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 2010  luglio 22 Giovedì calendario

LA CRISI DELLA CHIESA (3 ARTICOLI)


14/7/2010
In queste calde serate, con le finestre del palazzo aperte, è possibile sentire il suono di un pianoforte che diffonde sul lago le note di Haydn, di Mendelssohn, di Mozart. E’ il Papa, dentro le mura di Castel Gandolfo, che si esercita nei passaggi più difficili tra le opere dei suoi autori preferiti.

Quest’anno le vacanze di Benedetto XVI, cominciate qualche giorno fa, non prevedono né passeggiate sui monti alpini, né incontri pubblici, ma una semiclausura, tra studio e musica, nella residenza estiva dei pontefici, eretta nel XVII secolo sulle rovine della grande villa dell’imperatore Domiziano, soprannominato «Nerone il calvo».

La scelta di chiudersi a Castel Gandolfo per preparare un’altra enciclica e scrivere un nuovo libro sull’infanzia di Gesù corrisponde alle predilezioni caratteriali di Joseph Ratzinger. Ma potrebbe anche essere assunta a simbolo di quell’assedio alla Chiesa nell’«annus horribilis» del suo pontificato. Un anno che, sul piano internazionale, ha visto l’estendersi dello scandalo sui preti pedofili dagli Stati Uniti a mezz’Europa e che, in Italia, ha coinvolto il Vaticano in brutte storie di complicità affaristiche nei casi Balducci, gentiluomo di Sua Santità, e nelle vicende legate all’attività della Congregazione di Propaganda Fide, quand’era diretta dal cardinale Crescenzio Sepe.

Eppure, la suggestione del pianoforte che suona mentre il Titanic affonda è davvero lontana dalla realtà di un Papa più abituato a guardare i tempi lunghi della storia e meno agli affanni delle contingenze quotidiane. Così nessuno, né nel mondo ecclesiastico né in quello del laicato cattolico, accetta l’immagine di una Chiesa assediata. Tanto meno osa pronunciare quella parola, «complotto», che spesso viene spontanea sulle labbra di chi si sente circondato e bersagliato dal fuoco concentrico delle accuse. Soprattutto perchè è stato proprio Benedetto XVI, nel momento più drammatico dello scandalo per i preti pedofili, a escluderlo e a riconoscere che «la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa».

Il direttore dell’«Osservatore romano», Gian Maria Vian, interprete e divulgatore della linea della Segreteria di Stato, ma anche storico con un inaspettato gusto del giornalismo, rivela, però, le impressioni che si celano dietro le dichiarazioni ufficiali: «E’ certamente sbagliato parlare di complotto. Ma non si può non vedere una campagna mediatica su episodi dolorosi, anzi criminali, sui quali non si deve trascurare l’esigenza di fare giustizia. La campagna è organizzata da interessi diversi, da quelli degli avvocati americani a caccia di ingenti parcelle all’allarme, in certi ambienti, per la crescente forza dei cattolici negli Stati Uniti. C’è, poi, l’insofferenza per il ruolo internazionale del Vaticano, critico e indipendente rispetto alle grandi potenze e le contrarietà che suscitano le posizioni della Chiesa sulla bioetica in settori legati a forti interessi economici».

In un mondo in cui la globalizzazione non solo infrange i confini degli Stati, ma anche quelli tra la religione, la politica e l’economia è importante cercare di intuire come il pontificato di Papa Ratzinger cerchi di far superare alla Chiesa cattolica uno dei momenti più difficili della sua storia. E’ proprio uno dei filosofi italiani più interessanti, Giorgio Agamben, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, a lanciare un appello che ha toni disperati: «La Chiesa si deciderà finalmente a cogliere la sua occasione storica e a ritrovare la sua vocazione messianica? Il rischio, altrimenti, è che sia trascinata nella rovina che minaccia tutti i governi e tutte le istituzioni della terra».

Benedetto XVI, pur sorretto, invece, dalla fiducia e dalla speranza della fede, sembra condividere sia la drammaticità della situazione in cui si trova oggi la sua Chiesa sia l’opportunità di «cogliere l’occasione storica» di cui parla Agamben. Il Papa concentra le sue preoccupazioni sul processo di secolarizzazione, fondato su un ondivago relativismo dei valori, ormai molto avanzato in Europa. Ecco perchè, come nota acutamente Massimo Camisasca, amico di don Giussani e storico del movimento di «Comunione e Liberazione», pensa di fondare la sua azione riformatrice sulla «liturgia, come pedagogia esistenziale, strumento per riavvicinare l’uomo a Dio. Il pontefice sa che la crisi della Chiesa e nella Chiesa è profonda e quindi vuole seminare in profondità».

