varie, 21 luglio 2010
SCHEDONE SULL’ACQUA
Secondo il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite «Il diritto umano all’acqua» «è il diritto di tutti a disporre di acqua sufficiente, salubre, accettabile, accessibile per uso personale e domestico»
• «L’acqua è un dono di Dio, tuttavia Dio ha donato l’acqua, ma non i tubi e i depuratori: a quelli dobbiamo pensarci da soli» (l’economista Antonio Massarutto)
• In Italia l’agricoltura usa il 60% dell’acqua, il 30% dei consumi è residenziale. Il consumo procapite ammonta a 213 litri al giorno, 200 metri cubi per famiglia all’anno
• Il 37% dell’acqua potabile viene persa nel tragitto dalla fonte al rubinetto (in Germania è il 6%) per un danno economico annuo stimato in due miliardi e mezzo di euro. Per questo, pur restando l’acqua un bene pubblico, il governo ha varato una legge che ne affida la gestione ai privati. Il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi: «Noi dobbiamo garantire i controlli sul prezzo e sulla qualità attraverso la costituzione di un’Authority del tutto svincolata dalla politica»
• La legge Ronchi (133 del 2008) ha incontrato da subito una forte opposizione nell’opinione pubblica. Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente: « assurdo obbligare a privatizzare anche quando la gestione pubblica ha funzionato. E così come siamo messi i privati si prenderebbero solo le cose che vanno già bene, i gioielli di famiglia, lasciando irrisolte situazioni gravi come Agrigento dove bisogna ancora portare l’acqua nelle case degli abitanti»
• I nemici della legge Ronchi paventano il proliferare di casi come quello di Aprilia, dove Acqualatina, la cui proprietà è al 49 per cento della multinazionale francese Veolia, ha aumentato le tariffe anche del 300 per cento (le famiglie si difendono con un’autoriduzione di massa)
• Contro la ”privatizzazione” il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha promosso un referendum cui hanno aderito circa trecento sigle dell’associazionismo laico, cattolico e ambientalista, più decine di comitati territoriali. Il movimento referendario contesta anzitutto la «necessarietà» comunitaria della normativa italiana, essendo il rimando al livello europeo del tutto generico: normative e sentenze comunitarie, solitamente richiamate con precisioni nelle leggi nazionali che ne danno attuazione, qui mancano del tutto
• Dal 25 aprile al 1° luglio sono state raccolte 1.401.492 firme, mettendo in pericolo il record del referendum sul divorzio (1974) che ne vide autenticate 1.370.000. Il 19 luglio le firme sono state affidate alla Suprema corte di Cassazione, affinché le controlli e ne stabilisca la validità. Poiché per indire il referendum bastano 500.000 firme, è certo che la Cassazione darà l’ok. Entro febbraio la Corte Costituzionale dovrà dire se i quesiti sono ammissibili, l’eventuale consultazione elettorale si terrebbe nella primavera del 2011
• I quesiti su cui il Forum invita gli italiani ad esprimersi, redatti dai costituzionalisti Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Alberto Lucarelli, Gaetano Azzariti, Luca Nivarra, sono tre. Paolo Carsetti del Comitato promotore: «Sintetizzando i 3 quesiti si potrebbe dire ”fuori l’acqua dal mercato, fuori i profitti dall’acqua”»
• Due quesiti riguardano la legge 152 del 2006, voluta dal centrosinistra, che affidava la gestione dell’acqua a soggetti privati (anche se a capitale pubblico di maggioranza): il secondo (articolo 150 del decreto legislativo 152/2006) vuole aprire la strada alla ripubblicizzazione, il terzo (abrogazione di una parte dell’articolo 154) mira ad eliminare la possibilità di fare profitti su un bene comune; il primo quesito chiede l’abolizione della legge Ronchi che perfeziona e accelera il carattere privatistico
• Il combinato disposto dei tre quesiti comporterebbe, per l’affidamento del servizio idrico integrato, la possibilità del ricorso a enti di diritto pubblico (azienda speciale, azienda speciale consortile, consorzio fra i Comuni) o a forme societarie che qualificherebbero il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente ”privo di rilevanza economica”, di interesse generale e scevro da profitti nella sua erogazione
• Sull’esito del referendum ci sono molti dubbi. Ermete Realacci, responsabile Green economy del Pd: «La difficoltà è legata allo strumento in sé. vecchio ed elaborato in un periodo in cui l’affluenza alle urne era molto più alta. Negli ultimi 15 anni e negli ultimi 24 referendum non è stato raggiunto il quorum». Per evitare questo problema, il leader dei verdi Angelo Bonelli ha chiesto che si voti insieme alle amministrative
• Mentre l’Italia dei Valori ha raccolto le firme per un analogo referendum con l’obiettivo di eliminare il riferimento all’acqua contenuto sia nella manovra triennale del 2008 che nel cosiddetto decreto Ronchi (insieme ad altri due che riguardano il passaggio al nucleare e il legittimo impedimento), il Partito Democratico non ha abbracciato la campagna referendaria. «Non si raggiungerà mai il quorum», era stata la prima stizzita reazione. Al governo nelle regioni rosse, in testa Toscana e ed Emilia Romagna, il principale partito dell’opposizione è favorevole al modello di gestione pubblico-privato. Il segretario Pierluigi Bersani ha dichiarato «simpatia» verso i referendari ma ha firmato solo per il primo quesito (legge Ronchi) mettendo al lavoro un gruppo coordinato da Stella Bianchi per una proposta di legge per una gestione del servizio idrico mista pubblico-privato. Dario Franceschini, leader della minoranza del partito, ha firmato per tutti e tre i referendum
