LUIGI GRASSIA, La Stampa 21/7/2010, pagina 26, 21 luglio 2010
ESTINZIONE TOTALE O EVOLUZIONE? L’ENIGMA DEI MOSTRI DI BURGESS
Se vi appassiona la scienza può darsi che abbiate letto, magari tanto tempo fa, uno dei classici del paleontologo Stephen Jay Gould, «La vita meravigliosa», dedicato ai famosi fossili di Burgess (in Canada), cioè ai resti di un’incredibile varietà di animali vissuti 505 milioni di anni fa (periodo Cambriano), così arcaici da non avere quasi somiglianza alcuna con le forme viventi attuali. Quando li hanno scoperti e analizzati, gli studiosi li hanno interpretati in massima parte come un proliferare di esperimenti tentati e falliti dalla Natura, spazzati via (quasi tutti) dalla selezione naturale che li ha puniti per la loro bizzarra inadattabilità. Siccome il libro è vecchiotto, roba di 21 anni fa (per collocarlo nel tempo, risale alla caduta del Muro di Berlino), e che da allora non si erano più sentite novità, l’aspettativa generale era che le conoscenze si fossero sedimentate. Invece una ricerca pubblicata dalla rivista «Nature» (a firma di Peter Van Roy della Yale University) rimette tutto in discussione e apre prospettive impreviste sul mistero del destino finale a cui sono andate incontro queste creature; persino riguardo alla più folle di tutte, quella che porta l’allucinogeno nome di «Hallucigenia».
Per cominciare facciamo due conti. La vita sulla Terra esiste da circa 3 miliardi di anni, ma per la maggior parte del tempo è stata rigorosamente acquatica e unicellulare, o al massimo ha messo in mostra grumi di cellule poco differenziate. Se ci sistemiamo nelle coordinate di 505 milioni di anni fa, troviamo esseri viventi che continuavano ad abitare esclusivamente gli oceani. Non ce n’era nessuno che vagasse sulle terre emerse, neanche uno straccio di anfibio, e tantomeno dinosauri: dovevano passare ancora 260 milioni di anni prima che se ne vedesse uno. Però, mezzo miliardo di anni fa, molti animali avevano già fatto il grande salto verso la multicellularità organizzata. Con successo? Mica tanto, a guardare la quasi totalità dei fossili di Burgess.
La vita in quel periodo tentava tutte le strade, anche le più strane. Della maggior parte dei fossili del sito canadese non solo non sappiamo indovinare il «phylum» evolutivo, ma è un mistero persino come stessero girati rispetto all’alto e al basso, e addirittura quale fosse la testa e quale la coda, quale l’orifizio di entrata degli alimenti e quale l’uscita delle deiezioni. Hallucigenia, da questo punto di vista, è il peggio del peggio: il calco fossile presenta una serie di escrescenze messe a casaccio (zampe? Aculei? Organi di senso? E di quali sensi?) e ovviamente non sappiamo quante ne manchino. Sembra un quadro astratto. Un altro animale dall’architettura corporea che pare fatta apposta per non funzionare è Opabinia, con i suoi 5 occhi, una serie di lobi, una coda a forma di ventilatore e una proboscide con diverse mascelle. Nectocaris era un insieme incoerente di pinne e tentacoli. Ma non è che questi siano casi estremi, la maggior parte dei 65 mila fossili scovati a Burgess sono più o meno fedeli allo stile della casa.
Come mai questo specifico sito canadese ha restituito così tante testimonianze di un periodo remoto che risulta, per altro verso, piuttosto povero di reperti? Una rara combinazione di circostanze geologiche ha permesso che negli strati di Burgess venissero conservati non solo i calchi delle parti dure degli animali (conchiglie, corazze, ossa eccetera), ma anche di quelle molli, che ci offrono un profluvio di informazioni supplementari. Tale ricchezza di dettagli ha permesso di identificare 65 mila animali, non solo singole specie, ma interi ordini zoologici estinti. O così abbiamo creduto finora. E invece una serie di scoperte ha messo in crisi tale interpretazione.
In particolare, sull’Atlante marocchino è stato trovato un altro deposito di reperti geologicamente successivo a quello di Burgess, quasi altrettanto ricco e con la chiara presenza di parecchie specie animali che sembrano discendere da quelle di Burgess. Per evolversi in quale direzione? L’analisi individuale dei singoli animali ha portato a ricostruzioni minuziose e a ipotesi alternative, nelle quali persino l’assurda Hallucigenia troverebbe una collocazione evolutiva: potrebbe trattarsi dell’antenato comune dei moderni artropodi, dagli insetti agli scorpioni e dai millepiedi ai granchi.
Svelato una volta per tutte il mistero dei fossili di Burgess, allora? Non vicoli ciechi dell’evoluzione, ma anelli di congiunzione fra le mucillaggini primigenie e gli esseri viventi attuali? C’è da giurare che l’ultima parola non è stata detta e altre scoperte e reinterpretazioni potrebbero stravolgere di nuovo tutto.
Comunque già Gould sapeva che tra i fossili di Burgess ce ne sono alcuni che hanno lasciato una discendenza gloriosa e tra questi spicca «Pikaia», un esserino di 5 centimetri, il cui corpo era sostenuto da una specie di spina dorsale ancestrale. Antenato dei «cordati», cioè dei pesci, dei mammiferi eccetera: incluso l’uomo. Il nostro bis-bis-bisavolo che nuotava negli oceani di 505 milioni di anni fa.