Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 22 Giovedì calendario

I GIORNALI RIEMPIONO UN’INCHIESTA VUOTA

La notizia è dell’8 maggio scorso, ed è contenuta in un articolo su Repubblica. Sull’edizione nazionale il quotidiano diretto da Ezio Mauro da qualche giorno dava ampio spazio agli avvisi di garanzia emessi dalla procura di Roma nell’inchiesta sull’eolico, che da lì a poco sarebbe stata ribattezzata ”inchiesta sulla P3”. L’ultima scoperta era quella di ”fondi neri” destinati a Denis Verdini, 800 mila euro transitati sui conti della banca da lui presieduta, il Credito cooperativo fiorentino con sede a Campi Bisenzio. Nell’edizione fiorentina di Repubblica quel giorno apparve anche la difesa del coordinatore nazionale del Pdl: «Ma quali fondi neri, servivano a pagare gli stipendi del Giornale della Toscana». La spiegazione era questa: gli 800 mila euro erano la prima tranche versata secondo un accordo firmato da imprenditori sardi per un aumento di capitale della società editrice del Giornale della Toscana che alla fine avrebbe superato i 2,5 milioni di euro. Quella versione la prima settimana di maggio è stata fornita da Verdini a tutte le agenzie di stampa e il 23 maggio è stata dettagliata ai 250 soci del Credito cooperativo in occasione dell’assemblea annuale della banca.
TITOLO SCOOP
Circa due mesi dopo, il 20 luglio scorso, sulla prima pagina di Repubblica, un titolo scoop: ”Inchiesta P3, da Carboni a Verdini un milione di euro per nomine e appalti”. Il titolo esagera un po’, perché poi nel testo si cita un versamento di circa 850 mila euro in assegni circolari, ma lo scoop funziona, perché il giorno successivo viene ripreso da gran parte della stampa come una primizia. Peccato che la notizia fosse la stessa di due mesi prima. Quel passaggio di denaro era contenuto negli avvisi di garanzia, e naturalmente è ripetuto anche nelle ordinanze di arresto successive e nella documentazione allegata che solo da qualche giorno è finita nelle mani dei giornalisti. Ma non c’è nemmeno un particolare in più rispetto a quanto pubblicato da tutti nella prima settimana di maggio. Ieri è emersa una seconda nuova notizia. Il titolo è del Corriere della Sera: ”Caso Verdinila finanza indaga su 2,6 milioni di euro”, e ci si riferisce su un misterioso credito di analogo importo iscritto nella contabilità del Credito cooperativo fiorentino. Ma anche questa notizia non è nuoa: è la stessa di due mesi fa. E gli stessi giornali che oggi la pubblicano, hanno reso note all’epoca sia le scoperte dei carabinieri sia la versione di Verdini: 800 mila euro versati come prima tranche di un aumento di capitale da circa 2,6 milioni di euro per ”Il Giornale della Toscana”.
C’è un vecchio detto che gira fra i giornalisti: ”non c’è nulla di più inedito di quello che è già stato pubblicato”, che dice come una notizia vecchia rivestita ad arte appaia nuova. Ma notizie nuove nell’inchiesta sulla P3 non ce ne sono: negli 11 faldoni con oltre 15 mila pagine collegate all’ordinanza di arresto di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino ci sono sempre le stesse risultanze investigative della prima ora. Sull’eolico e il ruolo di Verdini sono gli stessi fatti in base ai quali si erano inviati gli avvisi di garanzia. La versione del coordinatore del Pdl è quella, e oggi nessun atto può confutarla.
L’ORDINANZA
La sola novità contenuta sia nell’ordinanza che negli allegati riguarda i rapporti fra la cosiddetta P3 e i vertici della magistratura italiana. I fatti sono tutti contenuti nell’ordinanza (interventi sul Csm per la nomina di magistrati amici, che è l’unica cosa che va in porto alla P3, e interessamento senza intervento alla questione delle firme per la ricandidatura della lista di Roberto Formigoni alle elezioni lombarde) e pubblicati dalla stampa una decina di giorni orsono. Poi man mano che i giornalisti leggono le 15 mila pagine di allegati dove si ritrovano gli stessi fatti, i giornali li ripubblicano come fossero inediti, mentre così non è. Tant’è che lo stesso procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, ha assicurato un rallentamento dell’attività investigativa nelle prossime settimane.
Fosse accaduto per errore su un solo giornale, si potrebbe pensare a un banale incidente di percorso. Ma da giorni le stesse vecchie notizie vengono vestite di nuovo e ripubblicate in prima pagina. Non può essere un incidente. Sembra che tutto risponda a una regia, che si sia fatta solida la convinzione che sia giunto il momento di dare la spallata all’unico obiettivo dell’inchiesta e della stampa in cui si riverbera: Silvio Berlusconi. Eccolo l’antico circuito mediatico-giudiziario che più volte ha sbattuto la testa fracassandola prima di raggiungere l’obiettivo. E che anche questa volta rischia la stessa fine.