• All’interno del Pd è nata una fronda, riunita sotto la siglia ”AcquaLiberAtutti”, che raccoglie i più decisi oppositori a un referendum che cancellerebbe «in un colpo solo 20 anni di best practices nei servizi idrici della regione Emilia Romagna» e «riporterebbe l’Italia al 1913 e al sistema giolittiano». Sul Sole-24 Ore del 7 luglio è stata pubblicata una lettera di ”AcquaLiberAtutti” contro la ”ripublicizzazione” dell’acqua: «[...] Le migliori aziende del patrimonio pubblico nazionale, sarebbero [...] costrette a dismettere gli ”asset” dell’idrico, con un consistente depauperamento della loro offerta e un rischio per i risparmiatori che hanno acquistato i loro titoli azionari ed obbligazionari. I costi del servizio idrico non sarebbero più coperti da una tariffa ma dovrebbero essere scaricati sulla fiscalità generale, le cui entrate andrebbero necessariamente implementate con una ”tassa per l’acqua” o una ”addizionale idrica”, che né i contribuenti, né le imprese possono permettersi. La capacità di gestione e di intervento sulle reti sarebbe minimizzata, a causa dell’ingresso delle voci di spesa all’interno del Patto di stabilità ed i comuni non riuscirebbero ben presto ad assicurare un servizio efficiente in tutti i suoi punti. [...] Noi crediamo che il Servizio Idrico Integrato abbia bisogno di liberalizzazione e concorrenza, con le tariffe decise dalla parte pubblica, autorità di controllo, incentivi all’azionariato popolare per le aziende affidatarie. Non di una nuova statalizzazione obbligatoria, per altro utilizzata solo in altri due paesi del mondo: Iran e Corea del Nord, dove la parola democrazia non è di casa [...]»
• Riguardo all’idea che la vittoria del sì corrisponda a una tassa per l’acqua, i referendari ribattono che gli italiani la pagano già: si chiama «remunerazione del capitale investito», è pari al 7 per cento degli investimenti e nella sola provincia di Roma vale settantacinque milioni di euro all’anno. Il sì al terzo quesito l’abolirebbe
• «Il bene comune può essere il peggior nemico del buon senso», dicono quelli che non hanno in simpatia il referendum. L’economista Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni: «Chi infatti abbia un po’ di buon senso non può difendere uno status quo che ci vede, sulla media nazionale, prelevare 165 litri d’acqua per erogarne 100. I dati Istat sulla dispersione idrica fotografano da anni una situazione preoccupante, soprattutto in alcune regioni del Sud, dove per distribuire 100 litri di acqua debbono esserne addirittura captati altri 100. Perché l’acqua sia un ”diritto fondamentale”, ovvero perché l’accesso alle risorse idriche sia effettivamente a disposizione di tutti, è davvero indispensabile che essa venga sprecata così?»
• I nemici della privatizzazione portano ad esempio il caso dell’Acea, in passato esempio di gestore pubblico virtuoso e capace: creata nel 1907 dal sindaco Nathan, realizzò il sistema di acquedotti che ancora oggi garantisce alla capitale la migliore acqua del paese. Fino al 1997 è rimasta un’azienda speciale, con una vocazione esclusivamente pubblica, poi l’allora sindaco Francesco Rutelli la privatizzò
• Per non correre rischi col referendum, le multinazionali e i grandi gruppi interessati alla gestione degli acquedotti potrebbero scalare prima del voto le società di gestione dell’acqua. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha già annunciato in consiglio comunale l’intenzione di cedere una prima tranche di azioni Acea: il gruppo Caltagirone è salito negli ultimi mesi dal 7 al 13 per cento delle azioni, la francese Suez, secondo socio privato, ha già superato la soglia del 10%
• I pacchetti azionari delle prime cinque multi-utilities italiane che, per effetto del decreto Ronchi, dovrebbero essere messi sul mercato e ceduti ai privati da parte dei comuni azionisti, valgono nel complesso oltre due miliardi di euro che farebbero comodo alle finanze locali di Roma, Torino, Milano, Genova, Bologna. La prima scadenza - fissata al 30 giugno del 2013 - impone a tutti gli enti pubblici di scendere sotto il 40% del capitale delle società che gestiscono servizi pubblici essenziali
• Che vincano i fautori del pubblico o quelli del privato, poiché concorrenza e investimenti possono svilupparsi esclusivamente se vi è un’adeguata regolazione tariffaria, ci sarà bisogno di una forte e indipendente autorità nazionale che prenda il posto del Comitato di vigilanza istituito nel 1994 e della Commissione nazionale che ne ha rilevato le funzioni nel 2009, fino ad oggi sperimentate con scarso successo. Due le soluzioni possibili: l’affidamento delle funzioni di regolazione dei servizi idrici all’Autorità dell’energia, oppure l’istituzione di un’apposita Autorità per i servizi idrici (i cui costi potrebbero essere coperti da un obbligo di contribuzione a carico dei gestori).