I rischi di questa strategia ratzingeriana, però, sono almeno due: l’incomprensione dei laici, ma anche di molti cattolici, verso una visione che viene interpretata come conservatrice, attenta al recupero delle tradizioni liturgiche e lontana dai problemi più vivi e assillanti per un credente nel mondo moderno. Ma anche una rinuncia, meglio, una sostanziale sfiducia nella possibilità di una «teologia politica» del cattolicesimo. Come osserva Massimo Fagioli, docente di Storia del cristianesimo all’università statunitense di Minneapolis, il quale denuncia «la rivoluzione antipolitica operata dal magistero di Ratzinger». Con la conseguenza di ridurre «il magistero cattolico ai richiami al rispetto della vita in nome dei valori non negoziabili» e di restringere l’ottica dell’azione papale al solo campo occidentale, «in un orientamento quasi neo-pacelliano».

Le difficoltà della Chiesa, però, non derivano solo dalla peculiare impostazione teologica del suo pontefice, ma anche dalle condizioni storiche in cui Papa Ratzinger si trova ad operare. Il problema è coperto dall’ossequio obbligato verso la straordinaria figura del suo predecessore. Ma se non si vuole assecondare l’ipocrisia dominante, bisogna avere il coraggio di ammettere che l’eredità lasciata da Giovanni Paolo II è molto pesante. Sia perchè il modello di un tale pontificato non solo è irripetibile, ma oscura la popolarità e il carisma del suo successore. Sia e soprattutto perchè il carico di questioni irrisolte nella gestione wojtyliana del governo della Chiesa, una volta coperto dal suo misticismo mediatico, sembra straripare nelle fragili mani dell’intellettuale Benedetto XVI.

L’amaro e complicato passaggio di consegne tra il segretario di Stato di Giovanni Paolo II, il cardinale Angelo Sodano, e quello di Papa Ratzinger, il cardinale Tarcisio Bertone, potrebbe aver prefigurato le difficoltà di una transizione tuttora non risolta. I piccoli passi di una riforma della Curia, necessaria quanto ardua, ne testimoniano le resistenze. Ma anche i rapporti tra lo stesso Bertone e la Conferenza episcopale italiana, dopo le lacerazioni del «caso Boffo», non sembrano ancora consentire alla nuova guida dei vescovi nel nostro paese, il cardinale Angelo Bagnasco, di individuare una strada alternativa a quella attuata durante la ventennale «dittatura» del suo predecessore, il cardinale Camillo Ruini.

Colpisce, infine, che la Chiesa, quella mondiale e quella italiana, vivano questo momento delicato nel silenzio dei movimenti e del laicato cattolico. I primi si dedicano a una meritoria opera di assistenza sociale attraverso una fitta trama di volontariato entusiasta e capace. Oppure, a una attività, meno encomiabile, di lobbismo affaristico-politico. Ma non portano più contributi significativi al dibattito culturale e religioso. I laici credenti, dispersi in una politica che o li ignora o li strumentalizza, sembrano diventati l’«oggetto misterioso» della società italiana. Questioni che certo meriteranno qualche approfondimento.


