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 2010  luglio 21 Mercoledì calendario

FESTIVAL E INDOTTO PER VOCE ARANCIO


In Italia ci sono 1.200 festival culturali (le mostre d’arte sono 1.600). I visitatori sono 9 milioni, di cui il 59,9% donne. La visitatrice tipo ha età compresa tra 35 e 54 anni, sempre diplomata, spesso anche laureata.

In realtà i festival sarebbero molti di più, calcolando non solo quelli di carattere culturale. Guido Guerzoni, docente di Economia delle istituzioni culturali alla Bocconi di Milano, autore del libro Effettofestival (Fondazione Eventi. Fondazione Carispe, 2008): «In ordine sparso, in un pomeriggio domenicale, ho censito i festival del/della/dello: manovale, cavallo, cane meticcio e di razza, teologia, laicità, sole, luna, vento, letteratura resistente, spasimo, nuova letteratura rosa, giallo ligure, tango sul mare, danza del ventre, flamenco, nuova canzone calabrese per ragazzi, mandolino, zampogna, sassofono, groove, fitness, cammino, pallamano, vela latina, mare, montagna, silenzio, gusto corto, brodetto, stoccafisso, zucchino d’oro, peperoncino, cibo equo e solidale, crescita, decrescita felice, bonsai, mandorlo in fiore, sudoku, fundraising, sino all’ultimo ”Festival delle città d’impresa”».

«Per l’Italia ”festival” è parola relativamente recente. In origine è voce inglese, con un’etimologia a catena. In Inghilterra appare nel XIV secolo (con il significato di ”festa popolare all’aperto”), ma è ricalcata sul francese antico ”festivàl”, che viene dal latino medioevale ”festivale(m)”, il quale risale al latino classico ”festivus”, cioè ”piacevole, festivo”. Nell’uso il termine entra in Italia molto tardi. Non la registrano i vocabolari dell’Ottocento. L’attesta nel 1900 Petrocchi in due versioni: ”Féstival” all’inglese e ”Festivàl” alla francese; significa comunque: ”una festa musicale all’aperto in una piazza o locale fantastico alzato appositamente”. La ribadisce nel 1905 Panzini, che propone, per evitare un termine straniero, l’uso di una versione italiana curiosa: ”Musicone”» (Giorgio De Rienzo, Corriere della Sera).

Barbara Maussier, autrice del libro Festival management e destinazione turistica (Hoepli, 2010): «I dati statistici sui festival, che si svolgono ogni anno in Italia, dimostrano che il fenomeno è in crescita. Secondo l’Osservatorio del Festival of Festival (FOF), il 65% degli eventi attira tra i 5 e i 20mila spettatori, il 25% tra i 20 e i 50mila e il 10% ha più di 50mila spettatori. Sempre secondo questa ricerca, la Toscana e l’Emilia Romagna sono le regioni con più festival, seguono appaiate Lazio e Lombardia. L’investimento nei festival è di circa 400 milioni di euro e genera un giro d’affari stimato in 1,5 miliardi di euro. Le manifestazioni gestite con particolare attenzione agli impatti economici hanno un rapporto di 1 a 7: se si investono 1.000 euro se ne incassano 7.000. Il costo è variabile: si va dai 50 mila euro nel 34% dei casi a oltre 2 milioni nel 4,76%».

Progenitore dei festival culturali in Italia è il Festivaletteratura di Mantova che a settembre celebrerà la sua quattordicesima edizione. Nato da uno studio commissionato dalla Regione Lombardia, e ispirato al Festival della Letteratura di Hay-on-Wye nel Galles, ha conosciuto un’espansione costante: nel ”97, i biglietti staccati sono stati 12mila, nel 2000 30mila, nel 2005 58mila, nel 2009 60mila. Una crescita continua che è andata di pari passo con l’aumento degli eventi (il primo anno erano cento, nel 2009 220). E mentre nel ”97 l’investimento pubblico era del 62% e quello privato del 27,7, nel 2006 i rapporti si sono ribaltati: il pubblico ha finanziato per il 15%, il privato si è fatto avanti fino al 71,1. Mantova ha generato altri appuntamenti a tema (teatro, danza, musica) meritando il nome di Città dei Festival.

