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 2010  luglio 21 Mercoledì calendario

SE IL DIFETTO FISICO DIVENTA RAZZISMO POLITICO

Se Lombroso entrasse in Parlamento, li farebbe arrestare via tutti. Una retata di musi inca­rogniti, gnomi, gargoyles, don­ne cannone, grandi obesi, befa­ne, orbi, pelati e sciancati degna di un circo dei freak. Ma prima che i signori onorevoli montino in bestia, si fermino. E si ricordi­no come a definirsi mostruosi l’un l’altro siano proprio loro.
Già, perché a ben vedere le Au­le della politica non differiscono molto dalle aule delle elementa­ri, dove i bulletti si accaniscono sui bimbi quattrocchi,che porta­no l’apparecchio o hanno i bru­foli. Il difetto fisico, la tara che macchia una fantomatica «bella presenza»,è il grimaldello più fa­ci­le per smontare anche l’avver­sario di partito, non solo il com­pagno di banco. E così succede che - accanto alle belle parole per le pari opportunità e la lotta al razzismo - Montecitorio e Pa­lazzo Madama diventino delle sedi staccate dei laboratori del dottor Mengele.
Uno degli handicap meno ac­­cettati è quello della statura. Non quella morale, per carità. che le misure contano, in politi­ca come fra le lenzuola. Colpa di De André e della sua canzone «Un giudice»: ora tutti si accani­scono sul «diversamente alto». Massimo D’Alema, che liquidò il ministro Brunetta come «ener­gumeno tascabile», è solo l’ulti­mo, insieme al disegnatore Spa­taro che ribattezzò il ministro Meloni«ministronza».In princi­pio fu un piùelegante ed anoni­mo parlamentare che nel – 71, du­rante il voto per far eleggere Amintore Fanfani capo dello Sta­to, scrisse sulla scheda: «Nano maledetto,non verrai eletto».Ul­timo erede della dinastia dei fol­letti è Silvio Berlusconi, sopran­nominato «Al Tappone» da Tra­vaglio e sbeffeggiato in ogni sal­sa. Tanto da farlo reagire: «Prodi dice che sono basso. Lui è di sicu­ro più largo».
E qui passiamo all’altra cate­goria che in questa nuova Spar­ta andrebbe gettata dalla rupe o abbandonata sul monte Taige­to: gli obesi. Anzi, anche solo i paffutelli. Giù Bettino Craxi, il Cinghialone; giù Spadolini, che Forattini ritraeva elefantiaco e ipodotato; giù Isabella Bertolini, la «cicciona di Modena» (Iva Za­nicchi dixit ); giù pure Giuliano Ferrara, «il Platinette con la bar­ba » che secondo Travaglio do­vrebbe stare al circo «tra la don­na cannone e la donna barbu­ta ». E pazienza se Ferrara ha pu­re dichiarato di essere affetto da una malattia genetica, la sindro­me di Klinefelter. D’altronde pu­re Andreotti era gobbo ma mica l’ha passata franca. Un handi­c­ap non vi salverà dalla furia eu­genetica.
Se anche sono passati decen­ni da quella filastrocca in cui si recitavano i nomi dei democri­stiani «Piccoli, Storti, Malfatti e Malvestiti»,l’aria non è cambia­ta. Nella politica italiana l’appa­renza conta, altro che inganna­re. E così si potrebbe coniare un altro mantra: calvi, brutti e sche­letrici. In particolare, i primi so­no più bersagliati dei napoletani a Pontida. Oltre ai magistrati di Tangentopoli che si riferivano a Craxi come al «Pelato», è Trava­glio il Torquemada della calvi­zie. Una vera ossessione, la sua per le chiome, dalle «meches» di Filippo Facci al «riporto asfalta­to a rastrelliera » del giudice Mar­ra. Negli anni Travaglio ha poi definito Berlusconi Cavalier Bel­licapelli, Crescina, Bellachio­ma, Foltocrinito e Peluria. Sen­za contare il soprannome per il ministro Bondi, rinominato «Cantatrice calva» (quando non «Pallore gonfiato»).
Accantonando un momento Travaglio, alfiere dell’offesa di­scriminatoria ( così, per comple­tezza, ricordiamo Maurizio Bel­pietro «Via col mento», Alessan­dro Sallusti «Zio Tibia», Mario Giordano «Voce bianca» e Gian­franco Rotondi «Ministro con la testa da kiwi»), anche la bruttez­za è una colpa. Lapidata sulla pubblica piazza Rosy Bindi. Da Cossiga, che la definì «brutta, cattiva e cretina», così come da Sgarbi e Berlusconi, che la de­scrissero come «più bella che in­telligente ». Una battuta poco ca­valleresca in cui il Cavaliere in­cappò anche con Mercedes Bresso, «che quando si sveglia si guarda allo specchio e si rovina la giornata». Nel mirino anche Lamberto Dini, il premier dal­l’occhio sporgente che accese un dibattito in Rifondazione: «Baciare il rospo?»,si leggeva sui manifesti elettorali.
Eppure neanche gli slanciati si salvano.Fassino?«Troppo ma­gro, gli regalerò un panettone» (copyright Berlusconi). Fini? «Un pennellone», lo definì la Mussolini. La stessa che disse di Bossi: «Sembra una mucca». E si sbarazzò (momentaneamente) del Cav: «Si è rifatto le borse agli occhi e si è dimenticato delle bor­se degli italiani ». E allora via, «le­ghisti scimmie», Gasparri «fac­cia da cameriere a cui non han­no dato la mancia», Luxuria «scherzo della natura». Insulti a vista, disprezzo a pelle. Un etto di troppo, due diottrie in meno, un ciuffo bianco e sei fatto. Fuori dal consorzio dei perfetti. Come se ce ne fossero ancora, tra l’al­tro.
Non resta che fare come Sil­vio, che a forza di battute non ne ha risparmiata una a se stesso, e quando è nato il nipotino si è ral­­legrato: «Finalmente uno più piccolo e più pelato di me». Per­ché a forza di offese, si è persa l’ironia, mentre l’autoironia non c’è mai stata.Perché in fon­do è vero quello che diceva Cio­ran: «Frequentare gente è un supplizio perché leggiamo i no­stri difetti nei loro occhi».