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16/7/2010
Il segnale più inquietante è venuto dall’Europa. Anzi, dalla capitale dell’Europa, Bruxelles. Le clamorose perquisizioni nella sede dell’arcivescovado, nella casa dell’ex primate del Belgio, monsignor Danneels, persino nelle tombe di due cardinali, alla ricerca di prove contro i preti pedofili e contro chi ha occultato i loro crimini, dimostrano che l’assedio alla Chiesa cattolica è arrivato a incrinare le mura vaticane. Perché le autorità civili e la generalità dell’opinione pubblica della vecchia Europa, patria del cattolicesimo, non riconoscono più alla Chiesa quelle prerogative di tutela diplomatica, di prudenza e di riservatezza che si devono non solo a uno Stato estero, ma a una istituzione morale e religiosa che rappresenta, nel Continente, almeno un terzo dell’intera popolazione.
La consapevolezza del rischio di una erosione grave della credibilità e dell’autorità della Chiesa, soprattutto in Europa, è diffusa sia nella gerarchia ecclesiastica sia nel laicato cattolico. Significativa e molto apprezzata, a questo proposito, è stata la recente decisione del Papa di istituire un inedito organismo nella curia romana, il «Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione», che ha proprio il compito di proporre mezzi e metodi per combattere la cosiddetta secolarizzazione. Anche se la scelta di affidarne la guida a monsignor Rino Fisichella non ha suscitato altrettanta unanimità di consensi.
Sul fenomeno dell’abbandono della fede e dell’appartenenza alla Chiesa nelle società occidentali più ricche esiste un’apparente contraddizione. Da una parte, i dati delle più recenti ricerche sono drammatici. Per citarne una sola, ci si può riferire all’indagine condotta sulla situazione italiana da Paolo Segatti, docente di sociologia politica all’università di Milano. Le conclusioni dimostrano che lo scarto generazionale, rispetto all’esperienza religiosa, è impressionante. Nelle classi giovanili, il distacco non solo dalla Chiesa, ma dalla fede nell’esistenza di Dio è tale da prospettare un futuro di netta minoranza per la presenza dei cattolici nel nostro paese.
Di fronte a questa constatazione, è altrettanto evidente, però, la ricerca, tra i giovani europei, di esperienze spirituali intense e coinvolgenti, il desiderio di individuare guide morali che, nelle attuali difficoltà, aiutino a trovare un significato profondo alla vita e speranza nel domani. Il vero grande problema per la Chiesa cattolica, oggi, è quello di offrire a questa domanda una risposta forte e rassicurante. Il grande rischio di questa falsa contraddizione, infatti, è costituito dalla via d’uscita che, in molti paesi, si va affermando, quella della diffusione delle sette, del fondamentalismo identitario, dell’integralismo religioso.
Se l’analisi è generalmente condivisa, la terapia e, soprattutto, la sua applicazione con le medicine più opportune è controversa e difficile. Il Papa, sulla denuncia contro i mali della Chiesa, è stato molto duro. Nei confronti dello scandalo dei preti pedofili ha espresso una posizione netta. Ma quando la gravità della situazione dovrebbe indurre a lanciare segnali di drastica rottura con il passato, sembra arrendersi al tradizionale «continuismo vaticano». Così, la riforma della Curia avanza a piccoli passi, con una accentuata ricerca di maggiore internazionalità nelle figure a capo dei dicasteri più importanti. Ma senza procedere a quella riorganizzazione interna che possa renderla meno autoreferenziale e, sostanzialmente, meno ingovernabile.