I festival sono finanziati da enti locali (Comuni, Province, Regioni) e soprattutto sponsor, tra i quali spiccano le Fondazioni Bancarie: 88 enti senza fini di lucro che ogni anno investono circa un miliardo e mezzo di euro in attività filantropiche e culturali. Nel 2007 il 30% di questa cifra è stata spesa in cultura e festival.

«E chi ci guadagna? Di sicuro il turismo e il commercio locali: le kermesse sono un volano potente e muovono un indotto non di poco conto, producendo anche una quota di posti di lavoro a tempo indeterminato. I visitatori frequentano ristoranti e alberghi, fanno shopping, vanno al cinema, ma anche dal parrucchiere, al museo, sul bus. La voglia di festival premia l’editoria: gli incontri con gli scrittori rilanciano l’acquisto dei libri, con tanto di autografo dell’autore, accompagnato dal ricordo di un sorriso o di una stretta di mano» (Maria Luisa Villa, Corriere della Sera).

Il festival non è solo uno strumento di promozione turistica, ma soprattutto un mezzo di rilancio territoriale. Renato Quaglia, direttore del Napoli Teatro Festival che si è svolto a giugno con oltre 120mila spettatori: «Per constatare l’impatto di una manifestazione culturale finora si ricorreva al solito consuntivo quantitativo: numero di spettatori, numero di biglietti, costi, ricavi…. Ora invece vengono messi in primo piano gli indicatori qualitativi - l’indotto, diretto e indiretto, di breve, medio e lungo periodo, che il festival determina sul proprio contesto di riferimento - e i valori identitari a cominciare dal dialogo tra culture locali ed internazionali. Questo vuol dire che la valutazione di impatto di una manifestazione ha a che fare più con fattori come percezione di una città, attrattiva, capacità di richiamare i creativi che poi innescano altra creatività, che con i biglietti venduti o i turisti richiamati».

Il primo festival con enormi dinamiche di sviluppo economico è stato quello del teatro a Edimburgo. Una indagine del 2005 rivela il suo impatto sulla città e sulla Scozia: 2,5 milioni di visitatori (15% dei quali non britannici) che portano alle strutture ricettive scozzesi 116 milioni di euro, di cui 74 milioni nella sola Edimburgo, generando 2.500 posti di lavoro. Ma soprattutto il festival porta un indotto che si aggira sui 240 milioni di euro l’anno. Il festival, tra l’altro, non ha conosciuto flessioni dovute alla crisi. Sulla spinta di questa kermesse, nella stessa città scozzese adesso si organizzano molte altre manifestazioni culturali, con conseguente aumento dell’impatto economico: perciò in tutto i 16 festival organizzati nella capitale scozzese nella stagione 2004-2005 (dal 30 luglio 2004 al 31 maggio 2005) hanno attirato 3.192.438 visitatori. Tale flusso ha determinato un introito di 249,37 milioni di euro nella sola Edimburgo e di altri 20,52 nell’intera Scozia, con la creazione di 3.200 posti di lavoro full-time nella capitale e di altri 700 entro i confini scozzesi.

Il Festival di Salisburgo, il più grande festival musicale del mondo, nel 2006 ha offerto, in 36 giorni di programmazione, 207 eventi in 14 diverse sedi, che hanno attirato 244.269 spettatori, provenienti da 65 diverse nazioni: di questi il 75% viene regolarmente e il 61% lo ha seguito almeno dieci volte, con un spesa media procapite extrafestival di 283 euro al giorno (che, includendo i costi dei biglietti, sale a oltre 530 euro). L’impatto economico totale della manifestazione austriaca ha superato i 225 milioni di euro e ha impegnato 190 dipendenti fissi e 3.000 lavoratori stagionali. Le sole entrate fiscali sono state il triplo dei finanziamenti pubblici ricevuti.

