Sergio Luciano, ItaliaOggi 22/7/2010, 22 luglio 2010
IL CDA FIAT ORMAI FA ORARI AMERICANI
Da una parte, il Michigan, divenuto ormai metaforica «piattaforma globale» delle attività del gruppo Fiat nel mondo; dall’altra, la trincea paleo-sindacale di Termini Imerese. In questa iperbolica, siderale distanza, geografica e culturale, sta tutto il segno della vera, definitiva riconversione Fiat da gruppo italiano multinazionale e gruppo globale con una forte presenza in Italia, finché serve e finché dura, ovvero finché i sindacati non accetteranno (tutti, anche la Fiom) di essere trattati come quelli di tutti gli altri paesi del mondo. che il gruppo Fiat sia globale e del globo sposi la filosofia «full-time» l’hanno dovuto imparare a proprie spese anche i consiglieri d’amministrazione rimasti italiani, che si sono sciroppati la riunione di consiglio in una videoconferenza notturna iniziata alle 24 ora italiana di martedì 20 luglio (le 18 nel Michigan) e finita dopo quasi tre ore: come dire, un «turno di notte» anche per i colletti più bianchi del gruppo, qualcosa di simile (ma molto meglio pagato) a quello che fanno da sempre gli operai della fabbrica polacca di Tychy e che gli irriducibili della Fiom a Pomigliano non vorrebbero fare. Con questo «notturno dall’Italia» si è avuto il suggello della giornata cruciale vissuta dalla Fiat e dal suo capo Sergio Marchionne, con la piena «benedizione» del presidente John Elkann e di tutta la famiglia-azionista, e col pur debole boicottaggio della Fiom-Cgil: la quale proprio ieri, procedendo indeflettibilmente sulla sua linea del «no» a oltranza, ha indetto uno sciopero a Termini Imerese, sciopero surreale se si pensa che per Marchionne quella fabbrica, pur nel quadro del piano di «tentabile rilancio» della produzione in Italia, battezzato appunto «Fabbrica Italia», è comunque destinata a chiudere entro il 2012. Ma tant’è. «Continuiamo a lavorare con i sindacati per arrivare ad una conclusione del progetto Fabbrica Italia», ha detto lui, il capo-azienda, interpellato al riguardo, sottolineando che l’azienda ha «deciso di andare avanti lavorando con le persone che hanno supportato il progetto» e che sulla vicenda di Pomigliano si è intrecciato un dibattito, anche politico, «con polemiche e toni completamente estranei» al Lingotto. Fin qui i risvolti sindacali delle novità decise ieri l’altro tra il Michigan e il Piemonte: e se ne conoscono già gli estremi finanziari. La Fiat ha dato il via allo scorporo delle attività automobilistiche da una parte e delle altre attività industriali dall’altra, scorporo che i mercati attendevano da anni, convinti che potrà sprigionare valore anche borsistico per entrambi i «ceppi» che si scinderanno, restando ciascuno con l’identico azionariato dell’altro. Non a caso il titolo Fiat in Piazza Affari è volato su, ieri, del 6,49% a quota 9,64 euro. Marchionne ha parlato di un «trimestre eccezionale» per il gruppo, che ha superato quasi tutte le attese, confermando anche buone previsioni per il secondo semestre e definendo «decisamente sottostimate» le stime degli analisti per il 2010, che infatti, già nel secondo trimestre ha segnato un utile netto consolidato di 113 milioni contro una perdita di 179 nello stesso periodo del 2009 e un +12,5% dei ricavi a quota 14,8 miliardi.
Ma tutto questo sfocia verso uno scenario delicato e decisivo, che andrà delineandosi di qui ai prossimi sei mesi: come sarà l’azionariato della futura Fiat Auto, dopo la sua ovvia e peraltro già annunciata fusione con la Chrysler? In passato, gli Agnelli avevano più volte ripetuto che avrebbero preferito diluirsi al di sotto del 30% del capitale (soglia che rappresenta un «blocco» preventivo contro qualunque Opa) in un’azienda più grande e risanata, piuttosto che mantenere la Fiat piccola e cagionevole per restarvi oltre il 30%. Ma la nuova verità è che se la «cura Marchionne» riuscirà anche in Chrysler com’è finora riuscita in Fiat, la quota detenuta da Fiat Auto in Chrysler salirà gratis al 50% e il valore del 31% di Fiat Auto sommato con questa proprietà del 50% che appunto Fiat Auto detiene in Chrysler potrebbe tenere la Exor, holding di famiglia degli Agnelli, ben sopra il 20% del capitale del colosso scaturito dalla fusione: c’è chi parla anzi della possibilità concreta che, nel gioco dei concambi, la quota definitiva di Exor si attesti a un passo dal 30%, e quindi in zona di assoluta sicurezza. Altro che diluirsi! Va ricordato, infatti, che oggi la Fiat Group Automobiles, destinato a scindersi da Fiat Spa, contiene Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri): tutte attività in netta ripresa e buona redditività. Di valore, insomma: mentre, cosa valevano i «cocci» della Chrysler prima che vi partisse la «cura-Marchionne»?