Michele Brambilla, La Stampa 21/7/2010, pagina 1, 21 luglio 2010
IL CAVALIERE GIOCA IN DIFESA
Certo che è difficile comprendere le mosse di Berlusconi in un momento in cui lo attaccano da tutte le parti, in cui anche gli alleati gli regalano una preoccupazione al giorno.
Ebbene, lui va a prendersi una contestazione perfino là dove è stato più amato, e cioè dal popolo milanista. Un popolo che gli dovrebbe gratitudine eterna e che ieri lo ha accolto rinfacciandogli di aver fatto ormai del Milan la seconda squadra di Milano, o la prima di Carnago, il paesino del Varesotto dove sorge Milanello.
Berlusconi era annunciato per l’ora di pranzo. Avrebbe dovuto sedersi a tavola con la squadra. Invece è arrivato alle due e venti, come si suol dire, già mangiato. I tifosi, che erano lì da ore, sotto un sole bestiale, l’hanno ricevuto con tutti i disonori. Cantavano «un presidente / vogliamo un presidente» per sottolineare il fatto che lui presidente non lo è più da un pezzo. «Della squadra si disinteressa - dicevano -. che ormai non ha più bisogno del calcio per farsi popolarità, ha usato il Milan come serbatoio elettorale». Più che l’annunciata austerity in fatto di campagna acquisti (in tempo di crisi è comprensibile e pure accettabile) i fans milanisti gli contestano appunto il disinteresse, la sparizione. «Invisibile, invisibile», gli cantavano. Un paradosso per un uomo che sulla visibilità ha costruito tanta parte della propria fortuna.
Chi glielo abbia fatto fare, al premier, di venire a fare i conti pure con questa rogna, con tutte quelle che ha già, lo sanno solo lui e l’Onnipotente, che secondo don Verzè è il suo ispiratore. Erano tre anni che Berlusconi non veniva al raduno del Milan. Una quarta defezione consecutiva sarebbe passata inosservata, come pura routine. Seguendo la logica berlusconiana, il presidente avrebbe dovuto riapparire in concomitanza di una vittoria, o di un grande acquisto. Invece ieri gli acquisti da presentare erano un allenatore esonerato dal Cagliari, un portiere di riserva, un trentaquattrenne che viene dal Chievo e un greco dal nome impronunciabile. Con tutto il rispetto per costoro, c’è da capire l’umor nero dei tifosi.
Probabilmente Silvio Berlusconi di questi tempi è un uomo che, sentendosi accerchiato, avverte la necessità di esternare la propria difesa. Al suo nuovo allenatore, tenuto in silenzio per tutta la conferenza stampa, ha chiesto un gioco d’attacco. Ma lui sembra sempre sulla difensiva. Come l’altra sera sul tetto del Duomo, ha parlato soprattutto per giustificarsi. Ha cominciato affrontando di petto la contestazione dei tifosi dicendo «sono il presidente che ha vinto di più nella storia del calcio, il secondo dopo di me è un tale Santiago Bernabeu che in campo internazionale ha vinto meno della metà di me eppure a lui a Madrid hanno intitolato lo stadio». Poi ha fatto i conti in tasca a se stesso e a Massimo Moratti per far capire che il calcio costa troppo e che lui ha già varcato il confine del buon senso, e che non si può più far prevalere la passione sulla ragione.
Ma è la politica (potrebbe essere altro?) il suo chiodo fisso, e così come lunedì sera ha parlato di politica anche a un concerto di Aznavour, ieri ne ha parlato alla presentazione del nuovo Milan. Lo ha fatto subito, prendendo spunto dalla presenza del ministro-tifoso Maroni: ha ricordato i successi del governo nella lotta contro la mafia, un argomento spesso ripetuto in questi giorni, e che è servito per introdurre un altro tema ricorrente, quello della responsabilità dei media e del mondo della cultura. «La mafia italiana è la settima al mondo per pericolosità e volume di affari ma la prima per popolarità: ecco perché dico che tante fiction, tanti film e tanti libri non fanno bene all’immagine del nostro Paese», ha detto. E ancora sui media: «Ho più del 60 per cento di gradimento, ma i giornali parlano male di me». Non ha risparmiato il consueto pensiero alla magistratura: «Se non vado allo stadio è per problemi di sicurezza. Hanno tentato di uccidermi, e poi abbiamo visto come si è comportata la nostra giustizia: al di là di ogni commento».
Così non è stato difficile ai giornalisti non sportivi lì presenti prendere coraggio per qualche domanda di politica, ed è venuta la dichiarazione di resa sulla questione-intercettazioni: «Finirà che passerà una legge che continuerà a consentire di fare quello che si fa adesso. La nostra architettura costituzionale non permette di ammodernare il Paese. Se una legge non è gradita da certi signori della magistratura di sinistra, la fanno bocciare dalla Corte Costituzionale che è composta tutta da magistrati di sinistra. Il potere non è più nelle mani dei cittadini che votano. una grave patologia».
Ha rassicurato sul rapporto con la Lega: «Collaboro con loro da molti anni. Ogni tanto qualche leghista fa qualche dichiarazione da curva Sud (’Nord!” lo ha corretto Maroni, ndr) per compiacere al suo popolo, ma poi le decisioni della Lega sono sempre di buon senso». Ha detto che «siamo fuori dalla crisi», che «siamo il Paese che sta meglio in Europa quanto a disoccupazione», che era comunque di buon umore perché «a Milanello mi diverto, a Roma mi dispiaccio», quasi a confermare le indiscrezioni di chi, nel suo entourage, lo descrive come veramente stufo della politica. Quindi se n’è andato in elicottero, com’era arrivato ventisei anni fa in un giorno di tripudio e di speranze, così diverso dalla mesta atmosfera di ieri.