SARA RICOTTA VOZA, La Stampa 24/7/2010, pagina 11, 24 luglio 2010
ALLARME O PRUDENZA I TRIBUNALI DAVANTI ALLA SCELTA PIU’ DIFFICILE
Trento e Vercelli. Due storie in pochi giorni e si riparla di eccessi nel ricorrere all’allontanamento di un minore da casa fino alle procedure di adottabilità. Vero, falso? I dati in questo aiutano poco. Si può avere il numero di procedimenti aperti ma non è detto che poi siano conclusi nello stesso anno o forse mai. Per capire se siamo effettivamente di fronte a un fenomeno recente o a una situazione di normalità con qualche caso limite che finisce sui giornali meglio chiedere a chi i dati li raccoglie li studia e li analizza anno per anno, con una visione di lungo periodo.
Raffella Pregliasco è una ricercatrice del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, che pubblica i dati sui provvedimenti in materia di adozione nazionale e internazionale e che fa capo al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. «Quest’accusa di quasi ”faciloneria” nell’attivare i procedimenti di abbandono è un fenomeno recente ma non mi sembra sia supportato da un’impennata. Piuttosto, si può dire che ultimamente ci sono stati casi che hanno dato lo spunto per porre il dito sull’operato dei servizi sociosanitari che normalmente fanno le segnalazioni al Tribunale dei minori».
Una considerazione negativa che in realtà viene da un fatto positivo. « proprio l’attenzione maggiore per le problematiche legate all’infanzia ad avere avuto, come prima conseguenza, che si monitorino di più le situazioni di disagio e che vengano fuori casi sospetti per cui si apra una procedura di allontanamento».
Non eccessi di zelo insomma ma più attenzione e prudenza in una realtà complessiva, come quella italiana, che fino a poco tempo fa riceveva l’accusa contraria. «All’Italia si rimproverava di tenere troppo ai legami di sangue e di lasciare i minori in famiglia anche in casi di sospetti fortissimi». Da buona studiosa, la ricetta della dottoressa Pregliasco sta nella formazione come migliore forma di prevenzione. «Bisogna porre attenzione alla preparazione degli operatori che si prendono carico di queste situazioni difficilissime».
Questo in Italia, e all’estero com’è la situazione adottabilità? L’Istituto degli Innocenti di Firenze ha da poco elaborato i dati relativi al 2009 per la Commissione per le adozioni internazionali. Ne vengono fuori due buone notizie. Una per i paesi d’origine dei bambini adottabili. E una per le coppie che adottano nel nostro paese. La prima è che se ci sono meno bambini adottabili dall’estero è perché anche in questi paesi si sta sviluppando una cultura dell’infanzia, con più affidamenti interni; la seconda è che l’Italia adotta moltissimo, in controtendenza rispetto ad altri paesi europei, anche per il fatto che molte coppie sono aperte alle adozioni cosiddette «difficili»: bambini con handicap o gruppi di fratelli.
Ma quali sono le leggi che regolano le adozioni? In ambito nazionale c’è la legge 184 del 1983 poi modificata con la 149 del 2001. In ambito internazionale ci si rifà alla Convenzione dell’Aja del 1993 ratificata nel 1998 con la legge 476. Proprio in questi giorni è sorta in materia una piccola polemica a proposito di una forma di affido islamico non riconosciuto in Italia. Si tratta della «kafala», uno strumento del diritto islamico che una coppia di musulmani senza figli - come raccontato da Avvenire - voleva avviare in quanto unica pratica consentita dalla loro religione.
Ma cosa pensano le associazioni che lavorano con le mamme in situazioni di disagio, dell’attuale meccanismo che porta ad aprire un procedimento di adozione? «Noi lavoriamo con mamme che ci vengono mandate dai servizi sociali», premette Grazia Passeri, presidente di Salvamamme, l’associazione romana che manderà in camper attrezzature per un anno alla mamma di Trento. «Posso solo dire che non è facile, per te madre, essere equilibratissima se sei senza mezzi e anche lasciata dal compagno». Detto questo, proprio a riguardo del caso di Trento ha lanciato con la sua associazione un appello perché «si rinunci alla crociata istituzioni contro madri e si avvii un dibattito».
E per «istituzioni» contrapposte alle madri s’intendono non solo i Tribunali dei minori, ma soprattutto gli assistenti sociali, accusati di avere un «potere» discrezionale altissimo. Sandro Lavenia è uno di loro, e porta il doppio cappello di «accusato» in quanto dipendente dei servizi sociali di uno dei Municipi di Roma e di «potenziale accusatore» in quanto volontario proprio nell’associazione Salvamamme. «In ambiti lavorativi come il mio si ha a che fare con una utenza che ha problematiche complesse; la premessa è quindi che per far fronte ci vuole capacità e esperienza. Poi, naturalmente si fanno errori e c’è anche chi di un minimo di potere fa un’arma senza controllo. Ma io non parlerei di potere, perché il nostro lavoro è un ”pezzo” di altri lavori . Quando ci sono procedure di adozione ci sono molte figure che valutano. Il servizio sociale valuta il contesto sociale e ambientale, per il resto ci sono psicologi e psichiatri. Ma è il Tribunale ad avere l’ultima parola».