BRUNO RUFFILLI, La Stampa 22/7/2010, pagina 43, 22 luglio 2010
SOLTANTO DUE DISCHI SU CENTO VENDONO PIU’ DI 5 MILA COPIE
Dei circa 100 mila album pubblicati lo scorso anno negli Stati uniti, ben 17 mila hanno venduto una sola copia. Altri 81 mila non hanno superato le cento. Tra i compact disc venduti nei negozi, il due per cento arriva a stento a 5000 copie. Questi alcuni dati presentati a New York nel corso del New Music Seminar che si è chiuso ieri.
Chris Anderson di Wired, che aveva analizzato il fenomeno anni fa, l’aveva chiamato «coda lunga» e aveva prospettato un’economia in cui la somma dei piccoli e piccolissimi numeri poteva diventare un’alternativa alla tirannia dei grandi. Per un disco di Madonna che domina le classifiche, insomma, ci sarebbero altre migliaia di titoli acquistati in poche copie, magari anche una sola. Un disastro per l’industria discografica, coinsiderate le spese: quelle di produzione, distribuzione e stoccaggio, innanzi tutto, poi le percentuali dovute a negozi e artisti. La soluzione? Puntare tutto sul digitale, che ha costi bassisimi e permette di guadagnare qualcosa anche con poche copie vendute.
Dal seminario le teorie di Anderson escono confermate, stante la frammentazione crescente del mercato discografico (di quel che rimane dopo la pirateria, almeno). In più, da quando è nato iTunes Store, l’idea stessa di album sembra non aver più senso: tipicamente su Internet si acquistano brani singoli. Il calo delle vendite di cd «fisici» è solo in parte compensato dalla crescita dei corrispettivi in file Mp3 o equivalenti, e anche il tentativo di Apple di riproporli in formato digitale non ha avuto successo.
Ma oggi la maggior parte della musica legale sul web non passa dai megastore come iTunes e Amazon: più importante ancora sarebbe YouTube, secondo Eric Garland, capo di Big Champagne, un’azienda di rilevazioni statistiche americana che ha inventato il modo per quantificare non solo le vendite legali, ma anche la popolarità degli artisti. Per le case discografiche, gli amici su Facebook, i follower su Twitter, i fan su MySpace sono importanti quasi come le vendite reali: permettono di determinare quante persone davvero seguono un artista e di pianificare altre possibili fonti di guadagni, dai concerti alle magliette ai servizi Internet a pagamento.
Così se Google (proprietaria di YouTube) riuscisse a mettere a punto un sistema davvero efficace per trasformare in denaro ogni click, il fatturato del megasito di video potrebbe superare agevolmente quello di iTunes Store. E se rivedesse il suo modello di business, anche una webradio come Pandora potrebbe trasformarsi in una macchina per far soldi, con i suoi 60 milioni di iscritti solo negli Usa.
Troppi se e molti ma, nei discorsi del New Music Seminar: intanto è partito un nuovo servizio, Mog, che per 10 dollari al mese permette di ascoltare in streaming un numero infinito di canzoni su telefonino e computer. Si possono anche scaricare, ma durano solo finché si paga l’abbonamento.