TEODORO CHIARELLI, La Stampa 24/7/2010, pagina 2, 24 luglio 2010
MINISTERO INUTILE BASTA UN’AGENZIA
Il futuro di Fiat e dell’auto, il caso Telecom, il ritorno al nucleare, lo sviluppo delle energie alternative al petrolio. Sono solo alcune delle questioni aperte in Italia, ma che ahimè non vengono affrontate in maniera organica. Il motivo? La mancanza di una vera politica industriale, si sostiene da più parti. Un’affermazione che non convince però Giulio Sapelli, professore di Storia Economica all’Università di Milano, esperto di questioni industriali ed ex consigliere di amministrazione dell’Eni. «Bisognerebbe prima avere le idee chiare sui settori nei quali lo Stato dovrebbe intervenire. Direttamente, e non mi sembra il caso, se non per settori come quello nucleare; o come soggetto programmatore a sostegno del privato, se c’è. La verità è che oggi una politica industriale non si può fare a livello nazionale».
Il governo sembra essere d’accordo con lei, tanto che da mesi siamo senza ministro dello Sviluppo economico.
«E io ne approfitterei per non nominarlo più. Non serve a niente. In quel ministero ci sono centinaia di persone inutili. Prendiamo il palazzone di via Veneto e trasformiamolo in un bell’albergo di lusso».
Non è un po’ troppo tranchant?
« una cosa del passato, non serve a niente. Abbiamo già il Tesoro e il Lavoro: non bastano? Sarebbe sufficiente un’agenzia governativa, del tipo di quelle americane, che si occupasse di realizzare le linee guida decise dal governo».
Intanto nella vicenda Fiat manca un possibile interlocutore.
«Se è per mediare fra le parti sociali, bastano gli altri ministeri».
Ministro o non ministro la Fiat va appunto per la sua strada.
«Mi sembra che con lo spin off annunciato da Sergio Marchionne si stia definendo uno scenario che prelude a un minor impegno della famiglia Agnelli nell’auto».
Veramente la famiglia, per bocca di John Elkann, ha confermato i propri impegni di azionista.
«Il settore dell’auto non può gravare solo sulle spalle di una famiglia azionista. Io sono convinto che l’operazione industriale avviata sia giustissima. La strategia di Marchionne è di portare con Chrysler la testa dell’auto negli Stati Uniti. Mi smentiranno, ma è quello che penso».
Al di là degli assetti azionari sui quali è comunque per lo meno prematuro pronunciarsi, ritiene giusti gli sforzi di Marchionne sull’asse Detroit-Torino?
«La strada da lui intrapresa di aggregare le aziende in gruppi più grossi per realizzare maggiori volumi è l’unica che può consentire oggi di fare auto».
Negli Usa Marchionne ha il consenso dei sindacati, in Italia no, o meglio, non di tutti.
«Io sono innamorato del modello sindacale americano. E credo che anche le ultime vicende dimostrino come la Cgil sia un macigno sulla modernizzazione del Paese. Però bisogna fare i conti col sindacato che hai di fronte qui».
Marchionne cosa dovrebbe fare: rassegnarsi?
«No, ma in Inghilterra dicono che i manager si trovano di fronte il sindacato che si creano. Mi sembra che Marchionne, così innovatore per tanti aspetti, guardi a modelli di relazioni sindacali del passato. E il caso del blitz della produzione di Mirafiori trasferita in Serbia sia un segnale evidente».
Fiat chiede di avere garanzie di poter produrre senza intoppi.
«Giustissimo, per carità. Io dico però che ci sono aziende che riescono a fare accordi con la Cgil. Bisogna lavorare con il sindacato che si ha di fronte e mediare anche con i più riottosi, come la Fiom. Mi sarei aspettato che sino all’ultimo avrebbe cercato una mediazione. Per questo non capisco mosse come la Serbia».
Una mossa sbagliata?
«Direi avventata».
Lei è fiducioso sul futuro di Fiat-Chrysler?
«Sì, perché gli Stati Uniti hanno interesse ad avere una Fiat forte che si integra con Chrysler. Non dimentichiamo che Fiat è sempre stata qualcosa di più di un’azienda: un segmento delle relazioni internazionali fra Usa e Italia. Marchionne non è solo un manager industriale e non mi sembra che abbia precedenti esperienze nell’automotive. E’ qualcosa di più: è l’uomo chiamato a continuare questo rapporto. Del resto su che cosa potrebbero fare affidamento gli Stati Uniti in Italia se non ci fosse la Fiat?».