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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

PASSATO NON REMOTO

E’ finito il primo decennio del secolo e pare che non sia successo nulla di nuovo: certo non è successo alcunché di buono. Tommaseo, invitato a giudicare l’opera di un esordiente, scrisse: «Qui c’è qualcosa di nuovo e di buono, ma il buono non è nuovo e il nuovo non è buono». Sono lieto di annunziarvi che oggi va assai meglio della politica la letteratura del primo decennio (i suoi dieci buoni narratori, poeti e saggisti li ha dati). Lo si sapeva che noi italiani siamo più bravi a fare parole che non fatti, ma c’è la sorpresa: è meglio se non li facciamo, spesso sono misfatti. Perciò preferiamo parlare di letteratura.
Andiamo avanti con le parole, e diciamolo subito: qualcuno torna indietro per rifare i conti e vedere quanto di buono aveva fatto il Novecento, e lo trova in quelli che non cercano l’originalità secondo il radicalismo e l’ultrastoricismo delle avanguardie, le fanatiche del nuovo ad ogni costo. Oggi paga e ripaga il realismo, in politica e in arte. Gli Anni Trenta gridano vendetta e facciamo bene a guardarci alle spalle. Il secolo neonato non è stato ostile al precedente quanto il Novecento futurista e surrealista lo fu verso l’Ottocento romantico e realista o quanto questo fu nei confronti di quel Settecento illuminista che aveva fatto fuori il Seicento barocco, il bisnonno del Novecento. E’ giusto lasciarsi alle spalle il barocco e le avanguardie, ma salviamo un po’ di illuminismo, per es. la satira di Voltaire. C’è nuovamente da ridere.
L’attuale decennio pratica verso il secolo scorso il revisionismo, ma volete paragonarlo con la deromanticizzazione del Novecento, o con la Restaurazione del primo Ottocento , o con le polemiche arcadiche contro il manierismo estremo del Seicento? Forse è in atto qualcosa che ricorda, più che l’Arcadia, la restaurazione. La Restaurazione di primo Ottocento però ha salvato parecchie conquiste della Rivoluzione Francese e della legislazione napoleonica. E quanto illuminismo splende nei versi di Leopardi e nella prosa di Manzoni! Mandiamo dunque in museo l’avanguardia, che ha fatto il suo tempo, ma tiriamo fuori lo spirito liberale che pensò a una libera chiesa in libero stato. Siamo troppo romantici? Sarò più realista.
Sembra un gioco di parole il titolo dell’ultima raccolta di saggi di Cesare De Michelis (Moderno antimoderno Aragno, pp.512, euro 40,00), ma non lo è. Non è rimesso in gioco il moderno, ma il critico, che è un eccellente saggista e un acuto storico della letteratura, opta per il moderno che insieme è antimoderno. Se il suo precipuo obiettivo è quello di mettere in luce la qualità di narratori che lo sperimentalismo degli Anni Sessanta ha oscurato, ciò è oltremodo legittimo, tanto più se il lettore è il sottile interprete dei testi che risulta essere anche su quelli rifiutati dalla maggior parte dei critici (per esempio Susanna Tamaro). Il saggista ha evidentemente anche il coraggio di restar solo con i ”suoi” autori: rappresentano il tipo di letteratura che ama e che va sostenendo in quanto recensore, in quanto professore e in quanto editore. Viva la coerenza e viva la pazienza, ma in De Michelis preferisco lo storico al precursore.
In questo volume che indirettamente illustra anche la linea culturale della Marsilio risulta chiaro l’intento di trasformare il passato (come dire, aggiungete questi altri nomi all’elenco degli scrittori del Novecento da leggere, per esempio Lodoli, Del Giudice, Tomizza, Berto) in modello per il presente e per il futuro della nostra narrativa. E qui il discorso si farebbe assai lungo, specialmente se escludesse stili che non perseguono anzitutto l’accessibilità della prosa e l’attraente narrabilità. De Michelis deve avere avuto la tentazione di dire che la letteratura che ora i lettori prediligono lui l’ha già pubblicata, ma io sono certo che urge cercare altro: così è troppo bello.
Per la storia: il suo elenco può essere complementare ma non sostitutivo di quello che privilegia avanguardia e post-avanguardia come strutture delegate a capire Anni Sessanta e Settanta. Il moderno dello sperimentalismo è arrivato prima e meglio all’appuntamento con la storia del secondo Novecento. In quanto al futuro, se Messene piange, Sparta non ride. Sono un pianto sia lo sperimentalismo che il realismo. Serve un’altra profezia: magari ”post eventum”. De Michelis vanta un illustre precedente. In Poesia italiana del Novecento Giacomo Debenedetti deve trovare il modo di salvare il suo Saba mentre opta per la modernità dell’ermetismo: è questo linguaggio, intuendo la condizione ”orfana” dell’uomo, ad avere avuto il ”senso della storia” nei fascisti Trenta. Ebbene, il moderno antimoderno del poeta triestino inventa uno stile che fa dell’anacronismo il fondamento della sua perenne attualità, ma restano Ungaretti, Montale e Luzi i poeti che hanno trovato le parole i ritmi con cui i lettori si sono comunicati l’angoscia di una condizione alienata dalla vita borghese. Comunque non assegnerei Tozzi (sul quale De
Michelis ha scritto in prosa attraente un saggio originale e interrogativo) all’antimoderno, se per Debenedetti, è proprio il senese l’”inconsapevole” fondatore del romanzo moderno. Non c’è nessuno in giro che sia capace di fondare, magari inconsapevolmente, un romanzo che vada oltre il moderno?