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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

IL GIOVANE BEETHOVEN E GOETHE. STORIA (MISTERIOSA) DI UNA LITE

Un incontro storico. Si sa che Goethe e Beethoven, il vecchio scrittore e il giovane musicista, l’Olimpico e il Sordo, dopo lunga maturazione, ebbero quattro incontri nel luglio 1812. Ma le ragioni della rottura che ne seguì restano controverse: c’è chi le attribuisce all’uno, chi all’altro. Probabilmente vanno a carico di entrambi. In realtà, la storia dei due titani tedeschi fu la storia di un cattivo rapporto tra pessimi caratteri. Fu la scrittrice romantica Bettina Brentano, a quanto pare, l’artefice di quegli incontri pressoché catastrofici. «A quanto pare», perché la giovane Bettina, che nelle sue lettere Goethe chiama la «bimba», va presa con le pinze, almeno a considerare la sua ben nota tendenza a ricamare fantasie per pura civetteria. Un cattivo rapporto partito così così. Con tutta la passione infantile, l’entusiasmo e la venerazione per «Sua Eccellenza» il Poeta da parte del quarantenne compositore, che non vedeva l’ora di farne la conoscenza. Tant’è che già nel maggio 1810 la «bimba» informa Goethe di aver incontrato un artista che «cammina innanzi a tutta l’umanità», esortando il Vate a soddisfare il suo desiderio di conoscerlo. «Procurami la gioia di una pronta risposta che provi a Beethoven che tu lo stimi». L’Olimpico, forse infastidito da tanta enfasi, risponderà con ironico distacco: «Di fronte alle espressioni di un tale uomo invaso dal dèmone, il profano deve avere un senso di rispetto». La scontrosità di Goethe, appena velata di ironia, viene sottolineata anche da Luigi Magnani che in Goethe, Beethoven e il demonico (Einaudi 1976) dedica diverse pagine alla questione. Nel febbraio 1811, il musicista torna alla carica, comunicando all’amica che ha terminato la messa in musica dell’ Egmont (il dramma che Goethe scrisse nel 1788), «unicamente per amore delle sue poesie che mi fanno sentire felice». Ma solo il 12 aprile Beethoven si deciderà a rompere il ghiaccio, scrivendogli personalmente: «Ho un gran desiderio di conoscere il Suo giudizio sulla mia composizione». La risposta tarda ad arrivare, e allora il compositore decide di mandare a Weimar l’amico Franz Oliva, un barone viennese e direttore d’orchestra, perché suoni i brani di Beethoven al cospetto di Goethe: il quale segue l’esecuzione chiacchierando con un ospite e passeggiando impaziente per il salone. Solo due mesi dopo, il «chiarissimo Signore» Beethoven viene degnato di una risposta che, al di là dei convenevoli, non va oltre l’auspicio di potersi un giorno deliziare «del Suo straordinario talento». Non è detto che Goethe capisse molto di musica: lo dimostra non solo la soddisfazione rispetto a composizioni obiettivamente mediocri ispirate dalle sue opere, ma anche la poca stima che avrebbe riservato, in età senile, al povero Schubert che invocava un po’ di attenzione. Ma lo dimostra soprattutto lo scarso entusiasmo con cui accolse il talento rivoluzionario Beethoven (molto superiore, secondo Nietzsche, a quello letterario di Goethe). Del resto, per lui la musica valeva soprattutto come orpello della poesia. Fatto sta che Bettina non smise di affannarsi perché i due si incontrassero. E alla fine, nonostante una frattura tra la «bimba» e il suo Maestro, il miracolo avvenne in uno scenario imprevisto. Sulle montagne della Boemia, nella località termale di Teplitz, dove Goethe alloggiava presso la corte della giovane imperatrice Maria Ludovica d’Austria, e dove Beethoven avrebbe potuto curare i suoi malanni al fegato e la sua sordità. Il 19 luglio, dopo il primo incontro, Goethe scrisse alla moglie Christiane: «Non ho mai visto un artista più concentrato, più energico, più profondo. Capisco benissimo che di fronte al mondo possa apparire bizzarro». Frasi sibilline quanto basta. Di che cosa abbiano parlato il poeta e il musicista nelle passeggiate di quel giorno e dei giorni successivi non è dato sapere. Un gioielliere viennese’ ricorda Piero Buscaroli nella sua monumentale biografia di Beethoven (Bur 2010) ”, raccontò di aver orecchiato uno spezzone di discorso tra i due (che necessariamente parlavano ad alta voce). Al poeta che sbuffava per il fastidio dei saluti e dei continui omaggi dei passanti, il musicista rispose beffardamente: «Non se la prenda Eccellenza, forse sono per me». Il Poeta fu sicuramente colpito dall’uomo e non capì l’artista. Nel suo diario annotò senza commenti gli incontri. Solo a proposito dell’ultimo, il 23 luglio, aggiunse: «Er spielte köstlich» (ha suonato meravigliosamente). Bettina, con la sua fantasia, avrebbe poi riferito che Goethe era arrivato alle lacrime sentendo suonare Beethoven, il quale reagì tra delusione e risentimento, considerando in genere la commozione degli ascoltatori come un segno di poca stima (lo precisa Graziano Bianchi nel suo Beethoven e Goethe, Polistampa 2002). Il 2 settembre, rievocando le passeggiate di Teplitz, Goethe scriverà a un amico: «Il suo talento mi ha stupefatto (…) purtroppo una personalità sfrenata che non ha torto a trovare il mondo detestabile, ma in tal modo non lo rende più gradevole, né a sé, né agli altri». Viceversa, dall’incontro con Goethe, Beethoven perderà non la devozione per l’artista ma di certo l’ammirazione per l’uomo. Qualcosa di sgradevole deve essere accaduto. Forse è tutto contenuto in una lettera a un amico del 9 agosto, dove Ludwig formula un rimprovero esplicito: «A Göthe (sic!) piace l’aria di corte molto più di quanto si addica a un poeta». Beethoven rimase probabilmente deluso dall’eccessiva deferenza dell’amato Goethe di fronte agli uomini di corte: pare che durante una passeggiata in cui i due incontrarono l’imperatrice, il poeta si fosse esibito in molteplici inchini e scappellamenti. Al che Beethoven andò a confondersi nella folla lanciando battute ironiche contro il suo mito. Da allora tra i due calò il gelo. Rotto nel ’22, quando il compositore fece inviare al vecchio poeta una sua musica scritta su una serie di Lieder goethiani. Senza ottenere risposta: forse per il fastidio che l’opera fosse stata usata senza richiesta di consenso? Può essere. Ancora nel febbraio 1823 Beethoven dimostrò che «l’ ammirazione, l’amore, l’altissima stima» per il Poeta erano intatti. Tornò a farsi vivo per fargli una «richiesta quasi patetica»: interessare il Granduca di Weimar perché sottoscrivesse la sua Grande Messa. Niente da fare. L’Olimpico rimase olimpicamente inaccessibile.
Paolo Di Stefano