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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

AL MERCATO DELLE TOGHE


L’arma segreta della cosiddetta P3 per occupare la stanza dei bottoni del potere giudiziario, dal Consiglio superiore della magistratura alla Corte costituzionale, era davvero insospettabile. Un rubicondo pensionato settantasettenne di Cervinara (Avellino), geometra con la passione per la giustizia tributaria e i convegni. Conosciuto da tutti a Roma per i suoi pranzi del mercoledì, dove invitava questo o quello, purché togato. Pasqualino Lombardi è stato arrestato su richiesta della procura di Roma con l’accusa di «voler condizionare il funzionamento di organi costituzionali nonché di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali».
Ma a leggere le carte dell’inchiesta si scopre che quando il geometra raccomanda raramente ottiene e se ci riesce è grazie ad aiuti inaspettati e molto trasversali. Forse perché la sua associazione Diritti e libertà, attiva da 20 anni e impegnata nell’organizzazione di convegni di argomento giuridico, non trovava adesioni solo fra i magistrati moderati e in particolare nella corrente maggioritaria e centrista di Unicost, ma pure nelle file progressiste. Per esempio, al chiacchieratissimo convegno organizzato in provincia di Cagliari nel settembre 2009 hanno partecipato diversi esponenti di Magistratura democratica, le toghe che amano presentarsi come quelle dure e pure. Il presidente del tribunale di Milano Livia Pomodoro è stata fotografata al simposio meneghino del marzo 2009. Per non parlare del meeting di Napoli (novembre 2008), cui parteciparono diversi big della magistratura inquirente d’Italia: da Giandomenico Lepore, procuratore di Napoli, a Franco Roberti, capo dei pm di Salerno e rappresentante di spicco dell’altra corrente di sinistra delle toghe, Movimento per la giustizia (i cosiddetti Verdi), nonché candidato alle ultime primarie per il Csm.
Insomma, la presunta loggia tascabile di Lombardi e degli imprenditori Flavio Carboni e Arcangelo Martino prima di finire nei guai mieteva consensi trasversali e adesioni di magistrati di tutti i colori. Nelle sue telefonate Pasqualino raccomanda sempre gente delle sue parti, da Paolo Albano a Giovanni Francesco Izzo, ad Alfonso Marra. «Con loro c’è un rapporto di amicizia ventennale. Mi hanno chiesto un intervento per ottenere o agevolare le rispettive nomine a incarichi direttivi» ha spiegato al gip che lo ha fatto arrestare. Tra gli amici di Lombardi, per gli inquirenti, c’erano pure Gaetano Santamaria Amato e Nicola Cerrato: il primo non ha ricevuto promozioni nell’ultima consiliatura del Csm, mentre il secondo è stato indicato come possibile procuratore di Monza, incassando solo tre preferenze.
In attesa che gli inquirenti e gli organi disciplinari valutino responsabilità ed eventuali colpe dei «raccomandati» di Lombardi, è interessante verificare chi li abbia sostenuti all’intemo del Csm, l’organo di autogoverno dei giudici. Per esempio, chi ha mandato Izzo a ricoprire la poltrona di procuratore di Nocera Inferiore? Tra i suoi 15 elettori, nel novembre 2009, Izzo ha potuto contare sul sostegno nientemeno che di tre rappresentanti di Md e sui quattro consiglieri laici in quota al centrosinistra. E Albano? Ha ottenuto il posto con ben 17 voti e a sostenerlo sono stati sempre i laici del centrosinistra e il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, che conosce Lombardi dai tempi della vecchia De e condivide con lui l’amicizia con Angelo e Giuseppe Gargani, rispettivamente presidente della terza Corte d’assise di Roma ed eurodeputato del Pdl. Ma anche un altro caro amico di Lombardi, Antonio Martone, il 25 giugno 2009 ha conquistato l’ambita promozione ad avvocato generale in Cassazione con solo due voti contrari. Tutti gli altri voti o sono stati favorevoli o hanno segnato un’astensione.
Solo Marra, tra gli amici di Lombardi, aveva poco appeal nella gauche giudiziaria. «All’età di 50 anni ogni uomo ha la faccia che si merita» diceva George Orwell. Devono averlo pensato anche i membri del Csm che nei giorni scorsi hanno provato a defenestrarlo a tempo di record dopo averlo promosso appena cinque mesi fa. Uno zelo che ha spazientito il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale ha invitato tutti «a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento», sulla nomina di Marra.
Anche perché le cane raccontano che, nella campagna per l’ambita poltrona di presidente della Corte d’appello di Milano, Lombardi potè contare soprattutto su Celestina Tineili, membro laico del Csm in quota Ulivo: « un casino Pasqualino, guarda... Non so come se ne può uscire». Il motivo di tanto avvilimento era il voto contrario di un consigliere vicino al Pdl. Alla fine Marra la spuntò grazie al soccorso che gli offrirono Tinelli e, ancora, Mancino. A onor del vero bisognerebbe rilevare che l’avversario del vituperato Marra, Renato Rordorf, non era del tutto estraneo al sistema politico. Per esempio, nel 1997, con Romano Prodi presidente del Consiglio, era stato scelto per l’incarico di commissario della Consob, l’organo di controllo della borsa.
