Notizie tratte da: Dambisa Moyo # La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo # Rizzoli 2010 # pp. 259, 18,50 euro., 21 luglio 2010
Notizie tratte da: Dambisa Moyo, La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo, Rizzoli 2010, pp
Notizie tratte da: Dambisa Moyo, La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo, Rizzoli 2010, pp. 259, 18,50 euro.
(Libro in Gocce in sch. n. 1384613)
«Negli ultimi cinquant’anni oltre un trilione di dollari americani è stato trasferito dai paesi ricchi all’Africa sotto forma di aiuti per lo sviluppo». [21]
Sono migliorate le condizioni degli africani? No. «I destinatari di questi aiuti stanno peggio, molto peggio. Gli aiuti hanno contribuito a rendere più poveri i poveri e a rallentare la crescita [...] Gli aiuti sono stati e continuano a essere un totale disastro politico, economico e umanitario per la maggior parte del mondo in via di sviluppo». [22]
Sedici paesi dell’Africa subsahariana hanno mercati azionari attivi e trasparenti. La Borsa di Johannesburg, fondata nel 1887, è la più antica. [28]
In tre degli ultimi cinque anni il rendimento dei titoli delle Borse africane ha raggiunto una media del 40%. [29]
«Fra il 1981 e il 2002 il numero di africani che vivono in povertà è quasi raddoppiato». Reddito pro capite nell’Africa subsahariana: circa 1 dollaro al giorno (in termini reali, meno che negli anni Settanta). [30]
«Nell’Unione Europea ogni bovino riceve sussidi per 2,5 dollari al giorno» [180]
Aspettativa di vita in Africa: intorno ai cinquant’anni. La metà della popolazione è sotto i 15 anni. [30-31]
Gli aiuti possono essere: a) umanitari o di emergenza (in risposta a catastrofi naturali e calamità); b) distribuiti in loco a persone o istituzioni da organizzazioni non governative; c) sistematici, ossia pagati direttamente ai governi, sia da altri governi, sia tramite organismi come la Banca Mondiale. [32]
Gli aiuti sistematici vengono erogati come prestiti concessionali, a basso tasso d’interesse, o come sovvenzioni, denaro a titolo gratuito a tutti gli effetti. [97]
Piano Marshall, il precedente. Programma americano di aiuti all’Europa devastata dalla Seconda guerra mondiale. Presentato il 5 giugno 1947 all’Università di Harvard dal segretario di Stato George C. Marshall, fu attuato nei confronti di 14 nazioni. In cambio i governi europei avrebbero stilato un piano di rinascita economica. Durò cinque anni (dal 1948 al 1952), vide un trasferimento di aiuti per un valore di circa 13 miliardi di dollari. [39]
Alla fine degli anni Cinquanta l’attenzione dei paesi più ricchi si sposta verso l’Africa come principale obiettivo degli aiuti, nella convinzione che per mettere in moto lo sviluppo, ai paesi poveri manchi il capitale finanziario. [40]
«Benché l’idea di inviare aiuti all’Africa sia nata dal successo del Piano Marshall in Europa, dal punto di vista pratico le due situazioni sono completamente diverse». Il Piano Marshall era ben definito, nei tempi e negli obiettivi. Le nazioni europee possedevano già, prima della guerra, le istituzioni fondamentali. E poi non dipendevano interamente dagli aiuti: al culmine del Piano, il contributo corrispondeva solo al 2,5% del Pil dei maggiori destinatari, come Francia e Germania. L’Africa invece «attualmente riceve assistenza allo sviluppo per un valore pari a quasi il 15% del suo Pil». [72-74]
«Quando la Banca Mondiale crede di finanziare una centrale elettrica, in realtà sta finanziando un bordello» (Paul Rosenstein-Rodin, vice direttore del Dipartimento economico della Banca Mondiale, nel 1947). [77]
