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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

MA «FABBRICA ITALIA» PERDE PEZZI. I FONDI PER MIRAFIORI? IN SERBIA

L’impegno è ribadito, su Pomigliano il Lingotto va avanti. Ma lì si ferma, per ora, la costruzione di Fabbrica Italia. Troppi blocchi, polemiche, soprattutto troppe le minacce targate Fiom (e i relativi primi assaggi) di «ingovernabilità degli stabilimenti». Risultato: la tabella di marcia degli investimenti Fiat prosegue come da previsioni, il secondo passo scatta subito, però non da noi. Le linee della «L-0» – nome in codice dell’auto che sostituirà Musa, Idea, Multipla’ erano previste a Mirafiori. Andranno in Serbia. Insieme ai 350 milioni che Sergio Marchionne avrebbe voluto impiegare a Torino e che invece, adesso, saranno «dirottati» a Kragujevac. Dove, peraltro, il Lingotto potrà contare su fondi aggiuntivi destinati al rinnovo totale degli impianti. Non un euro di «aiuto» sarebbe stato chiesto al governo italiano. Duecentocinquanta milioni saranno, per contro, messi sul piatto dalle autorità di Belgrado.
Duecentocinquanta milioni che, insieme ai 400 di finanziamenti Bei ottenibili per il lancio dello stabilimento, portano il totale a quota un miliardo.
Non sono però i soldi pubblici a fare la differenza. L’offerta di Belgrado e l’accessibilità alla somma Bei erano sul tavolo anche quando, per il progetto «L-0», il Lingotto aveva scritto Mirafiori alla voce impianto di produzione. Poi c’è stata la battaglia per Pomigliano. C’è stato - e c’è - l’ «ostruzionismo» Fiom.
E se lì non si torna indietro, «confermiamo l’impegno preso con i sindacati che vogliono garantire la produzione della Panda, faremo insieme tutto il possibile per arrivare alle 270 mila auto previste», Marchionne non è disposto a correre altri rischi sul resto. La mossa serba «non è – precisa da Auburn Hills, nell’incontro con gli analisti subito dopo il consiglio trimestrale-spin-off’ un ritiro dal progetto Fabbrica Italia». Però, aggiunge, «decideremo impianto per impianto». Perché è inutile girarci intorno, il braccio di ferro con la Fiom rischia («non per volontà nostra né degli altri sindacati») di inceppare il meccanismo. E se già a Pomigliano ci sono 700 milioni di investimenti ormai avviati, ma che potrebbero finire «bruciati» se l’accordo con Fim, Fismic, Uil e Ugl venisse vanificato da una catena di microconflitti, Marchionne vuole vedere come si evolverà la situazione. Vuole essere certo di «poter fare, tra un anno e mezzo, tutte le 270 mila Panda senza stop e senza interruzioni». Dunque: «Fino a quando la situazione non si sarà sbloccata con assoluta chiarezza», il piano da 20 miliardi di investimenti in Italia sarà deciso step by step, passo dopo passo, singolo impianto per singolo impianto.
 perfettamente consapevole, Marchionne, che il tutto infuocherà il clima ancor più di quanto già non lo sia. Ma, dice, la colpa non può essere addossata al Lingotto: «La discussione si è inquinata sia in merito alle nostre intenzioni sia rispetto ai nostri obiettivi. La Fiat non può assumere rischi non necessari sui suoi progetti industriali, ne va della sopravvivenza». Per questo, lasciata passare qualche settimana, nel weekend è stata tutta la prima linea di manager torinesi (tutti in trasferta ad Auburn Hills) a decidere che di fronte al pericolo micro-conflittualità era Kragujevac, non Mirafiori, l’impianto in grado di garantire «senza problemi» la produzione di 190 mila «L-0» l’anno. Per questo Fabbrica Italia perde, intanto, la seconda tessera del puzzle e, quanto alle altre, «si vedrà di volta in volta: su Pomigliano lavoreremo con i sindacati che hanno firmato, ma il modello non è duplicabile, quello che dobbiamo fare per andare avanti è convincere tutti dell’assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia». Senza, possibilmente, strumentalizzazioni politiche («l’inquinamento» cui si riferisce Marchionne).
Non è un caso che la mossa serba sia stata annunciata da Auburn Hills, dal consiglio che ha approvato un utile netto inatteso e, soprattutto, l’avvio del processo di addio alla «vecchia Fiat». Senza Chrysler, come regolarmente ripete anche il presidente John Elkann, lo spin-off non sarebbe stato possibile, qui a Detroit c’è un bel pezzo del valore che la scissione potrà liberare. C’è, insieme, la prova tangibile di quanto sia davvero "multinazionale" oggi Fiat. E c’è il contro-specchio, rispetto all’Italia, di quanto possa fare una vera alleanza con chi rappresenta i lavoratori. Cita sempre la United Auto Workers, Marchionne, come esempio di «sindacato responsabile». la Uaw, ora, a citare Marchionne.
Di Pomigliano, della Fiom, delle polemiche italiane non vogliono parlare. Cynthya Holland, presidente della Uaw per lo stabilimento di Jefferson, dice semplicemente: «Abbiamo capito, un anno fa, che eravamo all’ultima spiaggia. I sacrifici li abbiamo accettati per questo. Ma in cambio abbiamo trovato una partnership vera, non di facciata, e ne siamo grati a Sergio e alla Fiat». Perché i risultati di quella partnership, sorride, li potete vedere già qui, Jefferson, Michigan, fabbrica della nuova Jeep Grand Cherokee: «Lunedì abbiamo avviato il secondo turno. Significa un quasi raddoppio dei dipendenti: 1.300 nuove assunzioni». Altre 1.700 sono arrivate nel resto del gruppo. «E, sapete? Non c’è l’azienda da una parte, il sindacato dall’altra. Siamo "uno", siamo Chrysler. E ne siamo orgogliosi».
Raffaella Polato