Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 23 Venerdì calendario

SCOPERTO IL «GEMELLO» IN LEGNO DI STONEHENGE

Da decenni gli archeologi britannici scandagliano i prati di Stonehenge nella convinzione che il mitico luogo nascondesse indizi preziosi attorno alle pietre che guardano il cielo. Ma la pianura dello Wiltshire, a una dozzina di chilometri da Salisbury, manteneva intatto il loro mistero. E, infatti, quasi non ci credevano vedendo le nuove immagini generate da una combinazione avveniristica di tecnologie, tra onde elettromagnetiche e computer che mostravano in dettaglio le anomalie del sottosuolo.
«Quando le abbiamo guardate con maggiore attenzione ci siamo resi conto che mostravano un anello di fori del diametro di un metro: era l’impronta equivalente di Stonehenge » , nota, facendo emergere tutto il suo stupore, il professor Vince Gaffney dell’Università di Birmingham alla guida di un esercito di specialisti provenienti da vari atenei britannici, austriaci, tedeschi, norvegesi e svedesi. « la scoperta archeologica più importante degli ultimi cinquant’anni – aggiunge – perché modifica completamente il pensiero su ciò che avevamo immaginato intorno all’imponente costruzione megalitica». Ormai, dopo tante ricerche, era maturata la convinzione che, in effetti, non ci fosse proprio nulla, anche se l’idea che invece intorno fossero nate altre costruzioni non si voleva lasciar morire. Il risultato ora lo conferma, rinfocolando un mito mai tramontato sul quale aleggia, tra le altre, pure la figura di Re Artù.
La «Stonehenge-2», come è stata temporaneamente battezzata con un impeto di fantasia, dista dalla struttura originaria 900 metri e nei fori di cui è rimasta traccia in profondità dovevano essere inseriti dei pali di legno circondati da un terrapieno, stando alle simulazioni compiute. Le indagini iniziali dicono che la sua costruzione sia avvenuta contemporaneamente al grande e famoso insediamento, quindi tra il 3000 e 1800 avanti Cristo.
L’epoca è d’oro e segna la storia, perché ci ha lasciato l’eredità dei primi grandi edifici concepiti dall’uomo: dai palazzi ciclopici della Mesopotamia (Ziggurat) alle piramidi in Egitto. Nell’Inghilterra meridionale, invece, nella piana calcarea vicino all’odierna Salisbury, luogo di transito della preistoria, si erigeva su un terrapieno il monumento di Stonehenge. L’impresa era gigantesca non solo perché si protraeva per oltre mille anni, ma anche perché resta ancora un mistero il modo con il quale siano riusciti a trasportare i grandi massi di pietra, dal peso di circa 25-30 tonnellate, provenienti dalla cava nei monti Prescelly distante 390 chilometri.
«Come lo vediamo oggi non sarebbe altro che un tempio solare. Della prima fase della sua realizzazione ci resta l’impronta di 56 enigmatiche buche mentre dell’ultima anche imagnifici triliti», spiega Guido Cossard, archeoastronomo, autore di «Cieli perduti» (Utet). Analogamente al monumento originario, pure «Stonehenge-2» mostra lo stesso orientamento celeste con l’ingresso rivolto verso il solstizio d’estate. «La cosa che rende Stonehenge veramente unico’ aggiunge Cossard’ sta nel fatto che se misuriamo gli angoli fra le principali direzioni riferite al Sole e quelle alla Luna scopriamo che sono retti».
Da queste premesse gli studi hanno ipotizzato che la grande architettura megalitica potesse essere un osservatorio astronomico oppure un luogo di culto: c’è infatti un particolare che viene chiamato altare. L’impossibilità a definirne la natura ha alimentato il mistero influenzando anche la letteratura come è possibile riscontrare nel «Sogno di una notte di mezza estate» di William Shakespeare.
Forse, con un eccesso di ottimismo, la scoperta di «Stonehenge-2» ha fatto dire agli archeologi di essere presto in grado di decifrare la vera caratteristica dell’area. «Di certo, ad esempio, – sottolinea Paul Garwod del team britannico – aveva un significato se i due luoghi erano reciprocamente visibili l’uno dall’altro. Ma già questo solleva nuove, eccitanti, complesse domande a cui sarà arduo trovare risposta». Quindi, semmai, il mistero si farà ancora più fitto.
Giovanni Caprara