Ma se Marra è brutto, sporco e cattivo, quando l’ipotetica loggia sostiene giudici progressisti come Leonardo Bonsignore, presidente del tribunale di Cagliari, la presunzione d’innocenza è imprescindibile. Nei mesi scorsi la prima commissione del Csm, con un sonante 5-1, ha proposto il trasferimento d’ufficio del magistrato perché la moglie, Lucia La Corte, vicina a Md come il consorte, è presidente del tribunale per i minorenni di Cagliari e quindi ci sarebbe un’incompatibilità «parentale». Ugo Cappellacci, governatore della Sardegna, registrato dai carabinieri, chiama il «pitreista» Martino per cercare di bloccare il trasferimento: «Perderemmo un amico carissimo e una persona valida». Per questo provano a contattare il consigliere del Csm Cosimo Ferri che non se li fila. Il 10 marzo scorso, a sorpresa, il plenum ribalta il risultato della commissione, evitando la dolorosa separazione. Salvano la quiete di casa Bonsignore i componenti di sinistra del Csm. Si oppongono solo Ferri e altri tre. Quando, quattro mesi dopo, i giornali pubblicano la raccomandazione di Cappellacci per l’«amico» Bonsignore, c’è la sorpresa. Il 16 luglio il procuratore di Cagliari Mauro Mura e i suoi 20 sostituti vanno da Bonsignore per esprimergli la propria solidarietà, in quanto il «raccomandato» (a sua insaputa, per carità) «impersona meglio di chiunque altro la fedeltà al principio dell’autonomia della magistratura dal potere politico».
La presunzione di innocenza è valsa, per fortuna, anche in un’altra situazione un po’ ispida. Il 20 marzo 2008 i vertici dei giudici hanno dovuto attribuire l’incarico di procuratore di Nola. I due candidati erano Paolo Mancuso e Izzo (l’amico di Lombardi). Mancuso è campione di lotta alla camorra, ha diretto la distrettuale antimafia di Napoli ed è legato a Md. Ma nella sua brillante carriera gli è toccato un incontro sconveniente: ha condiviso una battuta di caccia con alcuni personaggi poco raccomandabili. In particolare un uomo all’epoca sotto processo per camorra e già condannato per diversi reati, tra cui omicidio colposo. Mancuso aveva incrociato quel nome almeno una volta, quando aveva controfirmato la sua archiviazione da un’accusa di mafia. Della brigata faceva parte pure un altro pregiudicato che proprio l’ufficio diretto da Mancuso aveva fatto arrestare nel 1996 per traffico di stupefacenti. Davanti al Csm il magistrato si è difeso spiegando che a introdurlo in quella combriccola con la passione della doppietta era stato un insospettabile dirigente di polizia. Risultato: Mancuso viene promosso con i voti della sinistra giudiziaria, Md compresa.
Ma che il giudizio del Csm sia slegato dal principio di legalità, però ben ancorato alle logiche correntizie, lo provano le centinaia di ricorsi contro le nomine decise da Palazzo dei marescialli, spesso annullate dalla giustizia amministrativa, tar e Consiglio di Stato. Il motivo? Nella maggior parte dei casi i vincitori non hanno i titoli migliori, dimostrando che il curriculum non è il requisito privilegiato per talune carriere. Tanto che il Csm non accetta quasi mai le bocciature quando l’annullamento diventa definitivo non di rado ripropone per lo stesso incarico il pretendente appena respinto, come se nulla fosse. Si creano così situazioni come quella di Giovanni Palombarini, noto esponente di Md, candidato due volte come avvocato generale dello Stato e tre per l’incarico di procuratore generale aggiunto presso la Cassazione. La cocciutaggine del parlamentino delle toghe è stata premiata quando il concorrente Antonio Siniscalchi ha dovuto rinunciare per raggiunti limiti di età.
Un film con molte repliche, come dimostrano altri estenuanti tiramolla tra Csm e giudici amministrativi, da quello per la nomina del presidente aggiunto di Cassazione al braccio di ferro per la presidenza della Corte d’appello di Venezia. Spesso il Csm raggiunge il proprio obiettivo offrendo ai ricorrenti altri incarichi graditi, come sembra sia avvenuto nella corsa per la prestigiosa scrivania di presidente del tribunale di Roma. Qui, infatti, Paolo De Fiore, frequentatore dei convegni di Lombardi, per stare tranquillo ha dovuto attendere che il collega Bruno Ferraro, vincitore davanti al tar, si accasasse nella vicina Tivoli.
A volte occupare un incarico a dispetto dei giudici amministrativi non è motivo di demerito, anzi. Per esempio, il 4 luglio scorso, il presidente del tribunale di sorveglianza di Catanzaro, Alberto Liguori, in attesa di essere rimosso, è stato spedito dai suoi colleghi addirittura al Csm. A opporsi a tanta arroganza sono in pochi. In alcuni casi il Consiglio di Stato sanziona le nomine più inspiegabili ordinando risarcimenti.
Altre volte, quando il Csm sostiene candidati senza i requisiti, è la stessa Avvocatura dello Stato a sconsigliare di presentare appello contro gli annullamenti. Un esempio? Il 16 settembre 2009, grazie ai voti decisivi dei soliti membri laici del centrosinistra, Umberto Marconi è diventato presidente della Corte d’appello di Salerno. Il tar ha bocciato la nomina e il 18 marzo l’Avvocatura ha suggerito di evitare il ricorso. Il Csm, però, l’ha lasciato al suo posto. Proprio in quei giorni e proprio nell’ufficio di Marconi, secondo gli investigatori, la presunta P3 preparava l’ormai celebre dossier diffamatorio contro il governatore pdl della Campania, Stefano Caldoro.