Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 22 Giovedì calendario

 ORA DI DIRLO CHIARO: I VICERE’ DI DE ROBERTO SONO UN VERO MATTONE

Negli anni Cin­quanta la bella ebrea russa, Raissa, amica di Kuliscioff, mo­glie del giornali­sta Pippo Naldi, teneva lezioni private di russo a Roma. Tra gli allievi un mio ca­rissimo amico il quale un giorno, di fronte a Guerra e Pa­ce si lamentò con Raissa che nessun au­tore italiano avesse prodotto un simile capolavoro. Raissa però lo ammonì fa­cendogli presente che Federico De Ro­berto aveva da poco pubblicato un grandissimo romanzo, una saga su una famiglia nobile siciliana, I Vicerè . Que­sto suggerimento di Raissa passò poco dopo anche a me ed acquistai anch’io una copia, qualche anno prima che fos­se disponibile il Gattopardo . In questo periodo sono comparsi molti articoli su I Vicerè e giorni fa una bella foto del­l’autore, proprio sul nostro giornale. Preso da nostalgia-curiosità sono tor­nato a leggere quel volume (privo tra l’altro di note esplicative, di un albero genealogico) e sono giunto alla conclu­sione che è un bel mattone soporifero. Cosa ne pensa? Un giudizio, un com­mento, la prego.
Franco di Cesare
San Donato Milanese

I Viceré di Federico De Roberto è il libro che in assoluto ha avuto più tentativi di capolavorizzazione, caro di Cesare. Per capolavorizzazione intendo dire le am­muine per imporlo al pubblico come un ca-po-la-vo-ro. Senza se e senza ma. Al­tri libri ebbero quella sorte, mi viene in mente Orcinus Orca di D’Arrigo. Ma nes­suno come I Viceré . Eppure, nonostante l’impegno dei capolavorizzatori, il fior fiore dell’intellighenzia progressista, De Roberto è sempre rimasto al palo, senza ottenere mai il successo e la popolarità dell’autore al quale sovente (e insensata­mente) lo si vuole accomunare, il subli­me Tomasi di Lampedusa. Al contrario del Gattopardo , stroncato dalla sinistra ­«romanzo senza pregi letterari, nessun lettore andrà oltre le prime pagine» fu il giudizio di Rinascita -I Vicerépiacquero e piacciono molto alla sinistra perché è un romanzo «militante», perché vi si de­molisce, demonizzandola, la classe ari­stocratica e alto borghese («No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stes­sa » ammette Consalvo mandando in visi­bilio il lettore «sinceramente democrati­co »). E questo basta, agli intellettuali di sinistra, per fare di un indigesto mostac­ciolo un babà. Al rum.
Eppure, non ostante detengano l’ege­monia culturale, nulla poterono, i com­pagni, per trarre il libro dal novero dei «mattoni» - di quelli che se ti cadono sul piede te lo frantumano - e piazzarlo nel ristrettissimo olimpo dei capolavori. Quand’ero più disponibile per simili esercizi ne lessi anch’io una buona parte - tutto no, impossibile - con molta fatica e altrettanto incomodo. Perdendomi fra gli innumerevoli Uzeda: e Tersina, e Be­nedetto e Consalvo e don Blasco e Ferdi­nanda e Gaspare e Lucrezia e Benedetto e Teresa e Giacomo e Raimondo e don Ludovico... Puoi essere concentrato quanto ti pare, ma a un certo momento smarrisci la bussola e non ti raccapezzi più. Questo per non parlare della scrittu­ra, del modulo letterario pastoso e ridon­dante, del ritmo monotono. Tediosissi­mo. Eppure ebbe l’apprezzamento di Montanelli, che lo giudicò - anche se, se­condo me, non lo aveva mai letto - il no­stro più importante racconto storico lai­co. Mah. Indro, si sa, era un originale. In quanto a me, caro di Cesare, cosa vuole che le dica? Non ho titoli per salire in cat­tedra e esprimere un giudizio critico. Pe­rò so arrampicarmi sulle spalle dei gigan­ti e da quelle di Benedetto Croce le man­do a dire ciò che lui disse deiViceré :«Un’opera pesante che non illumina l’in­­telletto come non fa mai battere il cuo­re ». Cos’altro aggiungere?
Paolo Granzotto