Tra i grandi eventi culturali italiani c’è il Salone del Libro di Torino, i cui numeri sono davvero imponenti. Il suo impatto economico ammonta a 52.432.000 euro di cui di cui 20.258.000 euro per la spesa diretta e 32.174.000 per effetti indiretti e indotti. Per ogni euro di spesa degli enti finanziatori (Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino, Fondazioni Bancarie, Camera di commercio) si generano 12,5 euro in termini di spesa diretta ovvero 33,3 euro in termini di effetti complessivi. Ogni edizione del Salone è in grado di creare 384 nuovi posti di lavoro temporaneo.

Ma non sono solo le maggiori manifestazioni ad avere un così grande riscontro. Secondo l’indagine effettuata nel 2005 dalla Moore School of Business della University of South Carolina, i 39.000 partecipanti all’edizione statunitense dello Spoleto Festival Usa, che si tiene ogni anno a Charleston e attira un pubblico assai raffinato, hanno determinato un impatto economico totale pari a circa 35 milioni di euro, creando 729 posti di lavoro a tempo pieno. Il Sonar di Barcellona ha esercitato nel 2006 un impatto di 47 milioni di euro sull’economia catalana, con la creazione di 216 posti di lavoro, mentre il Sundance Film Festival di Salt Lake City nel 2006 (che ha attirato 52.850 partecipanti, con una crescita del 13% rispetto all’anno precedente) ha determinato un impatto di quasi 49 milioni di euro.

Allo stesso modo, anche i festival italiani più piccoli e giovani hanno notevole successo. Come esempio si prenda il Festival della Mente di Sarzana (solo 21mila abitanti in provincia di La Spezia). Nato nel 2004 ha conosciuto un incremento di visitatori piuttosto rilevante: 12mila spettatori per la prima edizione, che già nel 2007 erano diventati 31mila. Nel 2009 sono stati 40mila, cioè il 20% in più rispetto all’anno precedente. Importante anche l’impatto economico sulla piccola realtà provinciale: un calcolo di Guido Guerzoni rivela che i soli visitatori provenienti da fuori provincia nel 2007 hanno speso in pernottamenti, trasporti e cibo 1.617.134 euro, senza calcolare i biglietti d’ingresso alla manifestazione e le spese non effettuate in loco (per esempio pernottamenti e trasporti fuori zona). Il giro d’affari è stato di 3.072.554 euro, che in termini di occupazione ha creato 26 posti di lavoro a tempo pieno. Calcolando anche le spese degli organizzatori, quantificabili in 570mila euro, si ottiene un impatto economico totale di 3.642.554 euro. Dato che l’investimento iniziale era di 500mila euro, si può dunque rilevare che il Festival della Mente ha generato una cifra sette volte più grande del budget di partenza.

I festival dunque sono una scommessa vinta in partenza, basta avere un discreto investimento iniziale? Guerzoni: «Non vi è alcuna correlazione diretta tra il budget per gli eventi e i conseguenti impatti: in Italia negli ultimi anni sono stati organizzati moltissimi festival che, a fronte di budget imponenti, non hanno riscosso alcun successo di pubblico, senza esercitare alcuna forma di impatto. Purtroppo la formula ”festival” è ancora troppo vaga e indefinita per generalizzarne la portata economica e abbisogna più che mai di strumenti di misurazione condivisi, di criteri di segmentazione omogenei, di tecniche standard di computo della spesa media pro capite. Solo allora sarà possibile ottenere misure davvero sicure, capaci di indirizzare con un ragionevole grado di certezza le scelte dei decisori pubblici e privati».

Di sicuro, allora, c’è forse soltanto il valore culturale di queste manifestazioni. Il filosofo Remo Bodei: «La voglia di stare insieme, la festa, l’incontro con gli autori, che può essere anche una sorta di feticismo, è comunque un modo per far circolare le idee. Platone diceva che i maestri emanano delle scintille in modo che ognuno possa poi illuminarsi di luce propria, questi incontri sono una specie di semina».