Alberto Piccinini, Rolling Stone luglio 2010, 21 luglio 2010
Vauro Senesi è il vignettista de Il Manifesto dai tempi in cui Berlusconi manco aveva messo su le televisioni: c’erano Andreotti con la gobba e le orecchie da vampiro, e Craxi ciccione come Poldo
Vauro Senesi è il vignettista de Il Manifesto dai tempi in cui Berlusconi manco aveva messo su le televisioni: c’erano Andreotti con la gobba e le orecchie da vampiro, e Craxi ciccione come Poldo. Da una decina d’anni sta nella squadra di Michele Santoro, dal Raggio Verde fino ad Anno Zero. E l’unico vignettista televisivo sopravvissuto alla consumazione del genere. Nelle ultime foto ufficiali sta alla sinistra di Santoro; alla destra c’è Marco Travaglio. Dietro, un po’ defilato, Sandro Ruotolo. Non a caso: ogni giovedì della scorsa stagione, alle 23.30, durante il teatrino traVauro e Santoro lo share arrivava come minimo al 30%. Anarchico, toscanaccio, vestito con camicie kaki e magliette a strisce tipo marinaio sovietico, erede della tradizione de il Male, dove ha imparato il mestiere da Pino Zac e ha lavorato fino alla chiusura con Pazienza, Vincine, Angese e gli altri. Vauro ha 55 anni e si considera amabilmente vecchio, sopravvissuto e "vintage" in un panorama dove quelli che fanno ridere veramente ormai si contano sulle dita di una mano (Altan, Disegni, e poi?), e appartengono tutti grosso modo alla sua generazione. Per quelli di sinistra, le sue vignettè vengono da un po’ più lontano di Anno Zero: sono come Paperino, i Looney Tunes, il Braccobaldo show. Stanno sulle t-shirt e girano in Rete. «Non avendo delle belle tette e neanche un bei culo», dice sorseggiando un enorme Bloody Mary, «l’apparire in tv non rientrava tra le mie ambizioni...». «Infatti sul tuo sito», lo interrompo, «c’è una citazione di Groucho Marx: "Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni volta che qualcuno l’accende, vado nell’altra stanza a leggere un libro"». E lui: «Ma non ho un sito». E io: «Davvero? Però c’è». Risposta: «Speriamo che non ci siano scritte troppe cazzate. Comunque la frase la dissi in un programma di cui ero ospite: "Va ora in onda il Tg2, leggete un buon libro". Mazza, il direttore, si incazzò come una bestia». Come è nato il teatrino con Santoro adAnno Zero? Mica è facile, perche quando la telecamera inquadra. la vignetta, la battuta è bruciata. «Perché la tv è movimento frenetico e la vignetta è immobilità. In quel teatrino, oltre ai personaggi delle vignette, dovevo dar vita a quello che le racconta». Un altro problema è che, quando la regia li inquadra, ridono sia gli ospiti di sinistra che di destra... «No, quelli che hanno per ordine di scuderia di non ridere, non ridono». Ma avere davanti i protagonisti delle vignette intimidisce oppure ti carica? «A me non cambia nulla. Primo, perché il protagonista della vignetta mi sta sui coglioni, quindi per me è come se non esistesse. Cioè, esiste quello che ho disegnato sulla carta, e siccome è il mio Pinocchio, da buon Geppetto mi sta anche simpatico. Secondo: quando mostro le vignette non interloquisco con nessuno. Le vignette non sono per i politici che stanno lì, sono per il pubblico». Da quant’è che fai caricature di politici? «Una delle prime è stata quella di Andreotti. Il mio incubo erapassare la vita a fare solo quello, con il rischio di somatizzare, diventare gobbo e con le orecchie a punta. Poi è arrivato Berlusconi e l’incubo è peggiorato, perché c’era il rischio di diventare nano e pelato. Il fatto è che in Italia non sparisce mai nessuno». Berlusconi è un personaggio comico? «No, è tragico. E un vecchio che rifiuta la vecchiaia, che si automummifìca, che mente e si convince delle proprie menzogne, che si fa un culo cosi per mantenere un potere che non gli da più nessun godimento. Tant’è che invita a casa sua dei grandissimi tocchi di fica soltanto per vedere le diapositive o cantare il karaoke. E una figura patetica, cechoviana. Quindi tragica». Non ti sei stufato di ritrarre politici? Il rischio non è quello di rendere simpatico il soggetto? «Gran parte dei nostri politici sono già delle caricature, c’ha pensato la loro mamma. Io tento un’operazione a metà tra Lombroso e Walt Disney, cerco dei tratti che li raccontino senza cadere nel cliché della somiglianzà». Mi pare di capire che non hai mai neanche lontanamente simpatizzato per nessuno di questi, neanche per quelli di sinistra. «Io ho fondato il Pccm, il "partito comunista dei cazzi miei". Un solo iscritto, un solo segretario: sempre io». AI Manifesto ti aggiravi vestito come un marinaio sovietico, tipo vecchio comunista mai pentito. «Perché sono un vecchio comunista». Non esagerare. Anarchico basta e avanza, no? «Come tutti