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 2010  luglio 23 Venerdì calendario

CREMONA IRRIDUCIBILE SULLE QUOTE LATTE NON MOLLEREMO MAI

Piazza del Duomo, il Comune, la Banca Popolare e il palazzo della Libera Associazione Agricoltori, la Confagricoltura locale. Per tutti in città il palazzo del potere. L’ufficio del presidente Antonio Piva, il Bovè del latte, quello della marcia su Arcore e dell’asino con su scritto Zaia, affaccia proprio sulla chiesa. Mercoledì a Cremona è giorno di mercato. Dice Piva, toccandosi l’orologio, «che sono 5 anni che le cose girano male e lo scandalo degli splafonatori è solo la punta d’iceberg». Si parla di filiera ma è un eufemismo. «Produzione, trasformazione e distribuzione non si parlano» e non c’è equità sulla catena del valore. «Ci danno 33 centesimi al litro quando i costi di produzione arrivano a 42».
Peccato che il latte sugli scaffali dei supermercati costi 1,50 al litro. «C’è un delta di 1,20», e dove finisce «lo sanno tutti», sorride sornione Piva. «Non possiamo finanziare noi i centri commerciali». I comuni non hanno soldi e svendono territorio. «Cremona ha 70 mila abitanti e due iper mercati», calcola il presidente. Eppure Cremona è una delle grandi province agricole italiane. Terza nella suinicoltura, con un milione di capi inseriti nel Dop della provincia di Parma nonostante la moria degli ultimi anni: da quando sono arrivati i prosciutti a prezzi stracciati dall’Est Europa, Olanda o Spagna, trasformati e confezionati qui e spacciati per made in Italy. E prima provincia nel pomodoro, con il consorzio Casalasco che ha rilevato marchi come Pomì e Boschi usciti dallo smembramento della Parmalat. Ma soprattutto è il distretto del latte italiano. Dalle sue stalle esce il 10% della produzione nazionale (11 milioni di quintali) che va per metà alla cooperazione (prodotti Dop, provolone e burro) e per metà all’industria (latticini, latte, burro, mozzarelle, crescenza e grana). Solo la Libera ha tremila associati di cui mille dedicati alla zootecnia lattifera, con una produttività tra le più alte al mondo: 100 quintali per capo l’anno certificato. Francesco Stroppa conduce un’azienda alle porte di Cremona. Cento ettari più 50 in affitto, 500 capi e 4 dipendenti di cui due indiani perchè senza di loro si fermerebbe la zootecnia padana. Stroppa fa latte alimentare microfiltrato. «Siamo rimasti ai prezzi di 10 anni fa - spiega sconsolato -. Nel frattempo ho speso un miliardo di lire per acquistare quote e crescere. Per questo non capiamo chi difende gli illegali». O meglio, si capisce bene, «sono affari ancora legati alla banca della Lega...»
Stroppa prima faceva il programmatore, poi conosce sua moglie che eredita l’azienda di famiglia e cambia vita. A Cremona tutti hanno un parente in agricoltura. Piccoli appezzamenti nati smembrando poderi più grandi disegnati sulle centurie romane. Basta andare su via Postumia che ci sono ancora i confini segnati a terra. Per questo l’agricoltura esercita un potere immenso, ramificato, secolare. In una provincia che non fa nemmeno 300mila abitanti, ci sono 4500 aziende che impiegano 11mila addetti che diventano 20mila con l’indotto. Zootecnia nel cremasco; mais, latte, suinicoltura e trasformazione intorno a Cremona; pomodoro verso Casalmaggiore e giù verso Piadena, dove la pianura padana gioca coi confini e non sai più se sei già nel mantovano, ancora nel cremonese o addirittura nel parmense. A San Paolo Mauro Begatti gestisce un’azienda agricola da 58 ettari e 400mila euro di fatturato. Anche qui la stessa litania contro gli splafonatori. «Personalmente ho fatto un grosso sforzo finanziario per comprare quote e stare nelle regole. Ho dovuto persino farmi anticipare 4 anni di Pac». come se alcuni avessero comprato una licenza per aprire un negozio e altri no. «Scusate – sobbalza Begatti - a che gioco stiamo giocando?»
Tornando in città il palazzo della Libera è un monumento all’arte nobile. Stucchi alle pareti, parquet sui pavimenti, poltrone di design, segretarie ingioiellate e Piva che somiglia in tutto ad un imprenditore più che al capo di una unione agricoltori. Ma Cremona è l’ultima provincia italiana in cui, 50 anni dopo la scomparsa della civiltà contadina raccontata da Guido Crainz, gli agrari comandano ancora sugli industriali. L’unica in cui il peso del primario sul totale addetti vale ancora l’8% (la media nazionale è 2%) e gli agricoltori possiedono il giornale cittadino e influenzano la politica. Tutto quel che conta nella città del torrone e dei liutai passa da quel palazzo. Per questo la guerra contro gli splafonatori è anzitutto una battaglia per difendere il lignaggio di un’aristocrazia della terra che non vuol finire come la via Emilia, dove il terziario si sta mangiando tutto, cancella la campagna e trasforma l’estetica urbana in un unico grande Lego ossessivamente uguale fatto di centri commerciali e villette a schiera dal nome esotico. Anche sulla Castelleonese si vedono i primi cubettoni: un ipermercato, ditte, qualche autosalone… Ma per il resto il paesaggio agricolo resiste: campi di mais verso Mantova, grandi latterie e i trattori del consorzio agrario che raccolgono l’erba medica.
Federico Vecchioni lo sa così bene che ieri è venuto proprio a Cremona, nella Vandea del latte, per riunire l’assemblea straordinaria di Confagricoltura. Partendo dall’emendamento scandalo e dalla manovra ha chiesto un cambio di rotta per correggere «la totale disattenzione del governo verso il comparto agricolo» e sostenere il ministro Galan, voce nel deserto. «Basterebbero 350milioni. La stessa cifra tirata fuori in una notte per Alitalia…», tuona Vecchioni. «E poi è inaccettabile che 1,4 milioni di agricoltori venga immolato sull’altare degli equilibri tra Pdl e Lega…» Chiaro il riferimento allo scandalo quote latte. Un po’ di fischietti e cappellini, tazebao, trattori posteggiati sulle rotonde davanti alla Fiera, mini sfilata di politici e un nugolo di allevatori, più o meno 4mila. Nonostante il lavoro nei campi perché sono le settimane decisive: proprio ieri è cominciata la raccolta del pomodoro.