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 2010  luglio 21 Mercoledì calendario

BRUXELLES APRE AD ATEI E MASSONI

L’articolo 17 del Trattato di Lisbona dispone che l’Ue intrattenga un dialogo «aperto, trasparente e regolare» con le chiese e le comunità religiose, di pensiero e filosofiche. Quando i giuristi lo scrissero, si scatenarono spinose polemiche fra chi riteneva che «le radici ebraico cristiane» dell’Unione dovessero costruire le fondamenta della carta costituzionale e chi affermava fosse più opportuno mantenere l’apertura laica a ogni credo. L’hanno spuntata i secondi, che hanno pure istituito un vertice annuale fra i responsabili delle principali fedi del continente, passo che implicitamente riconosce una per molti versi inedita «par condicio».
L’insolito vertice si è tenuto lunedì a Bruxelles. C’erano 24 fra vescovi, rabbini e muftì, un hindu e un sikh. L’atmosfera dei colloqui è stata serena, si è riaffermata la «priorità del dialogo» e si è discusso degli «84 milioni di europei che vivono al limite dell’esclusione sociale».
I problemi sono cominciati appena il gran conclave si è sciolto. E’ successo che il Belgio, presidente di turno Ue e Paese che per Costituzione sostiene le organizzazioni laiche e umaniste alla stregua di quelle cattoliche, ha persuaso Bruxelles a convocare per il 15 ottobre un incontro speculare, questa volta con gli atei e allargato ad alcuni rami della massoneria.
La cosa ha provocato qualche irritazione. I religiosi non sono convinti che gli atei possano essere oggetto di un summit analogo al loro. Gli esponenti umanisti non gradiscono l’equiparazione ai massoni. Questi ultimi invece sono contenti di essere stati invitati, anche perché fonti ufficiali della Commissione precisano che i «muratori» sono «una comunità di coscienza interconnessa attraverso l’Europa» e una «forma di organizzazione umanista».
Come se non bastasse, i vescovi non sono stati entusiasti di trovarsi con hindu e sikh. Il presidente stabile dell’Ue, il belga Van Rompuy, non li ha tranquillizzati affermando che nel 2011 inviterà anche un buddista. E’ benzina sul fuoco che dimostra la difficoltà che l’Europa incontra nel cambiare pelle, a diventare qualcosa più di un mercato. La prova che, per crescere, non basta un Trattato nuovo di zecca.