrale: tutta la cappella, fin nei minimi dettagli, reca l’impronta di Matisse. E per i musei più visitati della Penisola, poterne mostrare l’attimo creativo costituirà certamente un ulteriore appeal.
Matisse accetta l’incarico a fine 1947; realizza i primi papiers; a Parigi, pensa anche a progetti che poi dismette; da inizio 1949, realizza disegni in nero su ceramica bianca per la Via Crucis e le figure sacre; esegue le vetrate nel 1950, come gli arredi; nel 1951, fissa le ceramiche, pensa alla Croce dell’altare e all’ultima delle casule; il 25 di giugno, la cappella viene benedetta. Tutti questi atti sono scanditi dalle opere in Vaticano: prima dono delle suore; poi, per testamento, da Paolo VI quelle che aveva ricevuto anch’egli dalle domenicane di Vence; nel 1979, la madre superiora consegna le lettere speditele dall’artista; e nel 1980, il figlio Pierre i cartoni in scala reale e tutto il resto dell’apparato decorativo, che entro l’anno diverrà visibile, e sarà ricomposto, accompagnato da un catalogo in tre lingue che descriverà le vicende della cappella. Questa sala «sarà il cuore della sezione dedicata al Novecento», dice Micol Forti, con cui collabora Francesca Boschetti. E così, a mezzo secolo dalla morte, l’artista forse più laico (aveva ragione Argan) avrà una consacrazione addirittura in Vaticano, per quella che forse è l’unica opera religiosa di una vita intensissima. E i milioni di visitatori, qualcosa in più da ammirare, oltre alla Sistina e a tutto il resto.