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 2010  luglio 21 Mercoledì calendario

ORA ANCHE LE DONNE EBREE SI METTONO IL BURQA

A Kabul lo chiamano bur­qa, a Riad «niqba», a Gerusa­lemme «frumka», ma se non è zuppa è pan bagnato. Tra il mantello nero delle fonda­mentaliste islamiche e i sac­chi­a strati indossati dalle fana­tiche ebree che da qualche an­no girano per i quartieri ultra­ortodossi di Beit Shemesh e Mea Shearim cambia poco. Il «frumka» -come lo chiamano loro - ha la stessa funzione di «niqba» e «burqa». Deve ga­rantire la modestia della don­na, impedire agli sguardi im­puri degli uomini di posarsi su di lei, lasciarla pura e inconta­minata per il marito e Dio. E allora vai con i tendaggi. La «rabbanit» Bruria Keren, la di­scussa santona che qualche anno fa si propose come porta­bandiera della nuova tenden­za non incontrava nessuno pri­ma di essersi nascosta sotto dieci spesse gonne, sette lun­ghi mantelli, cinque fazzoletti annodati al mento e tre alla nu­ca. Il tutto corredato da una mascherina di stoffa da cui sbucavano solo gli occhi. La «rabbanit» di Beit Shemesh, la roccaforte dell’ortodossia ebraica alle porte di Gerusa­lemme, non durò molto. Al­l’inizio del 2008, pochi mesi dopo la diffusione dello stram­palato culto, la polizia l’arre­stò accusandola di aver sevi­ziato i dodici figli e di averli co­stretti a pratiche incestuose. La condanna a 4 anni inflitta alla santona del «frumka» non fermò le sue seguaci che conti­nuarono a far proseliti. Oggi le «talebane ebree», come le ha battezzate la stampa israelia­na, contano centinaia di adep­ti e imperversano in vari quar­tieri compreso Mea Shearim il cuore dell’ortodossiadi Geru­salemme.
Una differenza tra il culto del «niqab» e quello della «fru­mka »però c’è.Mentre nei pae­si arabi e nelle comunità isla­miche più integraliste gli uo­mini aderiscono di buon gra­do alla volontà femminile di scomparire sotto una veste ne­ra in Israele i maschi ortodossi si guardano bene dall’avvalla­re la nuova tendenza. Benché a Mea Shearim e nella stesa Beit Shemesh le ronde orto­dosse impongano alle donne di usare bus separati e di vestir­si «con modestia» i sacchi am­bulanti non sono né amati, né approvati. I primi a combatte­re la rivoluzione integralista sono gli ultraortodossi di ses­so maschile. «Quelle donne erano delle povere pazze e noi l’abbiamo sempre saputo, ora le nostre impressioni sono sta­te pienamente confermate fra un po’ quelle poverette la smetteranno di dedicarsi a quelle insane credenze» - di­c­hiarò dopo l’arresto della Ke­ren Shmuel Poppenheim por­tavoce di Eda Haredit, uno dei più intransigenti gruppi del­l’ortodossia ebraica. Ma il pro­­liferare dei sacchi ambulanti ha contraddetto le sue o previ­sioni e così «Eda Haredith» ­un nome che significa «setta dei timorati» - ha deciso di por­tare la questione davanti ai rabbini della Corte di Giusti­zia la più alta istituzione del gruppo ortodosso.
La questione non è propria­mente solo estetica. Da quan­do il numero delle affiliate si conta a centinaia la questione della «frumka» si è trasforma­ta in un problema educativo. I figli, e soprattutto le figlie, del­le seguaci di Bruria Keren spes­so si ritrovano isolati dagli al­tri bambini e chiedono di non andare più a scuola. Una ri­chiesta cui le madri - sosteni­trici della necessità di un’edu­cazione rigorosamente religio­sa­sono spesso felici di accon­sentire. Le figlie delle «ebree talebane» rischiano così - al pari delle bimbe dell’Afghani­stan fondamentalista - di cre­scere senza aver mai messo piede in una scuola. Proprio per questo i rabbini della Setta dei Timorati potrebbero de­cretare l’inammissibilità della «frumka» e la messa al bando di tutte le sue adepte.