Tra il 1956 e il 1967 diventano indipendenti 31 stati africani. Con gli aiuti, Gran Bretagna e Francia tentano anche di conservare le proprie posizioni di rendita geopolitica. Gli Stati Uniti ne fanno uno strumento della Guerra fredda. [41]
Primo obiettivo degli aiuti all’Africa: grandi investimenti per le infrastrutture. Poi - nel corso degli anni Settanta, con l’aumento del prezzo del petrolio e il conseguente rincaro di cibo e generi di prima necessità - progetti per lo sviluppo agricolo e rurale, servizi sociali, forniture di cibo, programmi di vaccinazione di massa. La percentuale di prestiti destinati al problema della povertà sale dal 5% dei tardi anni Settanta al 50 dei primi anni Ottanta. [45]
Dopo la seconda crisi petrolifera (1979) le banche centrali irrigidiscono le condizioni della politica monetaria aumentando i tassi d’interesse (i prestiti ai paesi in via di sviluppo sono per lo più a tasso variabile). Il 12 agosto 1982 il ministro delle Finanze messicano telefona al segretario al Tesoro americano, al presidente della Federal Reserve, al direttore generale dell’Fmi per informarli che il 16 agosto il Messico non sarebbe stato in grado di rispettare gli obblighi debitori nei confronti delle banche. Poco dopo anche Angola, Camerun, Costa d’Avorio, Gabon, Gambia, Mozambico, Niger, Nigeria, Tanzania e Zambia si dichiarano inadempienti. [47-48]
La soluzione alla crisi dei debiti: prestare alle nazioni insolventi il denaro necessario alla restituzione di quanto dovuto (l’Fmi istituì per questo la Structural Adjustment Facility). [48]
Negli anni Ottanta l’economia africana subisce un continuo declino, salgono i livelli di povertà, aumenta la corruzione. [53]
Il presidente dello Zaire Mobutu Sese Seko, che dopo un incontro con il presidente Reagan chiese condizioni più favorevoli per onorare il debito di 5 miliardi di dollari contratto dal suo paese con gli Usa, e poi noleggiò un Concorde per portare la figlia a sposarsi in Costa d’Avorio. [53]
Costo dell’incoronazione di Bokassa a sovrano dell’Impero centrafricano (1977): 22 milioni di dollari. [54]
«Nel 1996, su cinquantaquattro nazioni prese in considerazione in tutto il mondo, la Nigeria si qualificò come quella più corrotta, guadagnandosi un lugubre 0,69 sulla scala da 0 a 10 nella classifica della corruzione». [55]
«Gli analisti della corruzione stimano che ogni anno almeno 10 miliardi di dollari – quasi metà degli aiuti internazionali ricevuti nel 2003 – lascino l’Africa». [100]
«In un mondo perfetto, ciò di cui hanno bisogno i paesi poveri, ai gradini più bassi dello sviluppo economico, non è una democrazia multipartitica, ma un dittatore benevolo e risoluto che introduca le riforme indispensabili a mettere in moto l’economia». [81]
«La democrazia non è il prerequisito della crescita economica come sostengono i fautori degli aiuti. Al contrario è la crescita economica a essere un prerequisito della democrazia». [83]
«Agli inizi degli anni Novanta gli aiuti ufficiali (a esclusione di quelli per le emergenze e per ripagare i debiti) erano in media di 15 miliardi di dollari all’anno, a fronte dei circa 5 degli anni Settanta». Il picco, 17 miliardi, è del 1992. Poi il volume comincia a diminuire, fino ai 12 del 1999. [57-58]
«Negli ultimi vent’anni gli aiuti internazionali all’Africa sono andati diminuendo, sia perché i donatori credono sempre meno alla loro utilità, sia perché non hanno denaro o hanno perso l’entusiasmo iniziale […] La maggior parte dei paesi donatori non ha mantenuto la promessa fatta a Monterrey nel 2002 di devolvere lo 0,7% del proprio Pil». [124]
