Ugo Bertone, Libero 22/7/2010, 22 luglio 2010
MENO AUTO, MENO ITALIA QUESTO IL BOOM FIAT
Ci sono almeno quattro ragioni per spiegare il trimestre ”eccezionale” di Fiat, come l’ha definito lo stesso Sergio Marchionne. Primo, il miracolo brasiliano. Da Belo Horizonte, la più importante fabbrica del gruppo, continuano ad arrivare buone notizie; ultima in ordine di tempo la partenza sprint della nuova Uno. Nonostante l’offensiva di Gm e Volkswagen sul mercato carioca, uno dei più interessanti, Fiat resta leader, con il 23,3% delle vendite. Non è una novità. Anzi, da sempre a Torino si dice che il segreto dei successi brasiliani dimostra che i manager del Lingotto, una volta lontani dalle storie del quartier generale, sanno dare il meglio di sé. Ma stavolta ci si è messa pure la rivalutazione del real. Basti dire che il fatturato dei primi sei mesi (27,8 miliardi di euro) è cresciuto del 13,5% proprio grazie all’effetto del real in crescita. Seconda ragione: il recupero dei camion, il ”buco” nero del 2009 che comunque non sono ancora tornati ai livelli precrisi Lehman. Terzo, il boom delle macchine agricole e di quelle movimento terra, che hanno potuto approfittare della ripresa nei Paesi emergenti, Cina compresa, dove l’auto Fiat è (con l’eccezione di Ferrari e Maserati) ancora assente. Quarta spiegazione, la prudenza finanziaria, sia sul fronte degli investimenti sia degli incentivi commerciali. Meglio una macchina venduta in meno, piuttosto che una macchina in perdita.
questa la filosofia che ha ispirato (e continua ad ispirare) la battaglia contro i falchi della Fiom, a Pomigliano e Melfi, piuttosto che con i politici che chiedono ”soluzioni sociali” per Termini Imerese. Fiat, dimostrano i conti del trimestre, può stare in piedi anche senza Fabbrica Italia. Anche se la via maestra, sul piano strategico, è di far marciare assieme l’avventura dello spin off al rilancio delle fabbriche italiane. Ma il progetto, che culminerà nelle nozze con Chrylser, può funzionare solo se Pomigliano o Mirafiori sapranno marciare al passo di Belo Horizonte, Tychy ma anche di Detroit o Brampton in Canada. Nessuno si illuda che la Fiat possa aspettare i tempi o i rituali del sindacato italiano. Del resto, lunedì scorso, a Strasburgo, gli operai francesi di Gm hanno accettato un taglio dello stipendio e delle ferie pur di non far emigrare la fabbrica in Messico. Intanto, a Detroit, da lunedì 1.100 nuove tute blu sono entrati nella fabbrica Chrysler dove nasce il Grand Cherokee: a stipendio ridotto e a tempo determinato, ma con il pieno assenso della Uaw, il sindacato dell’auto. Difficile che Marchionne faccia un passo indietro.