Rita Sala, Il Messaggero 21/7/2010, 21 luglio 2010
VALERI 90
MILANESE di Milano, Franca Maria Norsa, in arte Franca Valeri (un omaggio a Paul Valery: la signora se lo può permettere), compie 90 anni il 31 luglio. Ieri sera era in scena a Roma, nei Giardini della Filarmonica (Soldi, soldi, soldi, ovvero brani da Carlo Emilio Gadda e Alberto Arbasino, con l’aggiunta di un paio di Valeri doc). Ma già prepara, nella bella quiete della casa di Trevignano, il suo nuovo spettacolo, di cui è autrice e interprete, Non tutto è risolto, in cartellone al Valle per il prossimo gennaio.
Ha sulle spalle quasi sette decenni di lavoro, fra palcoscenico, set, studi tv, scrivania. Dalla creazione di un personaggio all’interpretazione dello stesso (la milanese ”signorina snob” e la romanissima signora Cecioni fanno parte, a buon diritto, del costume italiano del secondo Novecento), dalla scrittura di una commedia a una regia lirica, da un varietà alle mille altre occupazioni che un’artista come lei, anomala, ironica, dissacrante, ha fin qui inanellato. Il suo spirito, la sua intelligenza non avvertono il tempo. La Valeri ha l’ottimismo di una ragazza e l’umorismo dei Gobbi, mitica compagnia nella quale esordì nel 1942. Sprigiona ancora la verve di quel cabaret di classe capace di suscitare la risata senza mai cadere nella volgarità.
Il novantesimo compleanno?
«Non ci penso più di tanto».
Quante Italie ha ”massacrato”, come Snob e come Cecioni?
«Ne avevo già viste prima, e di sgradevoli. Poi mi sono abbandonata meglio dire rassegnata? all’idea dell’alternanza, per arrivare a una certezza: l’Italia è un Paese difficile».
Come definirebbe l’Italia dei suoi due celebri personaggi femminili, la settentrionale con il naso troppo sensibile e la popolana in ciabatte sempre al telefono?«Era un Paese in movimento. Avevamo addosso un’euforia incredibile. Eravamo liberi: di pensare, di creare, di realizzare».
E oggi?
«Non è la mia Italia, diciamo così. Allora la folla era quella delle idee, oggi la folla è di gente che gira su sé stessa senza costrutto. Allora le idee erano davvero tante, oggi sono poche, pochissime. Nel mondo del teatro non c’era ricchezza, però un’ebollizione incredibile. Cercavamo il Nuovo e volevamo indebolire il Vecchio, prenderlo a bordate. Ma con il martello delle idee».
Pure considerazioni, valutazioni o rimpianti?
«Io sono un’ottimista sistematica. Non riesco a convincermi che non esistano più giovani capaci di sperare. Ci saranno, mi dico, da qualche parte. Impossibile che il mondo ne sia stato completamente defraudato... Non rimpiango, no. Mi meraviglio. Non riesco a credere».
Conosce bene i giovani di oggi?
«Sono molto amata, dai giovani. Li amo a mia volta. Vengono a trovarmi, mi raccontano, si confidano. Li trovo delusi in partenza. Senza coraggio. E non sanno cosa vogliono».
Ci sarà un nuovo Rinascimento?
«Bè, uno intero non credo. Magari un mezzo».
Moglie di Socrate; mamma stravagante con Urbano Barberini; sorella terribile assieme alla Guarnieri; vecchia signora che vive in simbiosi con la propria stufa nel lavoro che sta preparando: il teatro è ancora la sua casa. Che pensa, invece, della televisione e del cinema?
«La televisione ha perso il cervello. Lei provi ad avere qualche ora a disposizione, una sera, e cerchi di trovare qualcosa da vedere in tv. Catastrofe. Niente di niente. Se poi le sere libere diventano un po’ di più, magari riesce ad affezionarsi a qualche personaggio di una fiction. Però finisce lì».
E il genere comico? La tv, a suo tempo, le ha dato immensa popolarità proprio in questo settore.
«Per carità. Dove stanno i copioni? Il Comico deve essere scritto, non improvvisato. La sua efficacia viene da un buon testo. Si può aggiungere qualcosa sul momento, ma giusto qualcosa. In tv come al cinema. Ricordo, ad esempio, la volta che mi venne spontaneo il famoso ”cretinetti”. Era il set del Vedovo, con Risi, a lui piacque talmente quel termine che me lo fece dire e ridire lungo tutto il film. Quando serve, lo dico ancora».
In sintesi?
«In sintesi non ci sono più programmi, film o spettacoli che siano o diventino fatti culturali. Abbiamo mollato gli ormeggi».
Che fare?
«La delusione e il disagio li ho visti anche tanto tempo fa, prima della guerra. Mio padre, certi miei professori, di fronte a quell’Italia erano disperati. Poi, appunto, c’è stata la guerra. Lungi da noi il pericolo di una guerra, anche se in giro, nel mondo, ce ne sono tante. Alla fine noi, in Europa, non siamo nemmeno i più sfortunati. Però... Ripeto, sono un’inguaribile ottimista. Qualcosa accadrà».