«Durate gli anni Novanta stava anche facendosi largo un altro punto di vista sul mancato sviluppo del continente. A parte l’assenza di una governance qualificata, di un libero e corretto processo democratico e se si escludeva l’endemica corruzione, in alcuni ambienti si diffuse la sensazione che se soltanto l’Africa avesse potuto liberarsi in un sol colpo del giogo dei debiti, finalmente avrebbe potuto raggiungere quell’obiettivo sfuggente: la prosperità economica». [58]
«Nel 2000 l’Africa diventò il punto centrale della compassione mondiale organizzata» [59]
Il concerto di Bob Geldof del 13 luglio 1985 ”Live Aid”, che «non solo era stato un trionfo nel portare i mali dell’Africa davanti a una platea vastissima, ma aveva anche annunciato a gran voce un’epoca di moralità». [59]
Un piccolo imprenditore africano produce cinquecento zanzariere alla settimana, dando lavoro a dieci persone, ognuna delle quali mantiene così fino a quindici famigliari. La produzione comunque non basta per tenere lontani gli insetti che portano la malaria. Interviene il divo di Hollywood che mobilita masse e governi e raccoglie un milione di dollari grazie ai quali si possono inviare nella regione colpita dalla malaria centomila zanzariere. La ”buona azione” estromette l’imprenditore africano e i suoi operai dal mercato. [83-84]
«Vengono esercitate pressioni perché si concedano prestiti». Dagli aiuti dipende anche il sostentamento di circa cinquecentomila persone che a vario titolo se ne occupano: Banca Mondiale (10.000 dipendenti), Fondo monetario (oltre 2.500), altre agenzie Onu (5.000), più le 25.000 Ong registrate e le agenzie governative. [97]
I donatori «temevano le possibili conseguenze per le proprie agenzie se non avessero erogato i fondi nell’anno fiscale previsto» (Ravi Kanbur). [97]
«Si stima che nelle varie guerre civili scoppiate nel continente durante gli ultimi cinquant’anni siano morti quaranta milioni di africani: l’equivalente della popolazione del Sudafrica». [105]
Secondo il Fondo monetario internazionale, i paesi in via di sviluppo che si affidano a capitali stranieri sono più soggetti a un apprezzamento della propria valuta. «Gli aiuti rafforzano la valuta locale, danneggiando le esportazioni manifatturiere con conseguente riduzione della crescita sul lungo periodo». [109]
’Male olandese”: il fenomeno per cui un grande afflusso di valuta straniera, dovendo essere convertito nella moneta locale, facendone salire in questo modo il valore e rendendo più cari i prodotti locali sul mercato internazionale, deprime alla fine le esportazioni. «I suoi effetti vennero osservati per la prima volta quando negli anni Sessanta in Olanda si riversarono i proventi del gas naturale, devastando il settore delle esportazioni e facendo aumentare la disoccupazione». [108]
Settembre 2007, il Ghana emette obbligazioni per 750 milioni di dollari sul mercato internazionale. Ottobre 2007, titoli decennali del Gabon per un miliardo di dollari [127]
Differenze tra gli aiuti erogati in forma di prestiti rispetto ai titoli del debito pubblico emessi sul mercato: tasso d’interesse inferiore (spesso notevolmente); scadenza della restituzione molto più lunga (alcuni della Banca Mondiale arrivano a cinquant’anni); condizioni agevolate in caso di morosità o inadempienza. [127]
L’interesse degli investitori per i paesi emergenti sta aumentando. [129]
Nel 2006 il debito dei paesi emergenti ha garantito agli investitori un guadagno di circa il 12% contro il 3% dei titoli di Stato americani. [131]
