Gabriele Parpiglia, Chi, n. 30, 28/07/2010, pp. 129-132, 28 luglio 2010
Mauro Marin VI RACCONTO IL MIO INFERNO Ho uno strano sapore in bocca, la lingua paralizzata è, le labbra anestetizzate, che mi sta succedendo? Non riesco a muovermi
Mauro Marin VI RACCONTO IL MIO INFERNO Ho uno strano sapore in bocca, la lingua paralizzata è, le labbra anestetizzate, che mi sta succedendo? Non riesco a muovermi. Sono immobilizzato in un letto, legato dalle mani e dai piedi. Aiuto. Mamma, papà, Matteo dove siete? Dio dove sei quando l’uomo ha bisogno di te?». Un disperato appello di aiuto. Ecco come si apre il libro C’è una cosa che non vi ho detto (dal 2 agoto acquistabile sul sito www.imartedizioni.it e dal 16 settembre in libreria), che racconta la vita di Mauro Marin, il vincitore del Grande Fratello 10. "Chi" ne pubblica in esclusiva alcuni passi, in cui Mauro parla del disagio che, fin da piccolo, lo ha colpito, rendendolo un diverso. LA DIAGNOSI «Matteo non si amareggi», racconta il primario dell’ospedale Vecchio, a Montebelluna. «Suo fratello è malato. Sarò più specifico: Mauro Marin necessita di Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) a causa di una schizofrenia affettiva con disturbo bipolare, che comporta sbalzi d’umore che portano a picchi maniacali in stati di agitazione e supereuforia alternati a continui cali depressivi». Il vincitore del GF10, prima di conoscere la notorietà, ha combattuto una delle sfide più difficili della vita. Un malessere fisico e mentale che lo ha costretto a vivere in un ospedale per parecchio tempo. «Dottore, ha ragione. Mio fratello è malato. Da anni ormai i segni di squilibrio sono evidenti. Credo che già fin da piccolo sia stato diverso dagli altri bambini. pazzo o non so bene come si dice e quale sia il termine giusto. Pensi che una volta ha preso in ostaggio un’intera sala cinematografica e non voleva fare uscire nessuno. Diceva che glielo aveva detto il regista del film. Solo l’intervento delle forze dell’ordine ha riportato la calma», racconta Matteo Marin, fratello minore di Mauro, ai medici. LA CAMICIA DI FORZA «Ammetto che la camicia di forza non mi è mai piaciuta. Ricordo che quando mi legavano nel letto di contenzione, termine tecnico-medico, non sentivo più il sangue che circolava nelle vene. Li volevo vedere morti quei bastardi dei medici», racconta Marin. « I farmaci per un lungo periodo mi hanno ucciso. La mia motricità era rallentata, almeno così diceva la cartella clinica. Anzi, per essere più preciso avevo: "Un eloquio fluente con moderato aumento della salivazione, tono vocale moderato con tendenza ad alzare la voce e linguaggio incoerente". Insomma ero un cazzo di vegetale che viveva da vegetale», rivela Marin. SESSO NELLA STRUTTURA «In manicomio, anzi nella struttura, perché è così che si chiama, le giornate sono uguali. Con le pasticche sedano la mia libertà. Penso che ci sia un complotto contro di me, perché mi vogliono fottere. Ma io sono più intelligente. Mi manca il desiderio sessuale, colpa dei farmaci. Ma Angela, affetta anche lei da sintomi poco comuni, accende il Tinto Brass che è in me. Ci appartiamo e le mordo le tetto dentro l’ospedale. Durante un altro ricovero ho conosciuto un’altra ragazza. Con lei mi sono spinto oltre. Sì, ho scopato nella struttura». LA DROGA «Mi sono avvicinato agli spinelli con la mia compagnia del "patronato". Poi ho provato la fantastica cocaina e in Erasmus mi sballavo con la ganja (l’erba) belga che ti spegne, ti toglie la parola e ti incolla al divano. Ho provato anche le pasticche dell’amore e alternavo sbalzi di euforia ad attimi in cui tornavo con i piedi per terra. Non scorderò mai i "magic mushroom", funghetti allucinogeni. Ogni volta che ne facevo uso, vedevo il mio corpo fluttuare». IL SUICIDIO «Ci ho pensato spesso e volentieri. Mi sarei potuto lanciare dal terzo piano o buttarmi sotto un treno. Ci ho pensato sul serio e una sera ci ho anche provato. Mi ha salvato Freddie Mercury e l’amore per Sandra, la mia ex ragazza». SANDRA E IL COMPLOTTO «L’ho amata. Quando lei non mi voleva più, sono andato a cercarla, a Vienna. Stavo molto male. Ero convinto che i naziskin la tenessero prigioniera. Sono andato alla polizia per denunciare il tutto. Ero in preda a una crisi epilettica. Risultato? Camicia di forza e di nuovo in Italia, di nuovo nella struttura». IL GRANDE FRATELLO «Papà, vado in tv. E lui: "Tu sei malato. Non puoi interagire con gli altri, lo sai. Se lo dici di nuovo, ti ricovero”. Così è stato. Facevo i provini per il reality, ma ero domiciliato nella struttura. Il dottor Carlo Alberto Cavallo, psicologo del programma, sapeva tutto. Mi diceva che stavo bene e che ero pronto». LA DEDICA «A mio nonno Bepi che ha contrassegnato tutti i passaggi della mia vita». *** LA PAROLA AI CRITICI «Capisco che chi deve fare i casting scelga persone anormali per dar vita a certe dinamiche; ma trovo gravissima la vicenda. Sono stupito», dice Aldo Grasso, critico tv del Corriere della sera. «La legge 180 voluta da Basaglia ha cambiato il modo d’intendere la psichiatra. Chi siamo noi per dire che la produzione ha sbagliato? Chi siamo noi per impedire a un ragazzo di godere di un’occasione?», replica Alessandra Comazzi de La Stampa. Aggiunge Mirella Poggialini, critico di Avvenire. «Trovo sia crudele, perché Marin, nonostante sia bipolare, rimane una persona indifesa e malata. Non si scherza. Era un pericolo per gli altri ragazzi. Perché non lo hanno detto?». Riguardo al metodo professionale usato da Norma Rangeri, critica del Manifesto, riportiamo quanto dichiarato. «Non guardo il GF, non conosco Marin. Che dire? Boh. Scelgo i programmi in base ai miei gusti. Arrivederci».