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 2010  luglio 24 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 26 - I PALPITI DI MELANIE

Donne?
Mélanie Waldor. Scrittrice. Sposata a un ufficiale di fanteria. Due figli. Quindici anni più vecchia di Camillo. Bruttarella. Nel ”28 era stata l’amante di Dumas, che ci aveva perso la testa e aveva brigato al ministero perché il marito rimanesse tutta la vita di guarnigione nella Francia orientale. Abitava in rue Vaugirard 84, un cortile polveroso e svolazzante di cartacce, chiuso da un muro grigio, nel quale stentavano la vita due alberi rinsecchiti, qualche convolvolo, qualche margherita. Cavour si fece sedurre dal padre, un monsieur Mathieu Villenave che se ne stava sdraiato in poltrona e lasciava che la figlia gli infilasse dei bigodini tra i capelli…
Esistevano già i bigodini?
Esistevano i parrucchieri, esistevano per forza anche i bigodini, non si trattava alla fine che di rotolini in carta spessa… Al vecchio Villenave piaceva che, dopo il trattamento, la figlia gli grattasse la testa, e intanto parlava con Cavour di letteratura, era infatti un gran letterato, quarantamila volumi al terzo piano di casa, casa che intanto cadeva a pezzi, ma i volumi erano catalogati, chiese a Cavour dei suoi romanzi preferiti, Cavour rispose «mi piace sicuramente Pelham (era il Pelham di Bulwer) e non m’è piaciuto invece Godolphin (sempre di Bulwer), a un certo punto l’ho lasciato lì». «E come mai?» chiese il vecchio Villenave, la figlia intanto continuava a sgrattarlo. «L’eroe di Godolphin - rispose il conte - è un fallito, senza vizi né qualità. Non ha neanche abbastanza difetti per essere interessante. Magari sarà anche un personaggio vero, però che noia! Non mi va che nei romanzi ci siano questi caratteri deboli, pallidi, incompiuti. Il mondo è pieno di gente così, sotto gli occhi non ci passano che uomini mancati, io ne conosco migliaia…».
Che anno è questo?
Il 1838.
Erano già usciti - e da un pezzo - «Il rosso e il nero», parecchio Balzac, oltre alla prima edizione de «I promessi sposi».
Forse Cavour aveva letto il Birotteau. In letteratura era di bocca piuttosto buona. Leggeva romanzi per passare il tempo, quando in carrozza non trovava passeggeri da torchiare. Bulwer-Lytton, appunto, quello degli Ultimi giorni di Pompei.
Come poteva, in queste condizioni, avere una storia con una scrittrice?
Ma anche Mélanie, non creda… Aveva pubblicato L’cuyer Dauberon, La roux aux ours, Le livre des jeunes filles, Les Heures de récréation, tutta roba morta e sepolta. Mélanie, come romanziera, è passata alla storia per un Alphonse et Juliette, in cui Juliette è lei, Alphonse è Cavour e l’Emilia Nomis di Pollone, da cui Cavour era preso in quel momento, una de Luzy…
Che Cavour ne viene fuori?
Un giovinetto pallido, dagli occhi scuri fiammeggianti, i boccoli neri che gli ricadevano sulle spalle. Ridicolo. Cavour, nel ”38, cominciava a tondeggiare. Abbiamo anche qui il caso di una donna piuttosto accecata dal conte. Volle ricamargli delle bretelle, gli afferrò le mani con tanta foga che un bottone del polsino le rimase tra le dita e se lo tenne, gli rubò un pettinino... Rompeva le scatole per persuaderlo a non rientrare a Torino. «Che te ne fai di Torino? Che futuro ti aspetterebbe a Torino? Fa il paragone con le occasioni di Parigi. Pensa al tuo avvenire». «Che avvenire? Non ci credo per niente». «Come!, se qui è pieno di italiani che si sono coperti di gloria». «Ma quali? Ma chi?». «Allora ti faccio dei nomi. Barlocci. Rossi». «Rossi chi? Pellegrino Rossi?». «Sì, Pellegrino Rossi». «Ma che dici, Pellegrino Rossi è una vergogna». «Vorresti dire?». «Ma scusa, l’uomo più spirituale d’Italia, il genio più eclettico della nostra epoca, lo spirito più pratico di tutta l’università e si va a vendere per una cattedra alla Sorbona e una poltrona all’Accademia! In cambio di questo niente, ha abiurato la Patria, s’è ridotto ad esser nulla per noi italiani». «Sei ingiusto». «No. Se non fosse fuggito dall’Italia avrebbe potuto avere un ruolo immenso nei destini del suo Paese. Avrebbe potuto aspirare a guidare i suoi compatrioti sulle vie nuove che la civiltà apre ogni giorno. No, cara, è troppo facile scapparsene dalla propria Patria perché infelice, abbandonare con disprezzo la terra che ci ha visti nascere, rinnegare come indegni i nostri fratelli». Mélanie piagnucolava qualcosa come «non c’è verso di levarti dal tuo Torino» e lui continuò: «Che ci verrei a fare in Francia? Il letterato? Non son capace. Lo scienziato? Sì, potrei occuparmi di scienze morali, questo mi piace molto. Ma allora non a Parigi, a Parigi c’è una società artificiale che subito prende fuoco per un qualunque Lerminier o Cousin, gente che poi, quando vai a stringere… No, se io devo prendere un modello, prendo Kant, prendo gli scozzesi. Ci vorrebbe allora un paesetto piccolo, un posto ritirato, tranquillo. Studiare, sfogliare le pagine… No, vedi che non potrei mai farmi francese».