«Il debito dei mercati emergenti presenta il vantaggio di muoversi in direzione opposta al ciclo congiunturale dei paesi sviluppati, perché durante una recessione globale i paesi poveri possono trovare meno costoso ripagare i propri debiti». [133]
’Sovereign ceiling”: un’azienda non può ottenere un rating più alto di quello del paese in cui opera. [136]
Costo medio di un prestito concessionale della Banca Mondiale per un governo africano: 0,75%. Costo medio di emissione di titoli del debito per un paese emergente: circa 10% (nel 2007, da allora in calo) [138]
«L’inadempienza ha un prezzo, ma per quanto imbarazzante, non è la fine del mondo: i mercati del debito sono molto indulgenti e la memoria degli investitori è corta» (dal 1500 al 1900 la Spagna è stata inadempiente tredici volte, il Brasile nel 1826, 1898, 1902, ”14, ”31, ”37, ”83) [139-140]
Alla metà degli anni Novanta circa 35 paesi africani emisero obbligazioni sul mercato internazionale: furono tutti inadempienti. Da allora, fatta eccezione per Ghana e Gabon nel 2007, non si sono più ripresentati. [141]
Nigeria e Sudafrica sono gli unici paesi africani che hanno la possibilità, in base agli attuali criteri di investability, di essere inclusi nel nuovo indice delle obbligazioni (Gemx) focalizzato sui mercati emergenti. [147]
Lukas Lundin, l’imprenditore minerario che nel 2005 in sella alla sua Bmw 1200 attraversò l’Africa in tutta la sua lunghezza dal Cairo a Città del Capo: 12.000 chilometri per cinque settimane di viaggio. A sorpresa trovò che l’85% delle strade erano asfaltate. «Un paese dopo l’altro, c’erano indizi di come questo fosse stato possibile: cartelli stradali che proclamavano ”Questa strada è stata costruita con il gradito contributo del governo della Repubblica Popolare Cinese” ». [155 - virgolettato Moyo, non Lundin]
’Ied”, Investimenti esteri diretti. «Un investimento allo scopo di acquisire un interesse duraturo in un’impresa operante al di fuori dell’economia dell’investitore» (definizione della Conferenza dell’Onu sul commercio e lo sviluppo). Sono generalmente in crescita, ma non in Africa. «Nel 2006, i 37 miliardi di dollari ricevuti dall’Africa sotto forma di aiuti internazionali ufficiali rappresentavano più del doppio degli investimenti esteri diretti, e oggi l’Africa attira meno dell’1% dei flussi globali di capitali, dal quasi 5% di un decennio fa». [156]
In Africa è difficile investire. In Camerun per ottenere una licenza commerciale occorrono in media 426 giorni per completare 15 procedure (in Usa 40 giorni e 19 procedure, in Corea del Sud 17 e 10). [158]
Secondo la Conferenza dell’Onu sul commercio e lo sviluppo «dal punto di vista delle compagnie straniere, gli investimenti in Africa sembrano estremamente redditizi, più che nella maggior parte delle altre regioni». Gli investitori americani hanno dichiarato di aver ottenuto nel 1997 un rendimento del capitale investito in Africa pari al 25%: due terzi in più di quanto ricavato in Asia e nel Pacifico, il 50% in più che in America Latina. [161]
Fra il 2000 e il 2005 gli Ied cinesi in Africa ammontarono a 30 miliardi di dollari. Alla metà del 2007 erano arrivati a 100 miliardi. [164] «Il ruolo della Cina in Africa è maggiore, più sofisticato e più efficiente di quello di qualsiasi altro paese in qualunque momento del dopoguerra». [166]
La Cina ha investito miliardi di dollari nella Repubblica Democratica del Congo e nello Zambia nel settore del rame e del cobalto, di minerale ferroso e platino in Sudafrica, del legname in Gabon, Camerun e Repubblica Popolare del Congo. Ha acquistato miniere nello Zambia, industrie tessili nel Lesotho, ferrovie in Uganda, legname nella Repubblica Centrafricana, punti di vendita al dettaglio in quasi tutte le capitali, «ma il petrolio rimane in cima alla lista». [165]