Significativo di questo atteggiamento è stato, recentemente, il caso «Schoenborn-Sodano». Il cardinale austriaco, uno delle figure più prestigiose dell’episcopato mondiale, allievo e amico di Benedetto XVI, ha lanciato dure critiche alla linea tenuta dall’ex segretario di Stato sullo scandalo dei preti pedofili. Il pontefice, proprio per i notori legami di stima con Schoenborn, lo ha convocato in una udienza alla quale, in una fase successiva, è stato ammesso anche Sodano. Pur non arrivando a chiedere al cardinale austriaco una umiliante ritrattazione pubblica, il Papa, così, ha voluto evitare il sospetto che, se anche non ne fosse stato l’ispiratore, almeno condividesse quelle opinioni.
Il contrasto tra la radicalità delle decisioni che sarebbero necessarie e i tempi lunghi, ma anche certe timidezze caratteriali della strategia riformatrice di Benedetto XVI, potrebbe portare conseguenze negative anche sul fronte più delicato e importante: quello della formazione del clero e della selezione delle carriere ecclesiastiche.
La crisi delle vocazioni sacerdotali, accentuata soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, ha indotto alcune conferenze episcopali ad allentare il controllo sui seminari. Così il vaglio, non solo sulla preparazione religiosa e culturale, ma soprattutto sulla saldezza morale dei giovani che si preparano a diventare preti, è diventato troppo superficiale e lassista. Ma forse ancor più grave è il secondo problema, quello delle scelte per le nomine dei vescovi.
Nessuno ha il coraggio di ammetterlo pubblicamente, ma quasi tutti, con la garanzia dell’anonimato, ne convengono: negli ultimi anni, è molto scaduta la qualità del fondamento della Chiesa cattolica, il corpo episcopale, soprattutto quello italiano. A questo proposito, l’ipocrisia curiale non deve far chiudere gli occhi, ma neanche la faziosità laicista può nascondere la verità: anche il Vaticano è stato contagiato dal virus più grave della società nazionale: la mediocrazia. Come è avvenuto in politica, nelle università, nelle aziende, negli ospedali del nostro paese, anche nei palazzi della Santa Sede si è preferita la fedeltà all’intelligenza ed è prevalso il criterio dell’amicizia rispetto a quello dei meriti. Insomma, da parte dei due maggiori responsabili delle nomine vescovili negli ultimi due decenni, il Segretario di Stato, Angelo Sodano e il presidente della Cei, Camillo Ruini, la selezione della classe dirigente della Chiesa è stata tale da scoraggiare l’emergere di personalità forti, magari anche critiche, ma capaci di esprimere carisma pastorale e autorevolezza intellettuale.
E’ vero, come sostiene il filosofo e politico cattolico Rocco Buttiglione, allievo di Bobbio e Del Noce, che «la Chiesa, davanti alla crisi delle dirigenze politiche, impossibilitate all’acquisto del consenso da parte dei cittadini per la mancanza di risorse economiche da distribuire, potrebbe essere l’unica istituzione capace di ottenere quel consenso che non si compra, con un grande progetto sull’uomo». Ma i progetti, appunto, si realizzano con le capacità degli uomini chiamati ad attuarli. Ecco perché è condivisibile «il sogno» di «una nuova leva di cattolici impegnati in politica», come si è espresso il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco. Ma quel sogno resterà tale se non prevarrà il coraggio di premiare, innanzi tutto, un prete scomodo, ma colto e impegnato, di non aver paura delle critiche, se vengono da menti brillanti e dotate di personalità. Bertone e Bagnasco sono chiamati a questa prova, vedremo i risultati. A cominciare dai nuovi vescovi di Torino e di Milano.