i vecchi comunisti. Sono diventato filosovietico solo quando non c’era più l’Unione Sovietica. E ho un vizio pavioviano: mi viene in mente prima la presa di culo che la saggia riflessione sull’opportunità, e finché questa dote, o vizio, mi accompagna sono tranquillo». La "presa di culo", di cui parli è comunque bassa. «Il culo è basso, diciamo medio. Insomma, sta lì». Voglio dire che, a volte, sei criticato per la bassezza delle battute; sesso, cacca, pippe. «La bassezza che dici tu è proporzionale alla bassezza delle ispirazioni. Anzi, secondo me è già un po’ più in alto. Sesso, culo, stereo sono ancora quei pochi tratti di umanità che conserviamo. Oddio il sesso è già sfumato, è mercé, non è più il sesso rivoluzionario di un tempo». Sei un moralista? «Un moralista che rasenta l’integralismo. Le missioni di guerra chiamate pace, gli operai suicidi o sul tetto, che tré quarti dell’umanità non abbia di che nutrirsi... questo mi fa incazzare. Lo trovo ferocemente immorale. Per questo a un certo punto hai fatto rinviato di guerra, e poi sei andato a lavorare con Emergency? «Anni fa, in Afghanistan per II manifesto, ho conosciuto Gino Strada, e con lui una realtà incredibilmente umana in un contesto che di umano non aveva più nulla. Mi ha contagiato, e ho dedicato alcuni anni a fare quel poco che sapevo fare, per supportare l’organizzazione». Il tuo ultimo romanzo, La scatola dei calzini perduti, parla di un ragazzo del Sudan sbarcato a Roma. Hai faticato a uscire dal mondo della "presa di culo’? «Ma no. E lo stesso Vauro, liberato. Essere imprigionato in un’etichetta è facile. E questo cliché ti viene anche pagato. Quindi scrivere romanzi per me è importantissimo. Quanto lo sia per i lettori dei romanzi, non saprei». Comunque dopo l’Afghanistan e l’Iraq sei tornato a Roma a disegnare la sit-com tra Rutelli e la moglie, a letto. Che mal di testa. «Le esperienze di guerra non le auguro a nessuno. Certo che, dopo, la tua scala di priorità cambia. Quindi il teatrino italiano ti appare anche nella sua tragicità. Perché il ridicolo, in un contesto drammatico, diventa tragico». Come giudichi la satira italiana di questi anni? «Intanto la generazione dei satirici e dei comici comincia a essere senile come quella dei politici, che è un brutto segno per la vitalità di questo Paese. E non posso non notare quanto la comicità sia diventata uno strumento di consenso. Se c’è una cosa che sta agli antipodi della satira, non è tanto il fatto che faccia o non faccia ridere; è la noia. La satira può non far ridere, anzi anche repellere. Ma la noia è l’anticamera dell’accettazione, la foglia di fico di tutti i regimi. Credo che ci sia in giro una satira underground. Forse passa per la Rete, ma non la conosco perché sono vecchio, non uso neppure Facebook». Chi sono stati i tuoi maestri? «Quando ero ragazzine, Jacovitti. L’ho sempre amato». Era di destra... «Non me ne frega un cazzo. Faceva "II Ballila", e le campagne elettorali per la Dc... ma è stato uno dei pochi a dimostrare che si può essere divertenti, intelligenti e creativi anche essendo di destra. Poveraccio, forse è stato uno degli ultimi. Adesso la destra è soltanto un business. Dai suoi disegni alle elementari ho copiato come un porco». Tra i tuoi maestri citi spesso Pino Zac. «Zac mi ha fatto capire in tenera età che la peggior censura è l’autocensura. Gli sarò sempre devoto per questo». Quante volte ti hanno querelato? «Svariate. Mai tenuto il conto». Quella che è andata peggio? «Tre mesi con la condizionale». Perché? «Era appena scoppiata la piaga dell’Aids e in tv Zucchero disse che piuttosto che far sesso senza precauzioni era meglio masturbarsi. Questo indignò tutta l’opinione pubblica cattolica e io disegnai una vignetta dal titolo: "I cattolici contro la masturbazione". Si vedeva un povero Gesù in croce, hippie come lo disegno io, che diceva: «Neanche volendo», avendo le mani chiodate». A proposito di maestri, non hai mai nascosto il fatto di venire dalla Toscana. «Da Pistola. Altri miei esimi concittadini sono: Vanni Fucci il traditore, Mamma Ebe e Licio Gelli. Ho scoperto purtroppo che anche Pupo è di Pistola. Questa è la mia genia. E ho ancora una profonda riconoscenza per la toscanità che non esiste più, quella di Amici miei. Io l’ho vissuta: le zingarate con gente che aveva 40 anni più di me, il gusto anche drammatico della battuta senza inibizioni, quando il saluto più comune era: "Ti pigliasse un cancro!". E stata una fortuna, ed è una tristezza pensare che non c’è più, che la tv si è succhiata la Toscana, come tutte le regioni d’Italia. Se dovessi scegliere chi rappresenta meglio la Toscana, tra Pieraccioni e Pacciani voterei assolutamente per Pacciani