L’Angola ha superato l’Arabia Saudita come maggior fornitore di petrolio alla Cina. [165]
Nigeria e Sudan nell’ultimo decennio sono stati quasi sempre i maggiori beneficiari degli investimenti cinesi in Africa. Nel 2004 da soli ne hanno ricevuti più della metà del totale. [165]
La Cina possiede solo il 7% delle terre arabili del mondo. «Dovrà fare acquisti ovunque». In Africa ha portato da 190 a oltre 400 il numero dei beni d’importazione non soggetti a dazi. [187]
In quasi tutti i paesi africani i pareri favorevoli sulla Cina (e i suoi investimenti) sono almeno il doppio di quelli critici. In quasi tutti i paesi africani le persone che giudicano positivamente la presenza della Cina sono più numerose di quelle che danno lo stesso giudizio sulla presenza degli Stati Uniti. [170]
«In un mondo dominato dall’incertezza, i paesi occidentali (soprattutto Francia e Usa) temono di dover dipendere da altre nazioni per i rifornimenti alimentari in caso di una guerra globale». [178]
In base alle stime del 2005, i paesi membri dell’Ocse spendono quasi 300 miliardi di dollari in sussidi all’agricoltura: poco meno del triplo degli aiuti erogati ai paesi in via di sviluppo. [179]
I sussidi concessi negli Stati Uniti e in Europa a cotone e zucchero, due delle principali merci d’esportazione africane, danneggiano l’Africa. Dal 2001 il regime dei sussidi avrebbe privato Etiopia, Mozambico e Malawi di potenziali guadagni dalle esportazioni per 238 milioni di dollari (stima dell’organizzazione umanitaria Oxfam). [181].
«I paesi africani applicano un’imposta media del 34% sui prodotti di altre nazioni africane, e del 21 sui propri prodotti. Il commercio tra paesi africani rappresenta solo il 10% delle esportazioni totali». [182]
Spedire un’auto dal Giappone ad Abidjan, in Costa d’Avorio, costa 1.500 dollari. Portarla da Abidjan ad Addis Abeba, in Etiopia, 5.000. [191]
I due ragazzini che nell’aprile 2005 giocando a pallone in una strada di Maiduguri, nel nord-est della Nigeria, inciamparono in 6.000 dollari. In mancanza di un credibile sistema bancario, il proprietario aveva avvolto i suoi risparmi in una busta di plastica nera e li aveva nascosti vicino a un cumulo di immondizia. [209-210]
Situazione finanziaria della repubblica del Dongo (immaginaria, ma simile per storia, struttura sociale ed economica a molti stati africani): quasi il 75% delle entrate proviene da aiuti esteri (indirizzati al governo), il 3 da mercati di capitale, il 5 dal commercio, il 5 da investimenti esteri diretti, il resto da rimesse e risparmi. Situazione ipotetica, mirata allo sviluppo: 30% delle entrate dal commercio (con la Cina come partner principale), 30 da investimenti esteri diretti, 10 dai mercati di capitale, 25 da rimesse e risparmi, solo il 5% dagli aiuti. [215]
I casi estremi di Gambia ed Etiopia, in cui il 97% del bilancio statale è costituito dagli aiuti esteri. [120]
Le rimesse degli africani (il denaro che gli emigrati spediscono a casa alle loro famiglie) nel 2006 hanno raggiunto un totale di 20 miliardi di dollari (in Asia sono state di 113 miliardi, in America Latina di 68). Tra il 2000 e il 2003 erano state di 17 miliardi l’anno, più degli Ied, che in quel periodo erano in media di 15 miliardi. [204]
«L’errore compiuto dall’Occidente è stato dare qualcosa in cambio di nulla. Il segreto del successo della Cina è che la sua penetrazione in Africa è solo affaristica». [230]