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22/7/2010
Un governo di «larghe intese» non c’è ancora e, forse, non ci sarà mai. Ma una larga intesa c’è già: quella di tutti i cattolici in politica, di destra come di sinistra, che ritengono di non contare nulla.
Non si tratta di evangelica modestia. Anzi, di laicissima rabbia. Certo, più contenuta e magari dissimulata nel partito di Berlusconi, perchè il potere lenisce molte amarezze. Più esplicita nell’opposizione targata pd, dove gli ex popolari sono esasperati. Ma anche nell’udc, partito dichiaratamente cattolico, la sensazione dell’irrilevanza è netta.
Al di là delle beghe di partito, il rimprovero che viene rivolto al leader, Pier Luigi Bersani, è quello di non aver capito quello che ha ben compreso, in America, Obama. Nelle democrazie moderne, di questi tempi, si vince puntando sulle cosiddette «minoranze significative». E lo sono, negli Stati Uniti, come in Italia ormai, i cattolici. E’ possibile che l’attuale viaggio di Bersani negli Usa porti consiglio al leader dei democratici italiani, ma i cattolici che stanno con lui ci sperano poco. A destra, poi, la strumentalità clericale con la quale Forza Italia usa il cattolicesimo è evidente. Con un corollario di degenerazioni affaristiche che, nel «caso Balducci», gentiluomo di Sua Santità, e nel «caso Sepe», gestore discusso delle case di Propaganda fide, hanno avuto i più recenti esempi.
Ma il problema, per la Chiesa e per i cattolici italiani, non sono tanto i rischi di corruzione politico-clientelare. Anche i preti sono uomini e le tentazioni non li hanno risparmiati in passato e non li risparmieranno in futuro. Del resto, c’è una battuta in circolazione al Vaticano così bella che viene citata da tutti e così cattiva per cui nessuno se ne attribuisce la paternità: «Quando i vescovi hanno da fare col denaro o sono imbroglioni o sono imbrogliati». Il pericolo più grave è quello di perdere l’identità e l’influenza nella società italiana, se non attraverso umilianti scambi di favori, peraltro a un prezzo sempre più alto, con il governante di turno.
E’ un rischio che l’ex presidente dei vescovi italiani, il cardinale Camillo Ruini, dopo la scomparsa della dc, aveva intuito con molta lucidità e preveggenza, cercando di evitarlo attraverso il progetto della cosiddetta «inculturazione della fede». Ma i risultati del suo sforzo, alla luce della realtà in questo primo decennio del nuovo secolo, non paiono aver corrisposto alle attese.
La condizione di difficoltà dei cattolici in politica viene spiegata molto bene dall’ex segretario di Dossetti e attuale deputato pd, Pierluigi Castagnetti: «L’afasia dei cattolici e la crisi della Chiesa sono assolutamente collegate. Una volta, all’epoca della Costituente, personalità di giovani brillanti e di grande cultura, come Mortati, Moro, Dossetti alimentavano coloro che facevano politica e si sforzavano di tradurre in pratica le loro idee. Così, anche per la generazione successiva, basti pensare ad Andreatta in economia, a Elia nel diritto, ad Ardigò nella sociologia, a Scoppola nella storia. Ora, dietro di noi, manca il lievito di quel pensiero. Ruini, temendo la sorte che hanno fatto la chiesa e i cattolici francesi dopo la scomparsa del Mrp, alla fine degli anni Sessanta, ha esposto direttamente la Chiesa in politica. I risultati sono stati buoni nella trattativa con lo Stato, ma a costo di rinunciare alla visione politico-profetica».
Ecco perchè i cattolici, soprattutto quelli impegnati in politica, guardano alle mosse del vertice vaticano come il possibile punto di partenza di una loro «nuova stagione», come l’ha chiamata il successore di Ruini alla Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. A questo proposito, dopo il clamore suscitato dalla presenza del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, alla cena in casa Vespa, non è sfuggito il significato di una ampia e ambiziosa intervista di Bagnasco comparsa, qualche giorni fa, proprio sull’Osservatore romano. Il segnale di una avvenuta ricomposizione delle lacerazioni tra Vaticano e Conferenza episcopale italiana, dopo la bufera del «caso Boffo», forse non è ancora sufficiente per prevedere il raggiungimento di un compromesso sui rispettivi ruoli nel rapporto con la politica e la società del nostro paese. Ma certo ha ragione Gianfranco Brunelli, sul Regno, quando osserva che «per uscire da una subalternità pacificata della Chiesa verso ogni governo» è necessario un nuovo equilibrio tra Segreteria di Stato e Cei, tale da poter inaugurare davvero «una nuova stagione dell’autonomia dei laici e del laicato».
Tradotta in concreto, la prospettiva a cui tutti guardano, con speranza o con scetticismo, è l’eventualità della costituzione di un «terzo polo» della politica italiana, dichiaratamente cattolico. Una ipotesi certamente suggestiva, ma di dubbia praticabilità, anche perchè dovrebbe coagulare personalità carismatiche e in grado di ottenere un consistente tributo elettorale da parte degli italiani. I vescovi, infatti, sono divisi, perplessi e aspettano anche dalla loro nuova guida, il cardinale Bagnasco, un segnale che autorizzi, nelle parrocchie delle loro diocesi, una mobilitazione in favore di tale tentativo.
Visto che il grande partito cattolico, la dc, non esiste più e che il fantomatico «terzo polo» chissà se mai nascerà, dove si dovrebbe allevare la nuova classe dirigente cattolica pronta a impegnarsi in politica, se non all’ombra delle sacrestie? Del resto, anche i movimenti con adepti più numerosi, dall’Azione cattolica a Cl, ai focolarini non sembrano vivere la stagione culturale più brillante ed espressiva di grandi personalità. E le comunità più piccole, da quella di Sant’Egidio a quella di Bose, svolgono compiti importanti, ma in ambiti troppo ristretti per un compito così impegnativo.
E’ significativo di questa situazione, del resto, come negli ultimi tempi sia stato proprio l’ateo-devoto Giuliano Ferrara, sul suo Foglio, a far emergere un pensiero cattolico alternativo, discutibile ma interessante, rispetto a quello tradizionale, di ispirazione progressista, che ha nella bolognese rivista Il Regno forse la sua roccaforte più importante. I cattolici dovranno guardare ai laici, più o meno devoti, per alzare la testa e muoversi alla riscossa?
I paradossi restano, naturalmente, solo paradossi. Lo ricorda, con paragoni biblici, il filosofo e politico Rocco Buttiglione: «I cattolici devono smetterla di pensare a un nuovo Ciro il Grande che li libererà, come fece il re persiano con gli ebrei. Ci vuole un eroe che venga dalle nostre file, come Giuda Maccabeo, che si ribellò contro l’oppressione siriana». Ma Berlusconi, di Ciro il Grande ha sicuramente le ambizioni, forse non le sue virtù. E di eroi cattolici, non se ne vedono comparire all’orizzonte.