Massimo Gaggi, Corriere della Sera 23/07/2010, 23 luglio 2010
MACCHIA PETROLIFERA E SAGRA DEL GAMBERETTO
Mentre nel Golfo del Messico la Bp combatte ancora col pozzo sottomarino che ha vomitato petrolio nel mare per più di 90 giorni, qualche decina di miglia più a nord, a Morgan City, un tempo nota come la capitale dei gamberi giganti, fervono i preparativi del «Louisiana Shrimp and Petroleum Festival»: una grande manifestazione popolare che è da tre quarti di secolo un classico della cultura «cajun». Musica, cibo a volontà, tonnellate di gamberetti, sfilate, giochi per i bimbi, tornei per gli adulti, fuochi d’artificio, l’elezione del re e della regina dei gamberi e del petrolio. Nessuno ha preso nemmeno in considerazione la possibilità di sospendere la manifestazione, rinviarla, cambiarle nome o anche, solo, cancellare eventi che, con quello che è successo, hanno del grottesco, come la benedizione delle barche da pesca.
Anzi lo slogan dell’edizione del giubileo che campeggia sul sito del festival promette celebrazioni capaci di dimostrare che «acqua e petrolio stanno bene insieme». Non ci vuole molto a capire che la manifestazione è finanziata dal Petroleum Institute of America, ma la festa è una vera sagra popolare che anche quest’anno attirerà centinaia di migliaia di persone nel weekend del Labour Day, a partire dal 2 settembre. Gli organizzatori sono certi che la 75ª edizione non sarà un «flop» (anzi, puntano al record delle presenze) perché, nonostante la rabbia della gente per l’incapacità della Bp di contenere i danni dell’ « oil spill», in Louisiana quasi nessuno mette in discussione un’industria petrolifera che è di gran lunga la principale fonte di reddito dello Stato: da lì vengono 70 miliardi di dollari di entrate e 60 mila posti di lavoro diretti più un vastissimo indotto.
Morgan City è il simbolo di questa dipendenza. Nel 1935, quando arrivarono i petrolieri e il festival, la città viveva per i due terzi di pesca. Oggi il rapporto è 90% greggio, 10% gamberi. Il sindaco Timothy Matte chiede, come tutti, che le perforazioni «off shore» vengano effettuate in condizioni di maggiore sicurezza (suo figlio lavora su una piattaforma simile alla Deepwater Horizon la cui esplosione, catastrofe ecologica a parte, ha ucciso 11 tecnici), ma non vuole sentir parlare di moratorie o limiti alle perforazioni capaci di penalizzare la principale fonte di reddito della città.
L’amara verità è che il mare avvelenato spaventa tutti ma, in tempi di economia depressa, è anche una straordinaria opportunità: dopo l’uragano Katrina i parlamentari degli Stati che si affacciano sul Golfo del Messico ottennero una legge che ha autorizzato le società petrolifere a moltiplicare le prospezioni petrolifere in mare e ha destinato il 40% delle tasse federali ricavate da questa attività proprio alle regioni costiere: fondi da spendere in opere per la protezione dagli uragani. Un modello destinato a essere replicato ora coi fondi per il disinquinamento.
Massimo Gaggi